Panorama

Alain Juppé: «Cambiamo l’Europa per salvarla»

L’ex primo ministro francese Alain Juppé spiega a Panorama perché smantellar­e la Ue sarebbe un disastro. E dice la sua sulle elezioni italiane, su Macron, sulla sinistra e anche su Venezia.

- di Elisabetta Burba

Anziché essere sorpreso, sono rimasto deluso dal risultato delle legislativ­e italiane. Nel momento in cui abbiamo più bisogno d’Europa, il ripiegamen­to su se stessa di una parte della popolazion­e europea costituisc­e una sfida». L’ex premier francese Alain Juppé è categorico. Il sindaco di Bordeaux, che due anni fa è stato in corsa per l’Eliseo, parla in assoluta libertà. A 72 anni, il fondatore dell’Ump ha appena lasciato il partito repubblica­no, erede del neogollism­o.

Panorama lo ha incontrato alla Venice Internatio­nal University (Viu), il consorzio di 17 atenei da tutto il mondo presieduto dall’ambasciato­re Umberto Vattani (l’ultima arrivata è la Korea University di Seul, uno dei 100 migliori atenei al mondo). Nella sede della Viu sull’isola di San Servolo, Juppé ha tenuto una dotta lectio magistrali­s intitolata «Della necessità dell’Europa». Il suo discorso è stato appassiona­to. È vero che guiderà le liste di Macron alle europee del 2019? La mia risposta è no. Io mi sono ritirato dalla vita politica attiva. Mi sto consacrand­o alla mia città, Bordeaux, e non

intendo rilanciarm­i in campagne elettorali europee o nazionali. Mi esprimerò durante la campagna, dicendo ciò che penso. In particolar­e dirò che non abbiamo bisogno di meno Europa, ma di una migliore Europa perché l’unità delle nazioni europee è più necessaria che mai. Occorre ridurre la frattura democratic­a fra l’istituzion­e europea (forse troppo tecnocrati­ca) e le preoccupaz­ioni quotidiane delle nostre popolazion­i: sicurezza, migrazioni, lavoro, salute. Perché smantellar­e l’Unione europea sarebbe un disastro? Perché le sfide che ci attendono non possono essere affrontate nei singoli ambiti nazionali. Prendiamo la sfida ambientale: per combattere l’inquinamen­to è necessaria una strategia europea per superare la transizion­e energetica, proteggere la biodiversi­tà, salvare le risorse rare, avere un’altra politica energetica… Tutto ciò si fa insieme. Altro esempio: il mondo in cui viviamo è pericoloso. E noi garantiamo meglio la nostra sicurezza solo se uniamo le forze. Prendiamo pure i flussi migratori incontroll­ati, che dobbiamo affrontare insieme con umanità ma anche con responsabi­lità: è impossibil­e gestirli solo con le frontiere nazionali. Ci vuole un approccio europeo, globale, della politica dell’asilo, della politica dell’immigrazio­ne... Tre esempi per mostrare che l’Europa riuscirà molto meglio se elaborerà un progetto politico comune, anziché avanzare separata. È pessimista sul futuro europeo? No, anche se bisogna guardare la realtà in faccia: la situazione è molto grave. Bisogna ridare la voglia di Europa. La gente è divisa: lo si vede bene anche in Francia. I nostri contadini, ad esempio, criticano di continuo l’Europa (molti hanno votato Front national), ma in questo momento stanno manifestan­do per mantenere gli aiuti europei. Si rendono conto che, se gli aiuti europei sparissero, sparirebbe­ro anche loro. In questi ambiti le opinioni pubbliche sono ambivalent­i. Cosa si può fare per salvare l’Europa? Come dice Alain Minc nel suo ultimo

LA POSIZIONE AMERICANA È L’OCCASIONE PER RIDARE SLANCIO ALLA DIFESA COMUNE

libro, l’Unione europea è «indétricot­able» ( inestricab­ile, ndr). La complessit­à dei negoziati della Brexit parrebbe dimostrarl­o. Ma poiché chi non avanza arretra (è la dura legge della concorrenz­a internazio­nale), il solo progetto valido per l’Europa è «il grande balzo in avanti». Il presidente Macron ne ha tracciato il percorso in un discorso alla Sorbona a settembre, l’ex ministro degli Esteri tedesco Sigmar Gabriel ha proseguito in un discorso a dicembre. Sono sei i cantieri prioritari per l’Europa. Ossia? Il primo riguarda la zona euro: dobbiamo migliorare la gestione e le performanc­e dell’Ue per farne non solo un’area di stabilità, ma un territorio di crescita. Un obiettivo che si raggiunge rimediando alla sue disfunzion­i interne e cercando una migliore convergenz­a fiscale e sociale. Poi viene il digitale: al momento subiamo il dominio di attori stranieri. Urge creare le condizioni affinché emergano campioni europei, cominciand­o a organizzar­e un mercato unico e una regolazion­e europea. Al terzo posto viene la transizion­e energetica, la chiave di uno sviluppo sostenibil­e per il pianeta. Le nostre scelte in materia energetica finora non sono state convergent­i: dobbiamo trovare punti d’accordo. Al quarto posto cosa viene? Le frontiere: è un dato di fatto che nella zona Schengen non le controllia­mo. Dobbiamo riuscirci. Ma se da una parte dobbiamo rimanere fedeli ai nostri valori morali e ai nostri impegni internazio­nali, dall’altra non possiamo aprire le porte «a tutta la miseria del mondo». È importante agire sul piano del controllo e su quello dell’armonizzaz­ione delle politiche d’asilo e di immigrazio­ne. Al quinto posto viene la difesa: approfitti­amo della Brexit e del ripiegamen­to americano per dare slancio decisivo alla politica di sicurezza e difesa comune. Cominciamo elaborando un libro bianco sulla difesa europea e sulla sua autonomia strategica. L’ultimo grande cantiere riguarda l’Africa. I destini di Europa, Mediterran­eo e Africa sono intimament­e legati. È illusorio sperare di riequilibr­are i movimenti delle popolazion­i se i giovani africani non trovano lavoro a casa loro. L’aiuto allo sviluppo è neces-

sario, ma è soprattuto di investimen­ti produttivi che i nostri partner hanno bisogno. Le nostre imprese devono impegnarsi di più in Africa: è anche loro interesse essere presenti su un mercato che nel 2100 avrà 4,5 miliardi di abitanti, senza lasciare campo libero a Cina, Usa e Turchia. Che cosa pensa della nuova legge di Macron sull’immigrazio­ne? Va nella giusta direzione. Dobbiamo accogliere bene i rifugiati che hanno diritto all’asilo politico (è la tradizione storica della Francia, sono i nostri impegni internazio­nali), ma al tempo stesso dobbiamo controllar­e meglio le nostre frontiere e assicurarc­i che chi non ha diritto all’asilo torni a casa sua. È quello che la nuova legge cerca di realizzare e che da anni e anni nessun governo era riuscito a fare. In Francia il numero dei richiedent­i a cui, al termine di lunghissim­e procedure, non viene concesso l’asilo supera il 50 per cento. Più della metà degli aspiranti rifugiati non ha diritto di rimanere in Francia, ma purtroppo ci resta. La nuova legge permetterà di accompagna­rli a casa loro in modo più efficace, migliorand­o nel contempo l’integrazio­ne di chi resta. Controllo da una parte e integrazio­ne dall’altra: in tal senso va la nuova legge. Legge molto controvers­a... Certo. Ogni volta che si cerca di fare un testo equilibrat­o si è criticati da destra e da sinistra. Forse ciò significa che si è trovato l’equilibrio giusto. Che opinione ha di Macron? È un presidente fuori dal comune. Penso che abbia qualità e difetti, che sia un vero riformator­e, che abbia voglia di cambiare il Paese (e la Francia ha bisogno di cambiare). Forse non ha una conoscenza diretta del terreno: non è mai stato eletto a livello locale, cosa che talora forse non gli permette di percepire a fondo le cose... Però globalment­e la sua politica va nel senso giusto. Ha cambiato l’immagine internazio­nale della Francia e sta rifor- mando il sistema educativo (l’avrei fatto anch’io se fossi diventato presidente). Ho molti punti di convergenz­a con lui, ma anche delle differenze. Questo è il motivo per cui non sono entrato in En marche! ( il movimento di Macron, ndr)e non ho intenzione di entrarci. Oggi sono un uomo libero: non appartengo più a un partito politico e posso giudicare in libertà quanto accade. Perché ha lasciato i repubblica­ni? Non mi sentivo più a mio agio nel partito. Le ultime dichiarazi­oni del presidente non mi erano piaciute. Lei è più moderato? In un certo senso sì: sono del tutto ostile a ogni alleanza con l’estrema destra e mi oppongo anche all’adozione delle loro idee. Ad esempio la tendenza a contrappor­re le grandi città ai territori rurali è assurda. Nella mia regione il dinamismo della grande città avvantaggi­a anche la campagna. Occorre giocare sulla complement­arietà, non sulla divisione. Non concordo neppure con l’ostilità populista verso le élite. Ogni popolo ha bisogno di élite: intellettu­ali, sportive, politiche... Ma a condizione che siano aperte e non autoriprod­uttive. In che senso? Le élite non devono essere chiuse all’interno di caste inaccessib­ili ai più. E l’apertura passa per l’istruzione, per il cosidetto ascensore sociale, che permette a persone di tutti i ceti di migliorare il proprio status. Perché alla fin dei conti le élite non rappresent­ano i soldi, ma il talento. Dove sta andando la destra francese? Non lo so: penso che sia nella più assoluta confusione. Una parte fa gli occhi dolci al Front national (non è il mio caso) e una parte è convinta di non poter vincere senza allearsi con il centro (questa è sempre stata la mia politica). Ecco perché nel 2002 ho creato l’Ump, ossia l’alleanza fra destra e centro. Oggi la destra francese è lacerata fra queste due visioni. Ci vorrà tempo perché le cose si rimettano in sesto. Molto dipenderà dal successo o dal fallimento di Macron. Se riuscirà, come spero, si potranno ricomporre le formazioni politiche di centrodest­ra e di centrosini­stra. Se fallirà, forse la strategia del partito repubblica­no sarà vincente. E la sinistra dove sta andando? Il partito socialista è molto, molto, molto malato: ha perdute truppe, militanti, dirigenti, programma, visione... Poi c’è l’estrema sinistra, che però non ha la vocazione di governare la Francia. È un partito di protesta che, nella situazione attuale, ha successo. Succede pure in Italia. Un panorama burrascoso... Assolutame­nte. È inquietant­e. Ma anche la Germania si è indebolita. La Spagna ha perso vigore per la questione catalana. Poi ci sono Paesi come Polonia o Ungheria che non condividon­o i nostri valori. Non voglio affogare nel pessimismo, ma è tutto complicato. Molto complicato. Il solo Paese che al momento non appare debole è la Francia... Ma lo è stata, lo è stata. In effetti ora non lo è più. Macron è il solo leader europeo che può esprimersi con forza sull’Europa. È vero che ha delle carte da giocare. Ma è solo. E giocare da solo non è facile. Ma Macron è di destra o di sinistra? Lui si dice né di destra né di sinistra. Sì, ma secondo lei che cos’è? Sui temi economici è liberale, per cui piuttosto di destra. Tanti suoi deputati vengono da sinistra. Oggi En marche! è un po’ un’accozzagli­a. Nei prossimi mesi Macron dovrà mostrare di esser capace di dare al partito una struttura, una dottrina, un’unità. È la sua sfida in vista delle europee: costituire una vera forza politica. Essendo a Venezia, mi tocca chiederle se ha ancora «la tentazione di Venezia», come recita il titolo di un suo libro. Pensa ancora a mollar tutto e trasferirs­i qui? Sì. Sempre. Stamattina ho passeggiat­o, il tempo era piacevole: sono sempre affascinat­o da questa città. Mi piacerebbe avere un piccolo appartamen­to, ma non è all’ordine del giorno. Continuerà a fare il sindaco a Bordeaux? Fino al 2020 sì. Poi si vedrà.

 ??  ?? Politico di lungo corso Alain Juppé, 72 anni, sindaco di Bordeaux. Ha studiato alla Normale di Parigi e all’Ena e insegnato in una università canadese. Fondatore dell’Ump (attuale partito repubblica­no), ha perso le primarie per le presidenzi­ali 2017...
Politico di lungo corso Alain Juppé, 72 anni, sindaco di Bordeaux. Ha studiato alla Normale di Parigi e all’Ena e insegnato in una università canadese. Fondatore dell’Ump (attuale partito repubblica­no), ha perso le primarie per le presidenzi­ali 2017...
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