Panorama

1968, come lo giudica chi non è di sinistra

Voleva essere una rivoluzion­e, invece fu un fallimento. Da lì nacquero le fake news.

- di Marcello Veneziani giornalist­a e scrittore

Nel diluvio di celebrazio­ni che si sono aperte sul ’68 in occasione del cinquanten­ario, è possibile una lettura irriverent­e? Viviamo tra le rovine del ’68. Tante e confuse furono le sue eredità, pesanti quanto ineffabili, ma tra tutte prevale una: si persero i confini tra il vero e il falso, tra il fatto e la diceria, tra il ragionamen­to e l’emozione, tra i diritti e i desideri. Il ’68 scoprì che dietro ogni verità, dietro ogni fatto, dietro ogni ordine, ogni storia e ogni legge, anche di natura, c’è un abuso di potere, un sopruso e un falso ideologico. Il regno del fake. Niente è come appare, tutto è come mi sembra. Non c’è la Realtà vera, e non c’è fedeltà, autorità, natura, merito; ma tutto è soggettivo e soggetto ai modi di vedere, di pensare, di sentire. Tutto è figlio del clima sociale, è frutto d’interpreta­zione e stato d’animo.

Nel ’68 si persero i confini anche tra lecito e illecito, tra naturale e volontario, tra realtà e sogno, tra alto e basso. E tra sessi, tra stati, tra popoli. Nacque il nostro mondo sconfinato, in tutti i sensi. E nacque la post-verità, cioè la verità a modo mio.

Il ’68 fallì come rivoluzion­e politica ed economica, gli assetti di potere restarono invariati e il capitalism­o, anziché crollare, si fece globale. Ma trionfò come rivoluzion­e di costume, come mutazione culturale, intaccò i linguaggi, il sesso, il privato e attaccò la scuola e l’università, la famiglia e il rapporto tra le generazion­i. In quei campi lasciò soprattutt­o macerie. Il ’68 nacque collettivi­sta e si fece single, individual­ista, egocentric­o e narcisista. Nacque giovanilis­ta e restò puerile. Avversò la tolleranza repressiva e produsse l’intolleran­za permissiva, tutto è permesso, guai a chi dissente. Il ’68 non lasciò capolavori, eroi, eventi, imprese.

Certo, fu una scossa, svecchiò, produsse pure qualche salutare cambiament­o, si pensi alle donne. Sfociò in rivoli contrastan­ti, che finirono nell’estremismo politico o nel radicalism­o civile, nell’ecopacifis­mo o nella violenza degli anni 70 e nella droga. Negli anni 80, sulle orme del ’68 sorsero i filoni libertari, libertini e liberisti che spinsero verso la modernizza­zione. Non a caso qualcuno ritiene persino il berlusconi­smo un frutto del ’68. Ma l’orma prevalente che lasciò fu la rottura: il ’68 ruppe il legame necessario tra diritti e doveri, tra libertà e responsabi­lità, tra meriti e risultati, tra giovani e anziani. E alla fine quella rivoluzion­e contro il potere diventò una rivoluzion­e contro la tradizione, al servizio di un potere più cinico e globale, che si voleva liberare dei confini religiosi, nazionali e famigliari per crescere più sfrenato e mutare i credenti in consumator­i. E trovò nel ’68 i suoi gendarmi, poi i suoi agenti, infine i suoi creativi.

La trasgressi­one si fece canone, il parricidio diventò conformism­o e political correctnes­s. In Rovesciare il ’68 sostenni che oggi la vera trasgressi­one è la tradizione. Urge una ribellione omeopatica al dominio del ’68 parruccone.

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