Panorama

Elliott e le storie tese

Chi è, come si muove, chi sono i suoi uomini nel nostro Paese: identikit del finanziere che con il suo fondo «attivista» tenta un clamoroso ribaltone degli equilibri in Telecom Italia. In base a un principio molto anglosasso­ne: le azioni si contano e non

- di Stefano Cingolani

Dieci anni fa, quando scoppiò la grande crisi,

li chiamavano avvoltoi, locuste, vampiri; poi sono diventati, più prosaicame­nte, fondi attivisti; adesso l’ironia della storia rischia di trasformar­li in campioni della sovranità nazionale. L’offensiva in Tim del fondo americano Elliott contro la Vivendi di Vincent Bolloré ha raccolto un ampio consenso mediatico-politico. Non solo: è sceso direttamen­te in campo il governo italiano attraverso la Cassa depositi e prestiti che ha acquistato il 4,5 per cento delle azioni sul mercato con il plauso dei partiti che hanno vinto le elezioni, a cominciare dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle.

All’assemblea di martedì 24 la Cdp si schiererà con il fondo che detiene il 13,7 per cento, ma che potrebbe contare sul 34-35 del capitale se altri fondi voteranno la sua lista, contro il 24 del gruppo francese. Comunque vada a finire, la campagna italiana di Elliott segna uno spartiacqu­e.

Non c’entra niente Walt Disney (ricordate il grazioso film Elliott il drago invisibile?) tanto meno l’augusto poeta della Terra desolata: Paul Elliott Singer ha voluto dare il suo secondo nome alla propria creatura, un hedge fund, il cui obiettivo è produrre rendimenti costanti nel tempo, attraverso investimen­ti singolarme­nte ad alto rischio finanziari­o, ma con ritorni molto fruttuosi. Gli impieghi vengono suddivisi in una pluralità di operazioni in modo da bilanciare le perdite, con tecniche chiamate in inglese hedging (da hedge, siepe) cioè tali da coprire le esposizion­i pericolose con impieghi più sicuri. Al gioco può partecipar­e solo chi ha un patrimonio consistent­e: almeno un milione di dollari negli Stati Uniti con un massimo di 99 soci (mezzo milione di euro secondo le norme

italiane senza un numero limite di investitor­i).

Paul Singer, classe 1944, figlio di un farmacista ebreo di Manhattan, dopo la laurea alla Harvard Law School si butta negli affari con una delle banche d’investimen­to più aggressive nella compravend­ita di aziende, la Donaldson, Lufkin & Jenrette. Dopo tre anni, nel 1977, è già in grado di creare il suo fondo raccoglien­do 1,3 miliardi di dollari.

Manovra titoli pubblici di Paesi sull’orlo del crac (ha operato alla grande in America del Sud, soprattutt­o in Perù e Argentina) così come aziende in crisi con potenziali­tà di rimettersi in carreggiat­a: la compagnia aerea Twa, Chrysler, Delphi, Enron, WorldCom, Mci e via di questo passo. La crisi è stata una manna; anche se non sempre le cose gli sono andate bene, Singer ha potuto garantire un rendimento medio annuo del 14 per cento. Repubblica­no della prim’ora, sostenitor­e

di Rudy Giuliani e Marc Rubio, ha combattuto Donald Trump con il quale poi sembra essersi riconcilia­to. Da quando suo figlio Andrew ha fatto outing, Paul Elliott ha preso a staccare cospicui assegni per la comunità Lgbt: si parla di oltre 10 milioni di dollari.

Lo hanno chiamato in mille modi, ma lui ha sempre trascinato in tribunale (la sua specialità) chi lo accusava di essere un puro speculator­e. Memorabili la sfida contro il presidente peruviano Alberto Fujimori e la guerra giudiziari­a all’Argentina costretta a rimborsare 2,4 miliardi

di euro, dieci volte la cifra investita nei tango bond. In Italia ha una causa aperta con Finmec

canica e Hitachi per la cessione di Ansaldo Breda e della Sts ai giapponesi a un prezzo che avrebbe penalizzat­o gli investitor­i di minoranza. Il fondo, inoltre, fa da sostegno finanziari­o a Yonghong Li che ha acquistato il Milan dalla Fininvest di Silvio Berlusconi, ma se l’uomo d’affari cinese non restituisc­e entro ottobre 303 milioni di euro più 70 d’interessi, Elliott potrebbe diventare il proprietar­io della squadra di calcio nel cui consiglio di amministra­zione è rappresent­ato da Paolo Scaroni.

L’ex presidente dell’Eni, che oggi lavora per Rothschild, è solo un petalo della rosa trasversal­e che Singer ha messo insieme: spiccano Fulvio Conti, ex capo azienda di Enel, Rocco Sabelli cresciuto in Telecom Italia prima di andare all’Alitalia, Alfredo Altavilla top manager della Fca («L’ho incoraggia­to io», ha detto Sergio Marchionne qualche giorno fa, e i maligni sostengono che così ha un candidato in meno alla propria succession­e), Luigi Gubitosi già Fiat, Wind, Rai e oggi commissari­o nella compagnia aerea di bandiera, candidato a prendere il posto di Amos Genish che Vivendi ha catapultat­o alla guida di Tim.

Insomma, se Elliott è un vascello corsaro, le sue lettere di corsa portano senza dubbio firme prestigios­e. n

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