La seconda patria dei Filippini: Jollibee
La catena più amata dell’Asia è sbarcata in Europa. E ogni giorno migliaia di persone si mettono in coda per mangiare un Chickenjoy e sentirsi a casa. Alcuni arrivano anche da Francia e Germania.
Sul sito web di Jollibee, il più grande fast food filippino con i suoi 3.800 ristoranti sparsi in 17 nazioni, è scritto chiaro. «Jollibee è talmente amato che quando apre un nuovo negozio, soprattutto all’estero, i filippini formano lunghe code fuori dal ristorante. È più di una casa per loro. È una roccaforte della loro cultura e un monumento all’orgoglio nazionale». Leggendo queste parole è più facile capire perché dal 18 marzo, giorno dell’inaugurazione del punto vendita milanese a due passi dal Duomo, migliaia di filippini dalle 8 alle 23 si mettano in coda per mangiare un Aloha burger, uno Spaghetti special o un pollo fritto Chickenjoy, la specialità della catena fondata da Tony Tan Caktiong nel 1978. «Per noi è come tornare a casa. Io manco dalle Filippine da anni perché il viaggio costa caro, ma adesso grazie a Jollibee è come se non me ne fossi mai andata» racconta Angela, da più di 15 anni a Milano e in coda dalle 8 e 30 davanti al nuovo locale per ottenere l’agognato biglietto di prenotazione che le garantirà l’ingresso al suo angolo di paradiso culinario. Una coda nella coda. «Il successo è stato così travolgente che abbiamo dovuto inventarci una fila dove distribuiamo un ticket per fascia oraria» racconta un ragazzo filippino dello staff. «Le attese erano arrivate anche a otto ore. Troppo. Con il biglietto che ritiri la mattina, invece, ti ripresenti all’ora prestabilita e non perdi tempo». Il problema è che alle 11 la «prevendita» dei posti è già sold out. «I biglietti per oggi sono terminati. A domani» annuncia ai presenti e nessuno si lamenta. Anzi, qualche irriducibile resta in coda sperando in defezioni dell’ultimo momento e per ingannare l’attesa si scatta una raffica di selfie abbracciato all’ape Jollibee, il pupazzo simbolo della catena asiatica che ronza leggero per allietare i filippini in fila fuori dal locale. L’atmosfera è talmente gioiosa, tra famiglie vocianti e bimbi che scorrazzano tra le transenne, che ci si dimentica di essere in piedi al freddo ad aspettare il proprio turno per entrare in un fast food e non nel ristorante stellato di Carlo Cracco, che dista solo 200 metri in linea d’aria. Persino l’addetto alla sicurezza è rilassato. «Se quelli in coda fossero italiani invece che filippini avremmo già visto la rivoluzione» si lascia sfuggire l’omone alto due metri, che racconta come il giorno dell’inaugurazione la fila superava il chilometro. Problemi d’ordine pubblico? «Ma sta scherzando! Neanche una spinta! Come vede qui tutti si divertono, sono felici persino di stare in coda… Per me è il lavoro migliore del mondo anche se non ho ancora capito se il cibo che servono è buono oppure no».
Ma in fondo poco importa se gli spaghetti con pomodoro e wurstel sono scotti o l’hamburger insaporito da una dolcissima fetta d’ananas è stucchevole o meno. Da Jollibee con meno di 10 euro si vende un sogno, quello di sentirsi a casa, di sedersi a tavola a far due chiacchiere per tornare indietro nel tempo, di raccontare ai propri figli un Paese che tanti di loro non hanno mai visto. «Il successo che stiamo avendo ha stupito noi per primi»
dice Gaetano Cecere, attuale responsabile del business di Jollibee in Italia e un passato nella ristorazione veloce di Autogrill e Burger King. «Il locale può servire più di 2 mila pasti al giorno eppure siamo costretti a rimandare la gente a casa». Con 50 dipendenti in gran parte asiatici («per agevolare il passaggio di consegne tra il team venuto da Manila e i ragazzi dello staff») e capitali anglo-svizzeri, il primo Jollibee europeo è stato letteralmente preso d’assalto dai filippini di tutt’Italia. E non solo. «Abbiamo clienti che vengono dal Lazio, dal Piemonte e dalla Sicilia» continua Cecere «e grazie ai social sappiamo che sono in arrivo delegazioni da Londra, Parigi e Berlino». E gli italiani? «Per ora il fast food è dedicato ai filippini, ma in futuro la formula sarà un po’ modificata per piacere anche agli europei». Nei piani della catena c’è l’espansione nel Vecchio continente, in Italia, Gran Bretagna e Spagna. La politica di Jollibee è quella di aprire locali in Paesi dove la presenza di filippini espatriati è alta (in Italia sono 165 mila quelli censiti nel 2016), strategia testata con successo in America, Canada e Medio Oriente. E il colosso asiatico della ristorazione veloce da 1,9 miliardi di euro di fatturato e 28 mila dipendenti dopo l’Europa ha già messo gli occhi su Giappone e Australia, dove conta di sbarcare già nel 2020, spostando l’asse dei ricavi dalle Filippine al resto del mondo. Un obiettivo non facile, ma neppure impossibile per una catena che nel suo Paese è riuscita a doppiare la quota di mercato di McDonald’s (52 per cento contro 26), unico caso al mondo. Intanto, sotto la Madonnina, a mezzogiorno il pollo fritto
è già finito. «Sono venuta da Modena con le mie amiche per assaggiare proprio quello» dice dispiaciuta Patricia, dal 1992 in Italia. «Pazienza, prenderò gli spaghetti e tornerò un’altra volta per assaggiare il Chickenjoy». Cecere si scusa e sorride, sfinito. «Adesso capisce quando dico che il successo ci ha preso in contropiede. E pensare che l’attuale è solo una pre-apertura, perché l’inaugurazione ufficiale sarà il prossimo 11 aprile». E chissà quanti polli si friggeranno quel giorno…