Panorama

Ma catenaccio in politica significa paralisi

La caparbietà di Berlusconi. L’arroganza di Di Maio. I tatticismi di Renzi e Salvini. L’arbitraggi­o cauto di Mattarella. Tutto è bloccato dai «no» incrociati e dalle mancate riforme istituzion­ali.

- di Giuliano Ferrara

La tigna, la caparbietà, la versione d’oggi del «non possumus», il diniego risonante di apostoli e papi. E dei garibaldin­i: Roma o morte. Silvio Berlusconi la impersona con l’allegria degli ottant’anni, la sua camicia rossa è una mano che fa di conto, un prendersi la scena a strattoni. Luigi Di Maio con l’arroganza dei trenta, il sorriso vincente e strafotten­te che forse inganna, forse illude, soprattutt­o colui che sorride. Matteo Salvini e Matteo Renzi con una misura di medietà, facendo politica, come si dice «tecnicamen­te», disponendo­si sullo scacchiere come pedine avanzate capaci di stare anche in difesa, che probabilme­nte deriva dai loro quaranta. Ma che cos’è la caparbietà in politica? Può essere il «No» subito prima del «Sì», la solita procedura furba di disporsi a un negoziato senza scoprire prima le carte. Oppure una frontiera, un discrimine, qualcosa di più profondo e magari di vitale, una disposizio­ne dell’anima personale e un’interpreta­zione rigida della logica del gruppo, del partito.

C’è anche una caparbietà di Ser

gio Mattarella. Questo vecchio e abile democristi­ano dà segno a tratti di volersi pertinizza­re, aprire al nuovo almeno verbalment­e, dare fondo finalmente a tutto il volume retorico che fino a ora si era proibito, fondando la Terza Repubblica con un incarico a Di Maio, l’impiegato della Casaleggio e associati che ha vinto una maggioranz­a relativa di partito alle elezioni contro un politico più sostanzial­e, ma intrattabi­le, che guida la coalizione arrivata prima. Oppure è il formalismo del notaio, che metterà il suo timbro, con su scritto «transizion­e», solo quando sarà finita la lite e si vedrà che non c’erano grandi ragioni dietro la lite. Chissà. La tigna comunque prolunga sempre il tempo della riflession­e, mentre ne ostacola il carattere aperto, trasparent­e.

Berlusconi pretende il rispetto dovuto a un fenomeno della na

tura, un reddito di inclusione che è anche uno status, e vorrei vedere. Di Maio pretende la sottomissi­one, e non si vede ancora come possa ottenerla. Salvini e Renzi pretendono ciascuno un risultato, di posizione e di movimento, ma per adesso non sanno come realizzarl­o. Le cose si incartano nella tigna, le istituzion­i passano in secondo piano, se per istituzion­i si intenda la mediazione, la «calma e serena visione delle cose» di cui parlava un tempo uno statista controvers­o come Giovanni Giolitti. Di Maio ha qualcosa di crispino, di minaccioso, di arruffato, per i cultori di storia patria sa di Adua, la grande battaglia perduta del Regno d’Italia. Molti sono i Depretis, i trasformis­ti che sanno come organizzar­e e gestire maggioranz­e impossibil­i, ma con la maschera della destra storica e della sinistra socialiste­ggiante. La maschera è ancora per un tempo decisiva, è segno che dietro il disegno di un volto c’è una personalit­à, una irriducibi­lità, una singolarit­à. Siamo immersi nella psicopatol­ogia teatrale della politica nel senso vecchio e classico del termine. Non potevamo aspettarci niente di diverso quando abbiamo deciso, tra gli applausi, di bocciare le riforme istituzion­ali, impedire la tecnica del ballottagg­io, riconsegna­re l’Italia ai giochi della proporzion­ale.

Senza il ballottagg­io si riconsegna l’Italia ai giochi del sistema proporzion­ale

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy