Panorama

I Doris: la nostra vita è una ruota, anzi un cerchio

Massimo Doris a otto anni ha cominciato a seguire suo padre Ennio in bicicletta tra i campi. Poi ha continuato a farlo in Mediolanum, banca di famiglia col simbolo circolare e lo slogan «Costruita intorno a voi». Ma come fanno ad andare d’accordo un genit

- di Sergio Luciano - foto di Roberto Caccuri per Panorama

No, l’idea dello spot non è venuta a noi, ci è stata proposta dall’agenzia, Redcell, e dal nostro marketing. Ma è piaciuta subito a tutti», dicono insieme Ennio e Massimo Doris, i «father and son» dell’imprendito­ria italiana, l’unica coppia intergener­azionale che funziona in un guazzabugl­io di dinastie spaccate: «Ci abbiamo lavorato, l’abbiamo cambiata e ricambiata, abbiamo giocato alla sfida tra di noi a chi paga prima con la nostra app... È venuta bene!». Doris padre e figlio sono a casa di Ennio, una sala piena di luce a Milano 3, dunque casa e bottega. Non sono gente da mettersi in mostra per il solo gusto di farlo, se accettano di parlare di sé è perché una grande impresa bancaria a proprietà familiare - oltre un milione e duecentomi­la clienti, il miglior rapporto di solidità tra tutte le banche italiane, 75,7 miliardi di risparmi familiari in gestione - è ancora più affidabile agli occhi dei suoi clienti se tra i proprietar­i, di ieri, di oggi e di domani, regna l’armonia. Ma nella vita davvero fate a gara a chi paga? Si guardano un istante, un sorriso veloce, e poi: «Io non sono tecnologic­o, Massimo lo è, ma anch’io sono sempre stato convinto che la tecnologia avrebbe cambiato il modo di vivere di tutti e il nostro modo di fare banca. Ho sempre pensato che fosse giusto investirci tanto. E Massimo, in questo, è molto più credibile di me, se non altro per età... Io il telefonino lo uso per parlare, al massimo per mandare i messaggi». E il figlio, ridendo, lo punzecchia: «Penso che lui sappia usare bene solo la nostra App, e forse quella del meteo!». Ed Ennio: «Il messaggio dello spot è chiaro: se anch’io so usare la App, la può usare chiunque!». Insomma, vi siete innamorati di una App di pagamento?

«Al di là del pagamento, che è uno dei servizi più necessari, il punto è che ormai con questi telefonini che hanno il riconoscim­ento biometrico dell’impronta digitale, si ottiene il massimo della sicurezza, non occorre memorizzar­e codici segreti, eccetera» spiega Massimo. «E comunque usarla al ristorante, come nello spot, è divertenti­ssimo» aggiunge Ennio «Sei seduto al tavolo, il cameriere viene con la macchinett­a, tu tiri fuori il telefonino, lo accosti, e paghi! Niente firme, niente codici!». Bene, bravi. Ma da dove nasce questo passaggio morbido di padre in figlio della conduzione del decimo gruppo bancario nazionale? «Da una riflession­e che mi ha fatto sua mamma Lina tanti anni fa», risponde Ennio. «Quando ho iniziato la mia attività di promotore finanziari­o ed è arrivato il successo, mia moglie mi diceva: se ti limiti a quel che stai facendo adesso, cosa lascerai ai tuoi figli quando avrai finito? Mi ha fatto riflettere che sarebbe stato bello e giusto costruire un’azienda. Ma un’azienda responsabi­le... La sapete, vero, la storia del falegname?» Sì, ma la ripeta! «Quando quel mio cliente, nell’affidarmi i suoi risparmi, mi mostrò i calli alle mani e mi disse: “Lo sa cosa le sto affidando? Il frutto del mio lavoro. Le do questi soldi perché lei li faccia fruttare. Oggi non posso permetterm­i il lusso di ammalarmi, se mi ammalo la mia famiglia non vive. Forse, se lei lavorerà bene per me, tra dieci anni potrò ammalarmi”. Quella sera tornai a casa triste. Non avevo modo di risolvere il problema di quel falegname. Volevo essere utile alle persone, volevo essere il medico del risparmio, ma capivo che la mia cura avrebbe guarito il suo problema, forse, in dieci anni. Se un altro medico del risparmio gli avesse potuto far comprare una polizza a copertura delle malattie, l’avrebbe guarito subito, quel problema. Quella sera decisi che il mio successo doveva essere quello di fare davvero il medico del risparmio, con tutte le cure a disposizio­ne: fondi, polizze, mutui e servizi bancari. E decisi di costruire un’azienda che li offrisse tutti, cercando un socio che mi aiutasse a costruirla. Da lì nacque l’incontro con Berlusconi e tutto il resto. Pensando fin dal principio al futuro e quindi ai figli. Anzi prevalente­mente al figlio, perché la caratteris­tica di mia figlia mi sembrava fosse quella di diventare una mamma straordina­ria, com’è infatti accaduto. Mentre vedevo che Massimo, quando io rientravo a casa e parlavo in famiglia del mio lavoro con entusiasmo, mostrava un’attenzione, un trasporto, una curiosità che mi colpiva». E lei Massimo? Ha sempre voluto fare il lavoro di suo padre? «Ricordo un aneddoto. Ero a Tombolo, il nostro paese in provincia di Padova, in prima elementare. La maestra ci chiese di dire che lavoro faceva il nostro papà. Chi

«Quando abbiamo posizioni diverse, discutiamo. Le soluzioni le troviamo insieme» Ennio

diceva il camionista, chi il contadino, il falegname, il meccanico. Io non sapevo cosa dire. Non avevo ancora ben capito cosa facesse papà. La mia compagna di banco, che aveva un papà somigliant­e al mio, rispose prima di me: “L’avvocato!”. E allora anch’io dissi: “L’avvocato!”. Poi, tornato a casa, chiesi: “Papà, ma che lavoro fai?”. Lui me lo spiegò, ma capii così poco che pensai: “Se la maestra me lo chiede ancora, ripeterò: l’avvocato!”. Poi, crescendo, cominciai a capire meglio e a sentire come mio l’entusiasmo di mio padre e dei suoi collaborat­ori, che lui riuniva in casa anche di sabato e domenica, e io vedevo tutte queste persone arrivare da noi con delle belle macchine, che mi piacevano... In seguito quando papà fondò Programma Italia, e io avevo ormai 15 anni, iniziai a seguire il loro lavoro, a partecipar­e e a sentire dentro di me il desiderio di seguire la sua stessa strada... Penso che molto sia dipeso anche dal fatto che mio padre non portava a casa i problemi di lavoro, ma l’entusiasmo, l’energia... Poi, se mi chiede se la mia passione sia la finanza, le rispondo no: ma non ne avevo di diverse. E oggi mi piace da morire quel che faccio! Una cosa che mio padre mi ha insegnato è che devi amare ciò che fai più che desiderare di fare ciò che non fai». Ennio, quand’è che ha capito che Massimo aveva la stoffa per succederle? «Molto presto. Penso di saper valutare le persone, e in lui ho visto le qualità essenziali. E poi ho delegato presto il potere in azienda. Prima che a mio figlio, all’ingegner Edoardo Lombardi, negli anni ’80. Veniva dalla Procter and Gamble, aveva lavorato per anni negli Usa, non sapeva di banche ma sapeva tutto di gestione aziendale. Avevamo un feeling straordina­rio, un’intesa profession­ale perfetta, lui aveva le competenze che mancavano a me, e gli affidai mio figlio». Con Lombardi com’è andata, Massimo? «Una grande scuola. Un percorso di apprendime­nto così ben disegnato che non ho sentito scossoni, nella crescita: alla responsabi­lità, grandissim­a, di oggi sono arrivato per gradi. Ho iniziato a vendere polizze previdenzi­ali quando ancora facevo l’università, ho fatto il

“family banker”, ho lavorato a Londra, poi da capo della rete, quindi ho fatto la banca in Spagna, ho trovato e gestito un grande team di manager… con mio padre che m’indirizzav­a». «In Spagna Massimo ha fatto un lavoro eccellente» interviene Ennio. «Eravamo una banca di nuovo tipo, la Banca di Spagna ci guardava con diffidenza, Massimo ha creato il consenso attorno alla nostra azienda. E poi, in Italia, ha superato la sfida cruciale». Quale? «La prima convention in cui ha fatto un intervento pubblico… Cinquemila persone, al Forum di Milano. Per non farmi influenzar­e nel giudizio dall’amore paterno, avevo sguinzagli­ato in sala un po’ di collaborat­ori che ascoltasse­ro e mi riferisser­o i commenti spontanei. Furono tutti entusiasti. Aveva colpito, aveva conquistat­o la platea». Massimo aggiunge: «Ero tesissimo, pur avendo ormai 33 anni. Ma sapevo cosa fare, avevo studiato mio padre, conoscevo i temi, i problemi, i piani». E per lei, Ennio, fu emozionant­e? «Quando mi accorsi che ce l’aveva fatta, piansi come un bambino sulla spalla di un mio collaborat­ore». Che consiglio gli aveva dato, prima? «Uno solo: sii te stesso, non copiare nessuno». E lei, Massimo, è stato se stesso? «Di sicuro non ho mai cercato di imitare mio padre, che è unico: neanche quel giorno. L’hanno capito tutti, e l’hanno apprezzato». Tra di voi mai un diverbio? Ennio: «Non esistono». Massimo: «Opinioni diverse, sì, e si discutono. Diverbi, mai». A chi l’ultima parola? Ennio: «Oggi, a Massimo». Compromess­i? Massimo: «Accordi, non compromess­i. Si sceglie la decisione migliore per l’azienda!». Ennio: «La troviamo sempre, insieme, quando discutiamo, perché nessuno di noi due ha secondi fini, mentre tra manager puri può succedere». Scusate, ma l’impression­e è che l‘ingredient­e segreto di quest’intesa abbia un solo nome: il legame affettivo. «È la base… Andare d’accordo, non sentire rivalità, nasce dall’amore», dice Ennio. «Gli voglio bene e se ha successo io sono contento». Commenta Massimo: «Ovvio che quando ho cominciato mi sono posto il problema del confronto con lui. Ma mi sono detto: se ogni volta che faccio qualcosa mi chiedo come la farebbe lui, è finita. Devo preoccupar­mi di come fare io, non di come farebbe lui». «Poi ci vuole fortuna» aggiunge Ennio. «E io ne ho avuto tanta. I genitori, innanzitut­to: che non mi sono scelto. La buona salute. L’ambiente». «Ma la fortuna va coltivata» chiosa Massimo. Dunque credete nell’azienda a proprietà familiare? «Le statistich­e dimostrano che anche negli Usa le aziende a conduzione familiare creano più valore di quelle a conduzione managerial­e, perché l’imprendito­re non guarda soltanto al risultato del conto economico di quest’anno ma guarda al futuro», risponde Massimo. Ed Ennio: «L’imprendito­re decide oggi per costruire il domani. Non sempre i manager guardano al futuro di lungo termine. Mentre noi, tra dieci anni ,vogliamo essere ancora qui! Per essere utili al cliente: è sempre quello lo scopo». Massimo, per lei l’amore familiare cos’è? «Tutto. Ricordo che un giorno, a scuola, sentendo un mio compagno di scuola dire che odiava la sorella, rimasi di stucco. Come si fa a odiare la sorella, il fratello? E mi resi conto che invece non era una cosa così rara... Fu uno choc». E la faccenda del cerchio, della banca costruita intorno al cliente?

«Mio padre mi ha insegnato ad amare ciò che fai, non desiderare ciò che non fai» Massimo

«Certe idee vengono dalla formazione che si ha, dai valori» racconta Ennio. «Vogliamo renderci utili. Ricordo che una volta il dottor Pirovano, un altro nostro importanti­ssimo dirigente, mi raccontò che il Crédit Agricole, una grande banca francese, aveva proibito ai suoi manager di esporre il crocefisso in ufficio. E così mi accorsi che neanch’io lo avevo. Ne parlai con un prete amico, e lui mi regalò due icone: una con il crocefisso di San Damiano, e un’altra con la scena evangelica della lavanda dei piedi. Le misi lì... una mattina, trovai un nostro dipendente dei servizi generali, che non conoscevo. Seppi poi che si chiama Anatolji, mi sembra sia russo, di religione ortodossa. Mi venne l’idea di chiedergli di attaccare quelle icone. Quando rientrai, la mia assistente mi disse che mettendo i chiodi si era commosso, si era fatto il segno della croce e aveva pianto... Ecco: che

significa la scena della lavanda? Che chi ha più responsabi­lità, più deve servire il prossimo. Questo significa banca costruita intorno a te. Questo è un nostro principio: conserviam­o nel nostro cuore il concetto della lavanda dei piedi. Se vuoi essere sereno non puoi essere spietato negli affari e generoso nel privato».

E sua figlia?

«Sara esprime se stessa facendo la mamma, ma non solo dei suoi 5 figli: di tanti bambini nel mondo che aiutiamo con la nostra Onlus che lei guida». Aggiunge Massimo: «Con mia sorella non ci sono mai state invidie, non abbiamo litigato neanche quand’eravamo bambini. E lei non perde occasioni per ringraziar­mi di quel che faccio perché così, dice, può occuparsi a tempo pieno della fondazione...».

E il tempo libero?

«Un hobby che ci unisce: il ciclismo» conclude Massimo. «Quanto ho desiderato da piccolo seguire mio padre in bicicletta! Lui usciva ogni domenica a pedalare, io gli chiedevo di avere una bici da corsa, e lui mi diceva: quando mi arriverai qui, stendeva il braccio e indicava sotto l’ascella. Finché un giorno, avevo solo otto anni ed ero ben più basso, mi disse: “Vieni, Massimo: andiamo a comprare una bici alla mamma”. Poi, in negozio, domandò: “Una bici per mia moglie, e una per lui!”. Un’emozione indescrivi­bile, e da allora cominciai a seguirlo sulle nostre colline».

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