Panorama

Bonafede ha parlato ma non si capisce che giustizia vuole

- di Claudio Martelli

Una fiducia al buio. Così si può definire il voto con cui la maggioranz­a del Parlamento ha salutato l’esordio del governo.

E al buio restiamo sulle ormai incombenti decisioni di una compagine ministeria­le inesperta e incerta tra il nazional populismo di Matteo Salvini e il populismo trasformis­tico di Luigi Di Maio. Siamo al buio sulla personalit­à di un presidente del Consiglio scelto per non averne una riconoscib­ile e destinato a esercitars­i nella mediazione tra i due diarchi capipartit­o. Qualche notizia rassicuran­te viene dal nuovo ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che nelle sue prime dichiarazi­oni ha messo il sigillo della continuità piuttosto che della rottura con i precedenti governi.

Diverso il caso del nuovo ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che nella sua intervista augurale con Il Fatto riesce a dribblare ogni richiesta di chiarire le sue reali intenzioni. Gli domandano, «Non pensa che si sia anche abusato dell’uso delle intercetta­zioni in questi anni? C’è gente che ne è uscita devastata». E lui, definito «dimaiano di ferro» (evidenteme­nte esistono anche quelli di latta) prima risponde in perfetto politiches­e: «Una regolament­azione più chiara può essere utile». Poi precisa che più chiara significa che «non può mai comprimere la libera informazio­ne».

Che vuol dire? Che giornali, tv, web sono liberi di infangare la reputazion­e e di devastare la vita non solo degli indagati ma anche di chi, estraneo alle indagini, finisca intercetta­to incidental­mente? E come interpre- tare il trattament­o riservato ai detenuti? L’intervista­tore domanda: «Non crede che allargare l’applicazio­ne delle misure alternativ­e sia una misura di civiltà nonché un modo di decongesti­onare le carceri?» E il ministro dimaiano di ferro - forse nel senso che si spezza ma non si spiega - risponde: «Sono solo interventi deflattivi. Servono provvedime­nti struttural­i».

Sembra intenda nuove carceri visto che il ministro ormai passato al plurale maiestatis, chiosa: «Crediamo nella funzione rieducativ­a della pena che, per noi, passa innanzitut­to attraverso il lavoro (forzato?) in carcere». Quanto alla legittima difesa all’intervista­tore preoccupat­o che «cancellare la proporzion­alità tra offesa e reazione scatenerà un Far West» il neo guardasigi­lli replica: «Nell’attuale legge ci sono zone d’ombra che vanno cancellate perché costringon­o molti cittadini che si sono difesi a essere sottoposti a tre gradi di giudizio».

Cioè? I tre gradi di giudizio non si possono ridurre, dunque o vale il dogma Salvini (chi spara al ladro in fuga non può essere processato, la difesa è sempre legittima) oppure esiste anche l’eccesso di difesa. Infine, per quel che riguarda la riforma della prescrizio­ne, per Bonafede «è nel contratto, c’è la volontà comune di lavorarci». Se per allungarla o per abbreviarl­a il ministro, a differenza del contratto di governo, non lo dice. Chissà, forse tanta vaghezza è frutto della presa di coscienza che se tradisce il contratto il governo perde la faccia, se prova a realizzarl­o a rimetterci sarà l’Italia.

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