Panorama

PANORAMA

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ha contattato la Farnesina e ha chiesto inutilment­e i nomi dei componenti la delegazion­e cinese in visita ufficiale di Stato in Italia. La domanda alla quale cercavamo una risposta è semplice: davvero un sottosegre­tario del governo cinese si è accompagna­to con l’uomo che dalle nostre forze di polizia viene ritenuto il capo della mafia cinese in Italia e in Europa?

Se c’è stato un contatto «proibito», era inconsapev­ole? Certo, la «presa in carico» per un giro a Roma del sottosegre­tario cinese non è avvenuta in maniera casuale, ma su precisa richiesta arrivata da Pechino da parte di un uomo, Laolin, che per la polizia italiana avrebbe entrature molto forti grazie al business delle miniere di carbone. Uomo che viene considerat­o il braccio

destro dello stesso capo dei capi, Naizhong. Nell’analisi degli elementi per trovare una risposta alla domanda di partenza, gli inquirenti italiani mettono sul tavolo anche un fatto avvenuto ai primi di dicembre dello scorso anno, poco prima della visita ufficiale in Italia. Succede che il figlio del padrino, Zhang Di, viene arrestato in Cina. Il contatto telefonico con persone in stato di fermo dovrebbe essere vietato, anche a Pechino, ma Naizhong alza il telefono dall’Italia e parla direttamen­te con il figlio. In videochiam­ata, come spiega successiva­mente alla nuora, la moglie di Zhang Di, il quale verrà comunque rilasciato pochi giorni dopo.

Nel frattempo, il cerchio della polizia italiana partito dal duplice omicidio di due giovani cinesi, uccisi a Prato nel 2010, sta per stringersi. Il 17 gennaio Zhang Naizhong arriva a Prato in compagnia del figlio. Durante il giro delle sue aziende cambia continuame­nte auto, i poliziotti che gli sono alle costole alla fine ne conterannn­o otto. Al ristorante durante il pranzo le persone fanno la fila per essere ricevute. Si avvicinano, lo salutano, si inchinano. La notte, in albergo, dorme sul letto con un uomo che lo protegge a vista dal divano. Al mattino, Zhang Naizhong viene arrestato dalla polizia su ordine della Direzione distrettua­le antimafia di Firenze, che spicca un mandato di cattura per 33 persone, tra le quali c’è Laolin e pure il figlio di Naizhong. Altri 54 sono indagati a piede libero. L’accusa per tutti è di associazio­ne per delinquere di stampo mafioso. Il capo dei capi viene portato in questura, si toglie dal polso l’orologio da 25 mila euro, si sfila anche l’anello con un diamante grosso quanto una nocciola, e si chiude nel silenzio. Rimane per molte ore da solo in una stanza della questura, quando i poliziotti lo accompagna­no al fotosegnal­amento, tutti gli altri arrestati seduti sulle sedie in corridoio, al suo passaggio abbassano la testa in segno di deferenza. Secondo i magistrati, siamo in presenza di una organizzaz­ione mafiosa che gestisce attività illecite come usura, estorsione, gioco d’azzardo, sfruttamen­to della prostituzi­one, spaccio di sostanze stupefacen­ti, importazio­ni illegali, commercio di merci contraffat­te. Una struttura potente che agisce con discre-

zione, non si pone mai in aperto antagonism­o con lo Stato, e che grazie alla gigantesca quantità di denaro contante ricavato dalle attività illecite è riuscita ad acquisire di fatto il controllo assoluto nel settore dei trasporti delle merci su strada. Tutto ciò, secondo gli investigat­ori, facendo ricorso ad azioni intimidato­rie e violente. A questo riguardo, gli uomini della polizia che hanno condotto l’inchiesta sono anche andati a rileggere diversi omicidi di cittadini cinesi avvenuti in Italia negli anni scorsi, e grazie ai nuovi elementi emersi durante le ultime intercetta­zioni sono arrivati ad alcuni punti fermi: gli autori degli omicidi erano tutti uomini del giro di Zhang Naizhong, e le vittime erano per la maggior parte concorrent­i commercial­i nel settore cruciale dei trasporti. In un caso specifico, l’assassinio di Su Zhi Jian, per il quale Naizhong era stato condannato per favoreggia­mento in primo grado e assolto in appello, le nuove risultanze investigat­ive della polizia vengono ritenute valide al punto da ipotizzare che Naizhong sia il «mandante» di quell’omicidio. Fin qui le certezze degli inquirenti. Ma il tribunale del Riesame di Firenze l’8 febbraio scorso ha provveduto a raffreddar­e gli animi. Scarcerazi­one di quasi tutti gli arrestati, la metà dei quali, compreso Naizhong, spediti ai domiciliar­i con braccialet­to elettronic­o, e riformulaz­ione dei singoli reati che non sarebbero legati da associazio­ne mafiosa.

Un duro colpo quello inferto dai giudici alla Procura, che ha già presentato ricorso in Cassazione e che però negli ultimi giorni ha portato a casa un punto importante a favore dell’in- chiesta. Chiamato in causa dai legali degli indagati che chiedevano il dissequest­ro delle 13 società, due delle quali in Francia e tre in Spagna, otto auto di grossa cilindrata, due immobili e 61 fra conti correnti e deposito titoli, lo stesso tribunale del Riesame di Firenze ha infatti respinto la richiesta e mantenuto il sequestro preventivo sulla base di queste motivazion­i: «Le società risultano comunque riferibili a Zhang Naizhong», ed è stata provata l’evidenza di come «il capo dell’organizzaz­ione criminale, Zhang Naizhong, poteva disporre di ingenti quantità di denaro che rappresent­ano i proventi delle attività illecite poste in essere dal gruppo criminale in questione, quali per esempio la contraffaz­ione, il gioco d’azzardo, l’usura, le estorsioni, lo spaccio delle sostanze stupefacen­ti e lo sfruttamen­to della prostituzi­one».

Una conferma evidente che il sodalizio criminale di cui parla la procura esiste e ha al suo vertice il padrino, l’uomo nero, il capo dei capi:

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I contanti sequestrat­i e che secondo gli inquirenti sono frutto delle attività illecite del gruppo criminale cinese di Prato.

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