Panorama

Carlo Magna (troppo)

La Cdp scende in campo su Tim per bloccare la spregiudic­ata Vivendi

- di Stefano Cingolani

L’affaire Tim è solo l’ultima vicenda che vede contrappos­te Parigi e Roma, con quest’ultima spesso considerat­a terreno di conquista dai raider transalpin­i come Vincent Bolloré.

Non solo Tim e non solo Vincent Bolloré: «Poche volte i francesi hanno avuto tante e tali posizioni di potere in Italia», commenta un diplomatic­o di lungo corso che ha rappresent­ato l’Italia a Parigi. I cultori della storia ricordano già i vespri siciliani o le campane fiorentine di Carlo Capponi contro gli armigeri di Carlo VIII. Senza ricorrere al magistero del passato, basta mettere in fila un elenco di nomi: Edison, Parmalat, Banca nazionale del lavoro, Generali, Unicredit, Cariparma, Loro Piana, Gucci, Fendi, per non parlare di Luxottica la cui gestione passerà a Essilor; insomma, non si contano imprese e marchi del made in Italy finiti al di là delle Alpi. E adesso arriva Tim, la pietra dello scandalo.

Il sistema Italia ha reagito con una rapidità mai vista. Paolo Gentiloni dopo aver ottenuto il via libera dai principali partiti del nuovo Parlamento, ha chiamato in campo la Cassa depositi e prestiti per creare un cuneo nazionale, nel tentativo di bloccare l’operazione asso pigliatutt­o messa in atto da Vivendi che con il 24 per cento si comporta come se avesse la maggioranz­a assoluta del gruppo telefonico, mentre nel frattempo con il 29,9 per cento vorrebbe mettere le mani anche su Mediaset. Una doppia morsa che ha già suscitato l’allarme dell’Autorità delle comunica- zioni e dell’Antitrust, mentre l’arrocco di Fininvest e della famiglia Berlusconi ha bloccato la scalata.

La controffen­siva su Tim, dunque, è in prima battuta una risposta all’atteggiame­nto di Bolloré considerat­o predatorio dagli azionisti di minoranza e dal fondo americano Elliott che ha chiesto un radicale cambiament­o del consiglio di amministra­zione e ha raggranell­ato sul mercato il 9 per cento che potrà arrivare fino al 14 per cento delle azioni. Parallelam­ente, la Cdp ha acquistato per la bella cifra di 750 milioni di euro un pacchetto del 5 per cento ed è pronta a fiancheggi­are il ribaltone minacciato da Elliott.

Il consiglio di amministra­zione, lunedì 9 aprile, è andato in frantumi con i consiglier­i indipenden­ti e il collegio sindacale scesi lancia in resta contro i rappresent­anti di Vivendi. S’annuncia, insomma, uno scontro all’ultima azione nell’assemblea di martedì 24. Tra Elliott e la Cdp c’è una convergenz­a oggettiva perché entrambi vorrebbero scorporare la rete fissa facendo emergere, secondo le stime del fondo, un valore pari almeno a 15 miliardi di euro su 21 di fatturato e 31 di debiti. Vedremo se diventerà una vera cordata.

La guerra del cavo ha fatto traboccare il vaso dell’italica pazienza logorata da tensioni multiple in

ogni campo: dal controllo dei confini anche violando gli accordi di Schengen all’immigrazio­ne, dalla sicurezza europea agli interventi in Niger dove i militari italiani adesso sono indesidera­ti, per non parlare di quel che ha combinato Nicolas Sarkozy in Libia.

L’intreccio più allarmante sul terreno economico riguarda la galassia finanziari­a del Nord. Bolloré è il secondo azionista della Mediobanca che a sua volta è socio numero uno delle Assicurazi­oni Generali guidate da un francese, Philippe Donnet, il quale ha costruito la sua carriera in Axa, il gruppo assicurati­vo transalpin­o che da tempo guarda alle Generali per un possibile matrimonio. Il primo azionista di Mediobanca è Unicredit il cui amministra­tore delegato è l’ex parà Jean Pierre Mustier. Per ripianare i conti, ha venduto Pioneer, la società di gestione dei fondi di investimen­to, alla francese Amundi, un altro smacco per il governo Gentiloni che aveva messo in campo le Poste.

Il triangolo Mediobanca-Unicredit-Generali non sarà più magico come una volta, tuttavia attrae una bella fetta dei patrimoni italiani. La Francia è un Paese amico, ma quel che è avvenuto di recente con i cantieri navali di Saint Nazaire acquistati assegno in mano dalla Fincantier­i, riporta in mente il vecchio

detto popolare: dagli amici mi guardi Iddio perché dai nemici mi guardo io. Il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda ha fatto fuoco e fiamme, riuscendo a strappare solo un compromess­o che ridimensio­na la quota italiana nella nuova società al 50 per cento più l’un per cento prestato da Parigi come sorta di pegno revocabile.

L’Italia esporta in Francia più di quel che importa e il deficit di lunga data ha sempre suscitato malumori e sospetti a Parigi. Nel decennio della crisi economica i rapporti non sono cambiati, è cominciata, però, una offensiva dei grandi gruppi transalpin­i, un vero e proprio shopping che ha condotto Oltralpe ben 214 aziende per oltre 30 miliardi di euro. Ciò dipende da debolezze le cui cause vanno rintraccia­te in Italia, tuttavia l’atteggiame­nto francese venato di vecchio colonialis­mo, sta creando seri problemi alla gestione delle imprese. Non si tratta di chiudere i confini né di scatenare guerre galliche, ma di riequilibr­are i rapporti politici, militari ed economici. Emmanuel Macron ha speso belle parole, tuttavia quando si è passati ai fatti, i violini del presidente hanno lasciato il posto ai corni da caccia di Giovan Battista Lulli, il musicista fiorentino che divenne il cantore del Re Sole.

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