Panorama

La terra di mezzo

- raffaele.leone@mondadori.it

Matteo Salvini è l’uomo del momento. Occupa la scena interna e internazio­nale brandendo la spada di Alberto da Giussano con cui affetta canoni e cliché politici, acclamato dalle piazze. Gli abbiamo chiesto di poterlo seguire passo dopo passo nelle sue giornate, per capire lui e per capire come fa un capopopolo a guidare l’ordine pubblico. Il risultato è il racconto di copertina di questa settimana.

Il fatto che sia l’uomo del momento non basta a farmelo amare. Diritti e solidariet­à, principi universali né di destra né di sinistra, vanno custoditi con cura, il gesto dell’ombrello è un azzardo su temi delicati, tanto più da uno scranno importante come il suo. Però non credo che diritti e solidariet­à possano essere contrappos­ti a doveri e regole. Dipingere il leader leghista come il Diavolo è una sciocchezz­a. Invece oggi la politica sembra spesso scivolare in un tifo da stadio. Curva sud contro curva nord. Stare in mezzo non si può.

Non si può, anche da allergici al populismo, concordare con Salvini sul censimento dei rom. Si è razzisti. Non si può ritenere che l’Europa ci ha lasciati soli a gestire gli sbarchi degli immigrati e che Macron farebbe meglio a ripassare in casa sua le lezioni di civiltà. Si è antieurope­i. Non si possono criticare le Ong che sfidano gli accordi Italia-Libia. Si è cinici e disumani. D’altro canto è vietato dire che un ministro dell’Interno non è un ministro dell’Interno se vuole arbitraria­mente dare o togliere le scorte a chi gli sta simpatico. È vietato ricordare allo stesso ministro dell’Interno che definire alcolizzat­o il Macron di cui sopra è più un linguaggio da bettola che da Viminale. È vietato suggerirgl­i di lasciare ai medici la materia delicata dei vaccini.

Se si trova ragionevol­e una mossa di Salvini si è antidemocr­atici, se la si trova

irragionev­ole si è traditori della volontà popolare. In tempi di reddito di cittadinan­za, soltanto le grida hanno diritto di cittadinan­za. Dopo aver dedicato una copertina a Elsa Fornero per ascoltare le sue ragioni sulla riforma delle pensioni, mi sono arrivate lettere feroci: «Quella lì deve sparire, non vi leggerò più». Bianco o nero. E il fucile deve avere il colpo in canna. L’altro non è avversario ma nemico da eliminare. È come se i populisti, che crescono con gli slogan facili e titillando la pancia, avessero trascinato gli oppositori sul terreno a loro più congeniale. Partigiani, titola L’Espresso ritenendo che si debba liberare l’Italia dai nazisti. La patria ti chiama, tu con chi stai? Se preferisci mezze misure e buon senso fai il gioco del nemico.

Quando porto le mie figlie a scuola ci sono tre rom pronti a scattare al semaforo tra viale Liguria e via Imperia, a Milano. Un giorno, di fronte al sorriso di uno di loro, ho abbassato il finestrino: «Come ti chiami?». «Osman», ha risposto lui facendo ciao con la mano alle ragazze. Da allora oltre alle due porzioni di merenda per la scuola, ho cominciato a portarne una terza anche per Osman. «Grazie zio», diceva. Prendeva il suo snack, una sigaretta e regalava un sorriso. Diffido dei rom, lo ammetto, ma questo non mi impedisce di allungare una mano. Poi Osman è sparito. Ho chiesto ai suoi amici dove fosse. «Scappato, polizia, cose brutte, carcere», mi hanno risposto.

Voglio dire che tutti i rom sono ladri? No. Voglio sempliceme­nte dire che l’ambiente

in cui vivono, tra espedienti e nessun lavoro, è brodo di coltura criminale. E che i bambini crescono con questo esempio. Ci sono problemi ben più gravi dei rom, è vero, ma quando Matteo Salvini chiede di censire i campi dove vivono quelli come Osman, io che allungo una mano non rievoco le leggi razziali. La trovo una cosa sensata, oltretutto già fatta in passato senza che si levassero alti lai. E però oggi mi si appiccica sulla schiena la C di collaboraz­ionista.

Né posso accusare le Ong quando vìolano le regole d’ingaggio (sottoscrit­te da un uomo di sinistra come Marco Minniti) sfidando la Marina libica. Vedo loro giocare sulla pelle dei migranti che dicono di voler aiutare. Ma guai. Hai visto che cuore grande che hanno?

Come, al contrario, non mi è permesso dire che Salvini ha sbagliato sulla scorta di Saviano. E Io dico io che ritengo Roberto il napoletano un bullo della legalità. Minacciato dai camorristi si sente in diritto di dire chi merita e chi non merita la patente di uomo onesto. Vive di questo. Fa il profession­ista dell’anticamorr­a e probabilme­nte sarebbe disoccupat­o se non ci fossero i clan. Ma i clan ci sono, rappresent­ano un cancro, e se Roberto Saviano viene minacciato dai camorristi, lo Stato ha il dovere di difenderlo e io che condivido niente di quel che dice, mi schiero al suo fianco contro quei camorristi. Mi turo il naso quando lo sento parlare o quando lo sento dire la bestialità che Salvini è il ministro della malavita, ma sulla scorta lo difendo. È elementare, perfino banale dirlo, ma non oggi. Oggi devi stare o sempre con Saviano o sempre con Salvini. Non puoi ragionare e separare le buone idee dalle sciocchezz­e, a prescinder­e dalla loro provenienz­a.

La Seconda Repubblica è morta, si dice. Ma se siamo ridotti tra uno schieramen­to che a volte scambia Palazzo Chigi per la Bastiglia e uno che vede le SS sedere sui banchi del governo, allora la Terza Repubblica nasce malata. E bravi medici in giro se ne vedono pochi.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy