Panorama

I segreti del Freddo

Quarant’anni fa a Roma comandavan­o lui e la sua banda della Magliana. Adesso Maurizio Abbatino si confessa per la prima volta in un libro. Abbiamo chiesto all’autrice del volume di raccontarc­i come ha fatto a vincere la sua resistenza e di anticiparc­i alc

- di Raffaella Fanelli

. È stata la prima risposta di Maurizio Abbatino, l’ex capo della banda della Magliana, l’uomo che ho rincorso per due anni prima di un incontro. Se ne stava seduto di fronte a me, al tavolo di un ristorante sul mare, mentre continuavo a ripetermi che avrei dovuto chiedere altro, non il numero dei suoi morti. «Mi pesano sulla coscienza. Anche se appartengo­no al boss che sono stato. All’altra mia vita».

Una vita che ho cercato, prima dell’appuntamen­to, nei verbali dell’inchiesta Operazione Colosseo, nelle centinaia di pagine che raccolgono le spaventose confession­i di un boss sanguinari­o, di un passato che Abbatino si dice certo di aver pagato davanti agli uomini, con una condanna a 30 anni mai appellata, e davanti a Dio col dolore per aver perso il suo unico fratello. «Ero latitante a Caracas quando Roberto è stato ucciso. I miei amici avrebbero dovuto proteggerl­o. Di loro mi fidavo. Avevo protetto le loro famiglie. Era una nostra regola, e io l’avevo rispettata. Quando hanno lasciato uccidere mio fratello è morto anche il boss. Non ho sentito più alcun dovere verso di loro. Nessun obbligo».

Abbatino continua a parlare. Una storia che straborda. Troppi dettagli, troppi fatti da raccontare. Così La verità del Freddo è diventata un libro-intervista con la postfazion­e di Otello Lupacchini, il magistrato che per primo ascoltò le rivelazion­i di Abbatino e firmò i 69 ordini di cattura che decimarono la banda della Magliana e una pletora di personaggi minori legati all’organizzaz­ione. Era l’alba del 16 aprile 1993 quando scattarono gli arresti dell’Operazione Colosseo. «Chissà perché gli eserciti attaccano sempre all’alba. Forse perché c’è l’effetto sorpresa. Quel giorno furono arrestati tutti i miei ex amici. Si pentirono anche altri affiliati alla banda dopo le mie dichiarazi­oni. Ci furono condanne pesanti, ergastoli. Roma fu ripulita quasi del tutto. Quasi...».

Il libro-intervista parte dall’operazione Colosseo e arriva all’uomo che ho incontrato ancora, per mesi, sempre nello stesso posto. Abbatino rivela fatti accertati e altri che meriterebb­ero nuove indagini. Come quelli svelati sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini, sulla morte di Franco Giuseppucc­i, sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e sul sequestro di Aldo Moro: «La prigione era in zona nostra, in via Gradoli. A poche centinaia di metri c’era un residence, lo ricordo perché con Franco passammo a controllar­e. Poi riportammo la notizia a Flaminio Piccoli... era stato lui a chiederci di trovarlo».

Cosa sa del sequestro di Emanuela Orlandi? «L’omicidio di Michele Sindona e quello di Roberto Calvi sono legati al sequestro Orlandi. Se non si risolve il primo non si arriverà mai alla verità sul presunto suicidio di Calvi e sulla scomparsa di quella ragazza. I tre casi sono collegati da un flusso di soldi finiti nelle casse del Vaticano e mai restituiti». Licio Gelli lo ha mai incontrato? «Anche se lo avessi incontrato non lo avrei riconosciu­to. Comunque partecipai a tre o quattro riunioni nella villa di Fabio De Felice. Con Edoardo Toscano e Alessandro D’Ortenzi. Mi sembrò una cosa strana. Parlavano di addestrame­nti militari. Di un colpo di Stato. Era tutta gente legata a Ordine nuovo. Che poi dietro aveva la P2. Non li presi sul serio».

Di tutte le verità arrivate da Abbatino ho cercato traccia. Ho incrociato verbali e sentenze, ho cercato persone e trovato nuove fonti, anche sull’omicidio del giornalist­a Mino Pecorelli. Un lavoro di ricerca durato un anno. Ricostruir­e la storia del Freddo e della sua banda non è stato semplice. Abbatino non è solo un ex capo o un ex pentito, è l’ultimo boss vivente di un’associazio­ne mafiosa che ha governato, ucciso e deciso. E non solo a Roma. Perché la banda della Magliana non è stata solo una gang criminale ma una struttura importante di un’organizzaz­ione ben più vasta che godeva di inquietant­i protezioni in Italia e all’estero grazie ai rapporti con i servizi segreti, la mafia e la massoneria.

La storia della banda si chiuse con le dichiarazi­oni di Abbatino. Con la collaboraz­ione dell’uomo che per mesi mi ha raccontato la sua vita. I suoi ricordi. Ho frugato nei suoi pensieri prima e nelle mie registrazi­oni poi,

«Non so quante volte ho ucciso. Ma ricordo i nomi di tutte le mie vittime. La cosa strana è che non riesco a contarle»

per ricostruir­e la storia di una banda che ha intrecciat­o i suoi morti con golpisti, banchieri impiccati e ragazze scomparse, con politici sequestrat­i e ammazzati, con fascisti mercenari di uno Stato che oggi spera di liberarsi dell’ultimo testimone dei suoi complotti e dei suoi misteri.

Per questo Abbatino è stato estromesso dal programma di protezione. Per questo sono tutti lì a pregare per una sua veloce dipartita. A sperare che non aggiunga altro ai suoi ricordi. Altri episodi e altri nomi su indagini ancora in corso. Particolar­i su omicidi rimasti irrisolti e finora taciuti dal boss. Che oggi, a distanza di anni, potrebbero trovare riscontro nella voce di importanti personaggi finiti in manette solo di recente dopo una lunga latitanza. Personaggi che negli anni ‘80 hanno avuto un ruolo nella banda. Certo, potrebbero decidere di non parlare, a sentire quel che dice: «Trent’anni che non commetto un reato, mi dicono che posso reinserirm­i nel tessuto sociale, cercarmi un lavoro e affittarmi una casa, tutto ovviamente col nome di Maurizio Abbatino, 63 anni, ex boss ai domiciliar­i per malattia. La verità è che sono stato scaricato, tradito da uno Stato che non ha rispettato i patti». Le retromarce giudiziari­e erano già toccate a Fulvio Lucioli e a Claudio Sicilia: il primo passò per pazzo e mitomane, l’altro, il Vesuviano, direttamen­te a miglior vita. Abbatino è convinto che il trattament­o riservato a lui, che mai ha ritrattato e mai ha fatto un passo indietro, al contrario di altri collaborat­ori della banda della Magliana, voglia far passare il messaggio che è meglio non parlare.

Un messaggio che guarda caso è arrivato quando a Roma si è aperto il processo Mafia Capitale. Ho cercato Abbatino prima di quell’inchiesta. Mi ha aspettata nel parcheggio di una stazione. Me lo sono trovato accanto mentre guardavo le facce degli uomini che mi passavano davanti. Mentre cercavo di riconoscer­lo, lui era già alle mie spalle. Elegantiss­imo, con una giacca marrone e un foulard al posto della cravatta. Pochi giorni prima, il 3 aprile 2017, nell’aula bunker di Rebibbia, Massimo Carminati aveva fatto il suo nome. Lo aveva accusato di essere l’autore di un complotto ai suoi danni. Di aver organizzat­o tutto affinché il teste chiave del processo, uno skipper romano arrestato con 500 chili di cocaina, gli riconosces­se un ruolo nell’importazio­ne di stupefacen­ti dal Sudamerica.

Forse per questo il Freddo quel sabato, quando ci siamo incontrati la prima volta, aveva l’aria stanca. Fuori dal programma di protezione dello Stato e davanti alla certezza di essere ancora nei pensieri di un nemico che giudica pericoloso, oltre alla sicurezza sembrava aver perso anche il sonno. Conoscevo la sua storia, era solo un assassino come gli altri, prevedibil­i e bugiardi. L’ho incontrato con questa convinzion­e e con la stessa sfrontatez­za nelle domande, certa di sfuggire al dolore che da sempre mi investe quando a raccontare sono i familiari delle vittime. Ma non è soltanto questo, Abbatino. Perché la morte di un fratello e gli orrori del suo passato si sono stretti in un bagaglio pesante da portare anche per lui che era chiamato il Freddo.

Mi sono seduta di fronte a lui e ho ripercorso la sua vita, all’inizio con la sola ansia di sapere. Di farmi dire il più possibile. Perché da subito è stata l’ennesima sfida, l’ennesima ricerca di nomi e di verità che vuoi assolutame­nte scoprire. «Non so quante volte ho ucciso. Ma ricordo i nomi di tutte le mie vittime. La cosa strana è che non riesco a contarle», è la frase che mi ha accompagna­ta fino all’ultima pagina del libro, insieme alla sensazione che Abbatino possa sapere qualcos’altro. Qualcosa che non ha detto. Un segreto che non condivider­à mai con nessuno. Una sensazione, soltanto questo.

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 ??  ?? Maurizio Abbatino, oggi 64enne, detto Crispino per i suoi capelli ricci, boss della band della Magliana che operò a Roma tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta. Arrestato nell’86 e poi evaso, si rifugiò in Venezuela. Nella foto in basso, il...
Maurizio Abbatino, oggi 64enne, detto Crispino per i suoi capelli ricci, boss della band della Magliana che operò a Roma tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta. Arrestato nell’86 e poi evaso, si rifugiò in Venezuela. Nella foto in basso, il...
 ??  ?? Maurizio Abbatino (al centro) con Marcello Colafigli, detto Marcellone, e (a destra) Franco Giuseppucc­i, detto il Negro, ucciso nel 1980 da un clan rivale.
Maurizio Abbatino (al centro) con Marcello Colafigli, detto Marcellone, e (a destra) Franco Giuseppucc­i, detto il Negro, ucciso nel 1980 da un clan rivale.

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