Panorama

Lasciate ogni speranza voi che fuggite

- di Sandra Riccio

Nei giorni della formazione del governo le affermazio­ni imprudenti sull’euro e sui conti pubblici hanno spaventato molti italiani. E qualcuno è subito corso a proteggere il suo patrimonio. Ma ormai tutto è cambiato. I Paesi dove nasconders­i non esistono più e il Fisco viene a sapere tutto.

Un ritorno alla lira con il governo Lega-M5s è un’ipotesi

altamente improbabil­e ma anche soltanto il vago accenno a questo scenario, così come il rischio di una patrimonia­le o di qualche altro tipo di prelievo dai conti correnti degli italiani, ha spinto i titolari di grandi e piccoli patrimoni a lasciare il Paese. A testimonia­rlo c’è il debito Target2 dell’Italia che a maggio scorso ha registrato quasi 40 miliardi di euro in uscita. Erano i giorni della convulsa formazione della nuova coalizione e dello spread tornato a livelli di guardia. «Negli uffici di un grande gestore estero “private” c’era il via vai di clienti danarosi pronti ad allontanar­e le proprie risorse dall’Italia» racconta un operatore che preferisce non essere citato. «Qualcuno si è soltanto informato sulle vie di uscita. Qualcun’altro è andato fino in fondo».

Di sicuro l’andamento è in corso già da tempo tanto che il totale di capitali investiti all’estero arriva a 230 miliardi, dal 2014 a fine 2017. A maggio è stato trainato dalle ampie vendite scattate sui Btp e su Piazza Affari in scia alle tensioni politiche e ai timori sul nuovo programma di governo.

I lidi di approdo sono quelli più classici di Montecarlo e

Svizzera con la grande differenza rispetto al passato che, dopo la fine del segreto bancario, tutto avviene alla luce del sole e le operazioni sono tutte tracciate dai bonifici (le disponibil­ità all’estero vanno indicate nel quadro RW della dichiarazi­one dei redditi). Non ci sono più gli spalloni che passano il confine con la valigetta piena di banconote da depositare nelle banche oltre confine. Succedeva nei decenni scorsi quando le paure del terrorismo o dell’ennesima svalutazio­ne della lira spingevano i capitali a lasciare il Paese. Nei decenni le ondate

di addii all’Italia si sono ripetute svariate volte. Questa volta la paura è di tipo politico e non di natura finanziari­a. «È la ricerca di una cassaforte più sicura» spiega Giovanni Pesce, esperto di mercati finanziari e di valutazion­e degli strumenti finanziari con oltre 40anni di esperienza sulle spalle. «Chi ha preso questa decisione si è messo al riparo da un possibile rischio Paese ma non ha chiuso definitiva­mente con l’Italia».

L’esperto spiega chiarament­e che, in caso di pesante crisi

finanziari­a, la prima decisione per il salvataggi­o dei conti pubblici è quella di consolidar­e il patrimonio degli italiani, compresi quelli che stanno all’estero, per esempio a Montecarlo. «Oggi l’applicazio­ne delle norme coercitive di questo tipo è transnazio­nale e rapidissim­a» dice Pesce. «Non è quindi escluso che un possibile prelievo non coinvolga anche il conto estero. Vale anche nell’ipotesi di un eventuale passaggio alla lira con la conseguent­e conversion­e di tutti i patrimoni italiani».

Lo scambio di informazio­ni tra Paesi in materia di soldi all’estero ormai funziona ed è capillare. Tutto è cambiato rispetto a un tempo quando c’erano i modulini cartacei da compilare e gli armadi delle amministra­zioni finanziari­e erano colmi di scartoffie da registrare.

Al riparo non sono nemmeno i fondi con denominazi­oni estere, per esempio in Lussemburg­o o in Irlanda, che tutte le banche italiane hanno predispost­o. L’autorità sulle politiche di investimen­to su queste Sicav è delle istituzion­i locali. Il fondo però è vigilato dalle authority italiane per la distribuzi­one delle quote (Consob o Banca d’Italia). Vuol dire che la Sicav distribuit­a, per esempio, da Unicredit è trasparent­e e tracciata. «Se il Paese deve recuperare tutte le masse monetarie in possesso degli italiani, anche quelle domiciliat­e all’estero, può in teoria pretendere dal fondo o dall’autorità con cui si interfacci­a, la restituzio­ne di queste quote». Si tratterebb­e di un’operazione sempliciss­ima. Basterebbe, infatti, il varo di un decreto legge che impone che i soldi degli italiani depositati anche oltreconfi­ne debbano essere restituiti all’Italia che poi, per esempio, li trasformer­ebbe in lire.

Qual è la soluzione allora? La via di uscita di chi proprio

non si fida è quella di spostare la propria residenza in un altro Paese. Ma questo significa trasferire anche la propria vita. Non è un percorso semplice e non mancano i rischi. Occorre trovare un Paese davvero sicuro da eventuali sconquassi dell’euro e in più bisogna farsi bene tutti i calcoli e capire tutte le implicazio­ni possibili. A Dubai, per esempio, non è prevista la firma congiunta sul conto corrente, la Francia ha prelievi sull’eredità ben più ampi di quelli previsti dall’Italia, mentre mete come Panama sono lontanissi­me. «Da evitare i pochi paradisi fiscali ancora sopravviss­uti» dice Salvatore Graziano, consulente finanziari­o indipenden­te e strategist di SoldiExper­t SCF. «Qui si rischiano avventure pericolose e quasi certa è l’applicazio­ne di costi salatissim­i». Tante volte i rimedi finiscono per essere peggiori del male.

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