Lasciate ogni speranza voi che fuggite
Nei giorni della formazione del governo le affermazioni imprudenti sull’euro e sui conti pubblici hanno spaventato molti italiani. E qualcuno è subito corso a proteggere il suo patrimonio. Ma ormai tutto è cambiato. I Paesi dove nascondersi non esistono più e il Fisco viene a sapere tutto.
Un ritorno alla lira con il governo Lega-M5s è un’ipotesi
altamente improbabile ma anche soltanto il vago accenno a questo scenario, così come il rischio di una patrimoniale o di qualche altro tipo di prelievo dai conti correnti degli italiani, ha spinto i titolari di grandi e piccoli patrimoni a lasciare il Paese. A testimoniarlo c’è il debito Target2 dell’Italia che a maggio scorso ha registrato quasi 40 miliardi di euro in uscita. Erano i giorni della convulsa formazione della nuova coalizione e dello spread tornato a livelli di guardia. «Negli uffici di un grande gestore estero “private” c’era il via vai di clienti danarosi pronti ad allontanare le proprie risorse dall’Italia» racconta un operatore che preferisce non essere citato. «Qualcuno si è soltanto informato sulle vie di uscita. Qualcun’altro è andato fino in fondo».
Di sicuro l’andamento è in corso già da tempo tanto che il totale di capitali investiti all’estero arriva a 230 miliardi, dal 2014 a fine 2017. A maggio è stato trainato dalle ampie vendite scattate sui Btp e su Piazza Affari in scia alle tensioni politiche e ai timori sul nuovo programma di governo.
I lidi di approdo sono quelli più classici di Montecarlo e
Svizzera con la grande differenza rispetto al passato che, dopo la fine del segreto bancario, tutto avviene alla luce del sole e le operazioni sono tutte tracciate dai bonifici (le disponibilità all’estero vanno indicate nel quadro RW della dichiarazione dei redditi). Non ci sono più gli spalloni che passano il confine con la valigetta piena di banconote da depositare nelle banche oltre confine. Succedeva nei decenni scorsi quando le paure del terrorismo o dell’ennesima svalutazione della lira spingevano i capitali a lasciare il Paese. Nei decenni le ondate
di addii all’Italia si sono ripetute svariate volte. Questa volta la paura è di tipo politico e non di natura finanziaria. «È la ricerca di una cassaforte più sicura» spiega Giovanni Pesce, esperto di mercati finanziari e di valutazione degli strumenti finanziari con oltre 40anni di esperienza sulle spalle. «Chi ha preso questa decisione si è messo al riparo da un possibile rischio Paese ma non ha chiuso definitivamente con l’Italia».
L’esperto spiega chiaramente che, in caso di pesante crisi
finanziaria, la prima decisione per il salvataggio dei conti pubblici è quella di consolidare il patrimonio degli italiani, compresi quelli che stanno all’estero, per esempio a Montecarlo. «Oggi l’applicazione delle norme coercitive di questo tipo è transnazionale e rapidissima» dice Pesce. «Non è quindi escluso che un possibile prelievo non coinvolga anche il conto estero. Vale anche nell’ipotesi di un eventuale passaggio alla lira con la conseguente conversione di tutti i patrimoni italiani».
Lo scambio di informazioni tra Paesi in materia di soldi all’estero ormai funziona ed è capillare. Tutto è cambiato rispetto a un tempo quando c’erano i modulini cartacei da compilare e gli armadi delle amministrazioni finanziarie erano colmi di scartoffie da registrare.
Al riparo non sono nemmeno i fondi con denominazioni estere, per esempio in Lussemburgo o in Irlanda, che tutte le banche italiane hanno predisposto. L’autorità sulle politiche di investimento su queste Sicav è delle istituzioni locali. Il fondo però è vigilato dalle authority italiane per la distribuzione delle quote (Consob o Banca d’Italia). Vuol dire che la Sicav distribuita, per esempio, da Unicredit è trasparente e tracciata. «Se il Paese deve recuperare tutte le masse monetarie in possesso degli italiani, anche quelle domiciliate all’estero, può in teoria pretendere dal fondo o dall’autorità con cui si interfaccia, la restituzione di queste quote». Si tratterebbe di un’operazione semplicissima. Basterebbe, infatti, il varo di un decreto legge che impone che i soldi degli italiani depositati anche oltreconfine debbano essere restituiti all’Italia che poi, per esempio, li trasformerebbe in lire.
Qual è la soluzione allora? La via di uscita di chi proprio
non si fida è quella di spostare la propria residenza in un altro Paese. Ma questo significa trasferire anche la propria vita. Non è un percorso semplice e non mancano i rischi. Occorre trovare un Paese davvero sicuro da eventuali sconquassi dell’euro e in più bisogna farsi bene tutti i calcoli e capire tutte le implicazioni possibili. A Dubai, per esempio, non è prevista la firma congiunta sul conto corrente, la Francia ha prelievi sull’eredità ben più ampi di quelli previsti dall’Italia, mentre mete come Panama sono lontanissime. «Da evitare i pochi paradisi fiscali ancora sopravvissuti» dice Salvatore Graziano, consulente finanziario indipendente e strategist di SoldiExpert SCF. «Qui si rischiano avventure pericolose e quasi certa è l’applicazione di costi salatissimi». Tante volte i rimedi finiscono per essere peggiori del male.