Alain Juppé: «Cambiamo l’Europa per salvarla»
L’ex primo ministro francese Alain Juppé spiega a Panorama perché smantellare la Ue sarebbe un disastro. E dice la sua sulle elezioni italiane, su Macron, sulla sinistra e anche su Venezia.
Anziché essere sorpreso, sono rimasto deluso dal risultato delle legislative italiane. Nel momento in cui abbiamo più bisogno d’Europa, il ripiegamento su se stessa di una parte della popolazione europea costituisce una sfida». L’ex premier francese Alain Juppé è categorico. Il sindaco di Bordeaux, che due anni fa è stato in corsa per l’Eliseo, parla in assoluta libertà. A 72 anni, il fondatore dell’Ump ha appena lasciato il partito repubblicano, erede del neogollismo.
Panorama lo ha incontrato alla Venice International University (Viu), il consorzio di 17 atenei da tutto il mondo presieduto dall’ambasciatore Umberto Vattani (l’ultima arrivata è la Korea University di Seul, uno dei 100 migliori atenei al mondo). Nella sede della Viu sull’isola di San Servolo, Juppé ha tenuto una dotta lectio magistralis intitolata «Della necessità dell’Europa». Il suo discorso è stato appassionato. È vero che guiderà le liste di Macron alle europee del 2019? La mia risposta è no. Io mi sono ritirato dalla vita politica attiva. Mi sto consacrando alla mia città, Bordeaux, e non
intendo rilanciarmi in campagne elettorali europee o nazionali. Mi esprimerò durante la campagna, dicendo ciò che penso. In particolare dirò che non abbiamo bisogno di meno Europa, ma di una migliore Europa perché l’unità delle nazioni europee è più necessaria che mai. Occorre ridurre la frattura democratica fra l’istituzione europea (forse troppo tecnocratica) e le preoccupazioni quotidiane delle nostre popolazioni: sicurezza, migrazioni, lavoro, salute. Perché smantellare l’Unione europea sarebbe un disastro? Perché le sfide che ci attendono non possono essere affrontate nei singoli ambiti nazionali. Prendiamo la sfida ambientale: per combattere l’inquinamento è necessaria una strategia europea per superare la transizione energetica, proteggere la biodiversità, salvare le risorse rare, avere un’altra politica energetica… Tutto ciò si fa insieme. Altro esempio: il mondo in cui viviamo è pericoloso. E noi garantiamo meglio la nostra sicurezza solo se uniamo le forze. Prendiamo pure i flussi migratori incontrollati, che dobbiamo affrontare insieme con umanità ma anche con responsabilità: è impossibile gestirli solo con le frontiere nazionali. Ci vuole un approccio europeo, globale, della politica dell’asilo, della politica dell’immigrazione... Tre esempi per mostrare che l’Europa riuscirà molto meglio se elaborerà un progetto politico comune, anziché avanzare separata. È pessimista sul futuro europeo? No, anche se bisogna guardare la realtà in faccia: la situazione è molto grave. Bisogna ridare la voglia di Europa. La gente è divisa: lo si vede bene anche in Francia. I nostri contadini, ad esempio, criticano di continuo l’Europa (molti hanno votato Front national), ma in questo momento stanno manifestando per mantenere gli aiuti europei. Si rendono conto che, se gli aiuti europei sparissero, sparirebbero anche loro. In questi ambiti le opinioni pubbliche sono ambivalenti. Cosa si può fare per salvare l’Europa? Come dice Alain Minc nel suo ultimo
LA POSIZIONE AMERICANA È L’OCCASIONE PER RIDARE SLANCIO ALLA DIFESA COMUNE
libro, l’Unione europea è «indétricotable» ( inestricabile, ndr). La complessità dei negoziati della Brexit parrebbe dimostrarlo. Ma poiché chi non avanza arretra (è la dura legge della concorrenza internazionale), il solo progetto valido per l’Europa è «il grande balzo in avanti». Il presidente Macron ne ha tracciato il percorso in un discorso alla Sorbona a settembre, l’ex ministro degli Esteri tedesco Sigmar Gabriel ha proseguito in un discorso a dicembre. Sono sei i cantieri prioritari per l’Europa. Ossia? Il primo riguarda la zona euro: dobbiamo migliorare la gestione e le performance dell’Ue per farne non solo un’area di stabilità, ma un territorio di crescita. Un obiettivo che si raggiunge rimediando alla sue disfunzioni interne e cercando una migliore convergenza fiscale e sociale. Poi viene il digitale: al momento subiamo il dominio di attori stranieri. Urge creare le condizioni affinché emergano campioni europei, cominciando a organizzare un mercato unico e una regolazione europea. Al terzo posto viene la transizione energetica, la chiave di uno sviluppo sostenibile per il pianeta. Le nostre scelte in materia energetica finora non sono state convergenti: dobbiamo trovare punti d’accordo. Al quarto posto cosa viene? Le frontiere: è un dato di fatto che nella zona Schengen non le controlliamo. Dobbiamo riuscirci. Ma se da una parte dobbiamo rimanere fedeli ai nostri valori morali e ai nostri impegni internazionali, dall’altra non possiamo aprire le porte «a tutta la miseria del mondo». È importante agire sul piano del controllo e su quello dell’armonizzazione delle politiche d’asilo e di immigrazione. Al quinto posto viene la difesa: approfittiamo della Brexit e del ripiegamento americano per dare slancio decisivo alla politica di sicurezza e difesa comune. Cominciamo elaborando un libro bianco sulla difesa europea e sulla sua autonomia strategica. L’ultimo grande cantiere riguarda l’Africa. I destini di Europa, Mediterraneo e Africa sono intimamente legati. È illusorio sperare di riequilibrare i movimenti delle popolazioni se i giovani africani non trovano lavoro a casa loro. L’aiuto allo sviluppo è neces-
sario, ma è soprattuto di investimenti produttivi che i nostri partner hanno bisogno. Le nostre imprese devono impegnarsi di più in Africa: è anche loro interesse essere presenti su un mercato che nel 2100 avrà 4,5 miliardi di abitanti, senza lasciare campo libero a Cina, Usa e Turchia. Che cosa pensa della nuova legge di Macron sull’immigrazione? Va nella giusta direzione. Dobbiamo accogliere bene i rifugiati che hanno diritto all’asilo politico (è la tradizione storica della Francia, sono i nostri impegni internazionali), ma al tempo stesso dobbiamo controllare meglio le nostre frontiere e assicurarci che chi non ha diritto all’asilo torni a casa sua. È quello che la nuova legge cerca di realizzare e che da anni e anni nessun governo era riuscito a fare. In Francia il numero dei richiedenti a cui, al termine di lunghissime procedure, non viene concesso l’asilo supera il 50 per cento. Più della metà degli aspiranti rifugiati non ha diritto di rimanere in Francia, ma purtroppo ci resta. La nuova legge permetterà di accompagnarli a casa loro in modo più efficace, migliorando nel contempo l’integrazione di chi resta. Controllo da una parte e integrazione dall’altra: in tal senso va la nuova legge. Legge molto controversa... Certo. Ogni volta che si cerca di fare un testo equilibrato si è criticati da destra e da sinistra. Forse ciò significa che si è trovato l’equilibrio giusto. Che opinione ha di Macron? È un presidente fuori dal comune. Penso che abbia qualità e difetti, che sia un vero riformatore, che abbia voglia di cambiare il Paese (e la Francia ha bisogno di cambiare). Forse non ha una conoscenza diretta del terreno: non è mai stato eletto a livello locale, cosa che talora forse non gli permette di percepire a fondo le cose... Però globalmente la sua politica va nel senso giusto. Ha cambiato l’immagine internazionale della Francia e sta rifor- mando il sistema educativo (l’avrei fatto anch’io se fossi diventato presidente). Ho molti punti di convergenza con lui, ma anche delle differenze. Questo è il motivo per cui non sono entrato in En marche! ( il movimento di Macron, ndr)e non ho intenzione di entrarci. Oggi sono un uomo libero: non appartengo più a un partito politico e posso giudicare in libertà quanto accade. Perché ha lasciato i repubblicani? Non mi sentivo più a mio agio nel partito. Le ultime dichiarazioni del presidente non mi erano piaciute. Lei è più moderato? In un certo senso sì: sono del tutto ostile a ogni alleanza con l’estrema destra e mi oppongo anche all’adozione delle loro idee. Ad esempio la tendenza a contrapporre le grandi città ai territori rurali è assurda. Nella mia regione il dinamismo della grande città avvantaggia anche la campagna. Occorre giocare sulla complementarietà, non sulla divisione. Non concordo neppure con l’ostilità populista verso le élite. Ogni popolo ha bisogno di élite: intellettuali, sportive, politiche... Ma a condizione che siano aperte e non autoriproduttive. In che senso? Le élite non devono essere chiuse all’interno di caste inaccessibili ai più. E l’apertura passa per l’istruzione, per il cosidetto ascensore sociale, che permette a persone di tutti i ceti di migliorare il proprio status. Perché alla fin dei conti le élite non rappresentano i soldi, ma il talento. Dove sta andando la destra francese? Non lo so: penso che sia nella più assoluta confusione. Una parte fa gli occhi dolci al Front national (non è il mio caso) e una parte è convinta di non poter vincere senza allearsi con il centro (questa è sempre stata la mia politica). Ecco perché nel 2002 ho creato l’Ump, ossia l’alleanza fra destra e centro. Oggi la destra francese è lacerata fra queste due visioni. Ci vorrà tempo perché le cose si rimettano in sesto. Molto dipenderà dal successo o dal fallimento di Macron. Se riuscirà, come spero, si potranno ricomporre le formazioni politiche di centrodestra e di centrosinistra. Se fallirà, forse la strategia del partito repubblicano sarà vincente. E la sinistra dove sta andando? Il partito socialista è molto, molto, molto malato: ha perdute truppe, militanti, dirigenti, programma, visione... Poi c’è l’estrema sinistra, che però non ha la vocazione di governare la Francia. È un partito di protesta che, nella situazione attuale, ha successo. Succede pure in Italia. Un panorama burrascoso... Assolutamente. È inquietante. Ma anche la Germania si è indebolita. La Spagna ha perso vigore per la questione catalana. Poi ci sono Paesi come Polonia o Ungheria che non condividono i nostri valori. Non voglio affogare nel pessimismo, ma è tutto complicato. Molto complicato. Il solo Paese che al momento non appare debole è la Francia... Ma lo è stata, lo è stata. In effetti ora non lo è più. Macron è il solo leader europeo che può esprimersi con forza sull’Europa. È vero che ha delle carte da giocare. Ma è solo. E giocare da solo non è facile. Ma Macron è di destra o di sinistra? Lui si dice né di destra né di sinistra. Sì, ma secondo lei che cos’è? Sui temi economici è liberale, per cui piuttosto di destra. Tanti suoi deputati vengono da sinistra. Oggi En marche! è un po’ un’accozzaglia. Nei prossimi mesi Macron dovrà mostrare di esser capace di dare al partito una struttura, una dottrina, un’unità. È la sua sfida in vista delle europee: costituire una vera forza politica. Essendo a Venezia, mi tocca chiederle se ha ancora «la tentazione di Venezia», come recita il titolo di un suo libro. Pensa ancora a mollar tutto e trasferirsi qui? Sì. Sempre. Stamattina ho passeggiato, il tempo era piacevole: sono sempre affascinato da questa città. Mi piacerebbe avere un piccolo appartamento, ma non è all’ordine del giorno. Continuerà a fare il sindaco a Bordeaux? Fino al 2020 sì. Poi si vedrà.