Panorama d’Italia - Vittorio Sgarbi a Bergamo
Nella città bassa è conservata in una piccola chiesa una delle pale d’altare più belle mai realizzate da Lorenzo Lotto. Un maestro che ritroviamo anche all’Accademia Carrara.
Forse il dipinto più bello e meno visto del mondo è a Bergamo. Occorre andarlo a cercare, fuori dall’Accademia Carrara e anche dalle grandi chiese della città alta, il Duomo, Santa Maria Maggiore. Il capolavoro ci aspetta in una piccola chiesa quasi nella città bassa, San Bernardino in Pignolo. Una sola navata, come una capanna, e sull’altare una pala di grandi dimensioni (287 per 268 centimetri). È una festa di colori che incendiano lo spazio e rubano ogni emozione. L’invenzione è stupefacente e ci porta subito fuori da quel luogo segreto e protetto, in campagna, dove la Madonna, in una veste rossa infuocata si compiace di apparire, a sorpresa, su un piedistallo di pietra serena, da poco apparecchiato per accoglierla. In fretta e furia si è preparato un cuscino, appoggiato sopra un grande tendone verde che quattro angeli, in un volo spericolato, tirano, per riparare, come sotto una tenda, la Vergine e il bambino dal sole. È una cerimonia frettolosa, inventata da una mente fervida di fantasie originali, capace di trasformare in un sogno una festa parrocchiale. Siamo di fronte al capolavoro religioso di Lorenzo Lotto, un pittore veneto che si era allontanato, giovane e insoddisfatto da Venezia per trovare committenti generosi nella Marca trevigiana e poi nelle Marche e ancor nella bergamasca, dove arriva dopo un periglioso viaggio a Roma intrapreso per incontrare Raffaello. Spirito inquieto, si muove ovunque, in tempi rapidi e senza regole ma intendendo la pittura come il modo migliore per comprendere il mondo. E ogni volta nei diversi pellegrinaggi lo dimostrerà.
A Bergamo, come nelle Marche, sosterà a lungo. Era arrivato, probabilmente già nel 1513, e si era applicato alla macchinosa pala Martinengo per la Chiesa di San Bartolomeo. Un’opera colta,
per carità. Con angeli acrobati sospesi e anche una grande macchina teatrale con la fuga di colonne nell’abside. Ma certo non opera di istinto, di slancio. Questo è, in fondo, la Pala di San Bernardino: allestimento veloce e spontaneo di un accampamento provvisorio per accogliere la Vergine. Così. All’improvviso, e senza tante cerimonie. Il palco non è pronto: è arrivata troppo presto. Già solo questa idea restituisce la fibrillazione e l’emozione di quei momenti, liberandosi da ogni schema in virtù di una fantasia ispirata dalla fede. È molto più religioso Lotto che Tiziano. E se lo deve inventare il suo essere religioso, in modo sofisticato e anche capricciosamente. Sarà difficile dimenticare quel volto in ombra della Vergine, sotto il tendone che contraddice la sua sacralità.
Un’invenzione assolutamente uni
ca, e interamente raffaellesca. In fondo erano passati solo sei anni dal suo soggiorno romano, e qui, a San Bernardino, Lotto aveva lungamente meditato una sua armonica risposta. Raffaello era morto un anno prima, e Lorenzo Lotto, nella composizione e nella soluzione, si era certamente ispirato a lui, ma per superarlo con un di più di gioco, di divertimento. E così, eccoci in questa fantasia animata di colori gonfi d’aria. La grande pala appena pubblicata ebbe immediata fortuna. La ricorda in tempo reale Marcantonio Michiel che fu a Bergamo nel 1524/25 e che ci aveva dato notizie delle opere di disegno nella prima metà del XVI secolo esistenti a Padova, Cremona, Milano, Pavia, Bergamo, Crema e Venezia. Proprio il Michiel ci dice: «In San Bernardino, in borgo de S. Antonio. La pala dell’altar maggiore della nostra donna con San Bernardino e S. Joseph, e S. Zuan Batiste e S.Antonio dall’altra, con li quattro angeli all’aria, che scurzano è sostentano uno panno sopra le teste delle figure, con el puttino de sotto che scrive, fu de man de Lorenzo Lotto».
Non sta parlando di un documento di storia, qual è, ma di un’opera contemporanea, vivacissima, animata da quel «puttino de sotto che scrive», e che intanto ci guarda con occhi pungenti.
E c’è dolcezza e malinconica in quel-
la pioggia di rose e di petali per il festeggiamento ancora in corso. Bellissime le posture di Sant’Antonio, con i campanelli incrociati, e di San Giuseppe che si accomoda alla lunga attesa in contemplazione della Vergine, sua moglie, con un piede sull’altro. Dovettero essere giorni felici nella gara impossibile con Raffaello e nell’attenzione a ogni dettaglio, anche nelle figure più convenzionali, come San Bernardino con quella faccia appesa ma la meraviglia del saio grigio chiaro gonfio d’aria. E poi, soprattutto, il volo spericolato degli angeli nell’essenziale impiego di reggitenda con formidabili sotto in giù e sotto in su. E, non bastasse, la visione delle colline lontane con il fumo dei camini delle case, l’annuncio di accoglienza per i prossimi pellegrini. Insomma, si è entrati in questa piccola chiesa per ritrovarsi in un mondo di pensieri e di visioni, ma soprattutto di emozioni e sentimenti di umanissima dignità.
Ed è così vivo e contemporaneo il con
cetto che ci trasmette Lorenzo Lotto, in questo spericolato e riuscito esperimento compiuto nel vuoto, e forse solo per sè, per una privata competizione fuori dal mondo, al riparo da sguardi indiscreti che, risalendo verso la città alta, ci verrà incontro la quotidianità del nostro tempo passando davanti alla galleria di Arialdo Ceribelli, confidente riservatissimo oggidì del Lotto, che ci aspetta sulla porta della sua galleria per mostrarci dipinti e incisioni di un altro grande artista, naturalizzato bergamasco e fratello interiore del Lotto: Gianfranco Ferroni che riparò a Bergamo, tra soffitte e stanze segrete. Ancora qui, fermandoci, vedremo sculture di Giuseppe Bergomi, nel profondo lottesche, e incisioni di Lucien Freud, e dipinti di Lino Mannocci. Salendo ancora si entra finalmente nell’Accademia Carrara, dove ci attende un’intimissima
Sacra famiglia, con Giuseppe che amoro-
samente svela le belle nudità del bambino dormiente alla pretendente Santa Caterina, capolavoro di dolcezza e felicità.
Lotto ci parla, ci confida e si confida; e ha consuetudine con signori che gli sono stati vicini e lo hanno aiutato, così che lui li può ricordare nelle sue tele.
Penso al fervido Niccolò Bonghi delle Nozze mistiche di Santa Caterina, chiamata tardivamente a difendere quel campo e quello spazio che è stato portato via per quanto era bello e innamorevole. Il dipinto, come racconta il Ridolfi del 1648: «trovavasi parimenti in Bergamo nelle case dei signori Bonghi: un quadro dello sposalizio di santa Caterina martire, che ne’tempi, che i francesi occuparono quella città, fu riposto, per sicurezza, in San Michele: ma que’soldati, poco rispettando i luoghi sacri, invasero quella chiesa, e un di loro invaghito del paese, che appariva fuor di una fenestra col monte Sinai, lo recise dal quadri, e così ancora si ritrova». Un paesaggio rubato, un idillio.
Per deliziare altri, rispetto a noi che vediamo ora una parete color piombo.
Ma, ancora tra le mure dell’Accademia Carrara, ci attende un’altra persona, un’amica di Bergamo, cugina del Ceribelli: la Lucina Brembate. È arguta, piena di spirito, irrimediabilmente brutta, e cerca di compensarlo con acconciature, cappelli, gioielli, amuleti e nastri di ogni tipo. È viva, parlante, davanti a noi, concepita poco dopo la pala di San Bernardino, nel 1523. Lotto cresce; ed è consapevole di essere il primo ritrattista del suo tempo.
L’unico a metterci davanti persone vive; e si diverte. Così nel cielo di una notte bergamasca, con qualche nuvola leggera, inventa la sua luna: una falce con una C impressa, come in un rebus: Lu-cina, appunto. Presente. Davanti a noi, risoluta benché timida. Felice di conoscerla.