Indovina chi viene a cena (anzi, chi te la porta)?
Dei «rider» si parla molto, ma in realtà si sa poco. Per qualcuno questa attività è un passaggio prima di aprire una start-up o una bottega in proprio. Per altri è servita a fuggire da violenza e guerre. Viaggio nelle storie di coloro che consegnano il ci
Sono due popoli differenti che, per un istante, si incontrano sulla porta di un appartamento. Chi apre, di solito, ha una vita ben definita: famiglia, lavoro, casa. Chi suona il campanello, in genere, ha meno certezze in merito al reddito e al mestiere che farà da grande. I punti saldi dell’esistenza, per lui che ha una cena da consegnare, appartengono più al mondo dei sogni che a quello reale. I primi, quelli che hanno ordinato una specialità gastronomica sul display dello smartphone, sono i clienti. I secondi, i precari sognatori, sono stati catturati da una definizione figlia del mondo di app come Foodora, Deliveroo e Uber Eats: si chiamano «rider». Termine inglese che vuol dire «fantino», ma che identifica anche una persona che cavalca una moto o una bici, affrontando il traffico e agenti atmosferici in cambio di una piccola percentuale su ogni consegna. Di loro, negli ultimi mesi si è parlato molto. C’è chi dice siano sfruttati e sottopagati. Anche se la prova sul campo sembra raccontare il contrario. I dissidenti sono una piccola percentuale. Tutti sono consci di fare un lavoro a tempo (limitato) che non sarà quello della vita. Le proteste che hanno avuto grande risonanza mediatica un effetto, di sicuro, lo hanno ottenuto: tutte le compagnie che li impiegano hanno fornito coperture assicurative e la possibilità di ottenere mance anche attraverso pagamenti digitali effettuati sulla app. Panorama, a Milano, ha immortalato l’attimo fuggente in cui i rider consegnano la cena a domicilio. Uno scatto, un flash sulle scale o nel portone sono diventati spunto per raccontare le loro storie. Perché nelle case e sotto le divise colorate dei rider ci sono persone vere che raccontano un cambiamento economico e alimentare globale. Gli italiani, infatti, sono il quarto popolo al mondo (dopo Cina, Stati Uniti e Gran Bretagna) se si parla di cene a domicilio. Un mercato che, secondo le statistiche, vale oggi 3 miliardi di euro, ma che arriverà a sette entro il 2020. In media, già oggi si spendono 97 euro al mese in «food delivery». Anche le abitudini alimentari raccontano un Paese. In occasione della Milano Food Week, la settimana che celebra il cibo, Uber Eats le ha analizzate. Il risultato? Agli italiani piace la cucina americana (l’84 per cento preferisce hamburger) seguita dalla giapponese (68 per cento). Oltre il 40 per cento ordina take away dopo una giornata difficile al lavoro, mentre il 20 per cento lo fa per festeggiare un evento. E, dato curioso, gli italiani sono dei simpatici bugiardi. Il 43 per cento, infatti, sostiene con i propri ospiti di aver cucinato un piatto che, in realtà, ha acquistato online.