Bonafede ha parlato ma non si capisce che giustizia vuole
Una fiducia al buio. Così si può definire il voto con cui la maggioranza del Parlamento ha salutato l’esordio del governo.
E al buio restiamo sulle ormai incombenti decisioni di una compagine ministeriale inesperta e incerta tra il nazional populismo di Matteo Salvini e il populismo trasformistico di Luigi Di Maio. Siamo al buio sulla personalità di un presidente del Consiglio scelto per non averne una riconoscibile e destinato a esercitarsi nella mediazione tra i due diarchi capipartito. Qualche notizia rassicurante viene dal nuovo ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che nelle sue prime dichiarazioni ha messo il sigillo della continuità piuttosto che della rottura con i precedenti governi.
Diverso il caso del nuovo ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che nella sua intervista augurale con Il Fatto riesce a dribblare ogni richiesta di chiarire le sue reali intenzioni. Gli domandano, «Non pensa che si sia anche abusato dell’uso delle intercettazioni in questi anni? C’è gente che ne è uscita devastata». E lui, definito «dimaiano di ferro» (evidentemente esistono anche quelli di latta) prima risponde in perfetto politichese: «Una regolamentazione più chiara può essere utile». Poi precisa che più chiara significa che «non può mai comprimere la libera informazione».
Che vuol dire? Che giornali, tv, web sono liberi di infangare la reputazione e di devastare la vita non solo degli indagati ma anche di chi, estraneo alle indagini, finisca intercettato incidentalmente? E come interpre- tare il trattamento riservato ai detenuti? L’intervistatore domanda: «Non crede che allargare l’applicazione delle misure alternative sia una misura di civiltà nonché un modo di decongestionare le carceri?» E il ministro dimaiano di ferro - forse nel senso che si spezza ma non si spiega - risponde: «Sono solo interventi deflattivi. Servono provvedimenti strutturali».
Sembra intenda nuove carceri visto che il ministro ormai passato al plurale maiestatis, chiosa: «Crediamo nella funzione rieducativa della pena che, per noi, passa innanzitutto attraverso il lavoro (forzato?) in carcere». Quanto alla legittima difesa all’intervistatore preoccupato che «cancellare la proporzionalità tra offesa e reazione scatenerà un Far West» il neo guardasigilli replica: «Nell’attuale legge ci sono zone d’ombra che vanno cancellate perché costringono molti cittadini che si sono difesi a essere sottoposti a tre gradi di giudizio».
Cioè? I tre gradi di giudizio non si possono ridurre, dunque o vale il dogma Salvini (chi spara al ladro in fuga non può essere processato, la difesa è sempre legittima) oppure esiste anche l’eccesso di difesa. Infine, per quel che riguarda la riforma della prescrizione, per Bonafede «è nel contratto, c’è la volontà comune di lavorarci». Se per allungarla o per abbreviarla il ministro, a differenza del contratto di governo, non lo dice. Chissà, forse tanta vaghezza è frutto della presa di coscienza che se tradisce il contratto il governo perde la faccia, se prova a realizzarlo a rimetterci sarà l’Italia.