Jacopo Tissi, l’italiano divo al Bolshoi
Diplomato alla Scala, Jacopo Tissi, giovane talento, ha scelto di «emigrare» a Mosca. E nel teatro che è una leggenda della danza classica è subito diventato una star.
Non conosci Jacopo Tissi?». La domanda si accompagnava a meraviglia e a un pizzico di delusione. In effetti, no: mai sentito nominare. Vagli a spiegare all’amico diplomatico che non era il caso, a un pranzo di gala a Mosca del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, di perdersi a parlare con un ballerino. Ma l’amico insistette e la sua testardaggine, a distanza di tempo, merita ancora riconoscenza. L’ignoranza ci può stare. La dan- za classica fa parte di questo mondo. E in questo mondo, i nomi sono come marchi di caffè o patatine. Si riconoscono se il marketing o la pubblicità o un ufficio stampa li spinge. Altrimenti è questione per addetti ai lavori. Però, in effetti, non sapere chi fosse quel ragazzo alto e sottile era grave.
Da allora sono passati più di un anno e oltre una decina di première per Tissi, che nel frattempo è diventato Primo solista del Bolshoi di Mosca, ovvero il teatro che è una leggenda e un sogno per qualsiasi
danzatore. Quel corridoio bianco, stretto e lungo, un po’ in discesa, che porta su quel palcoscenico enorme, ha l’odore del successo. Un profumo che chi sta sulle punte, ma anche chi non ci sta, prima o poi vorrebbe annusare.
Mentre lo si percorre, si incrociano fanciulle in tutù, sorridenti, di una bellezza e grazia particolare. Fa un certo effetto se si viene dal parterre. Agli stucchi dorati, ai tappeti rossi, ai putti rubicondi, si sostituisce la candida semplicità delle pareti spoglie. Poi il nero delle quinte. Alla fine ci si ritrova sul palco, davanti al pubblico, sistemato in quell’anfiteatro monumentale che, a guardarlo anche soltanto vuoto, mozza il fiato.
«In realtà questo è qualcosa che va al di là dei miei sogni» dice Tissi a Panora
ma. «Mi ha sempre affascinato il mondo della danza russa. Pensavo al Bolshoi di Mosca o al Marinskij di San Pietroburgo e mi dicevo: se sarò abbastanza fortunato almeno una volta ci ballerò».
Mi scusi Tissi, ma lei al Bolshoi non
ci balla sempre? «Capito? In più fare anche carriera. Non so, staremo a vedere: è tutto cambiato così in fretta, in poco tempo, così tanto successo. Ma io vivo giorno per giorno».
Non solo come Primo solista, ma neppure semplicemente da interno, nessun italiano ci era mai arrivato prima. Perché per stare là, un corpo statuario non basta. Non bastano una tecnica perfetta, l’umiltà, la determinazione che porta lontano, la precisione nell’esecuzione. È come un rompicapo. Tissi te lo risolve in un attimo, spalancando un sorriso, per poi chiedere, col suo accento pavese: davvero ti è piaciuto lo spettacolo?».
Ha 23 anni. Uscito con un epocale 30/30 e lode dall’Accademia della Scala. A Mosca non può fare da guida neppure ai suoi genitori, perché le ragazze lo fermano per strada e gli chiedono l’autografo. La mamma Cristina e il padre Dario da Landriano (Pavia) lo vengono a trovare facendo a turno, talora portando con sé gli altri due figli, Dalila ed Edoardo, descritti come altrettanti talenti, ma in materie diverse. La loro è una famiglia dall’equilibrio apparentemente impossibile, ma reale e perfetto. Come un «quarto arabesque» - posa basilare della danza classica - al maschile.
«La prima volta che sono arrivato a
Mosca era estate» raccontare il ballerino. «La città cambia molto a seconda della stagione. Mi ero fermato poco, avevo partecipato a qualche lezione. Sostanzialmente mi ero fatto un’idea del teatro: un numero di spettacoli incredibile e una mole di lavoro enorme. Una grande, grande macchina. Poi tornai a ottobre 2016. Per restare. Mi resi conto che era un altro mondo».
Arrivò come un Nureyev al contrario. Invece di fuggire a Ovest, andava verso Est. Il primo impatto non è facile per nessuno. «Intanto la lingua: ora parlo e capisco il russo. Ma è stato un grosso sforzo: fare i documenti, trovare l’appartamento, sempre e solo in russo. Forse anche quello mi ha spinto a imparare più in fretta». E tutto va veloce a Mosca. «Tutti correvano. La metropolitana sfrecciava ogni 30 secondi. Energia e frenesia. Venivo da Milano, eppure mi accorgevo di essere uno che cammina molto lentamente. E poi il freddo: per la vita di un ballerino una difficoltà in più, influisce sul corpo, sull’umore. Spesso non c’è luce. E la neve: tantissima, anche ad aprile. Il famoso inverno russo: ti devi abituare».
Si dice che la carriera di Tissi sia decollata quando Svetlana Zakharova alla Scala lo volle accanto a sé nella première della Bella addormentata (26 settembre 2015). Si dice che i progressi compiuti siano anche merito del maestro Aleksandr Vetrov che lo segue personalmente. Si dice che lo scorso 12 giugno, festa nazionale in Russia, la prima ballerina Olga Smirnova sia stata molto contenta di essere tra le attente mani di Tissi per La Bayadère.
Ma c’è qualcuno che dell’enorme talento di questo ragazzo lombardo si accorse ben prima. Se siete al Bolshoi a vedere un balletto, alzate gli occhi e guardate a destra. Nel palco, poco sopra il golfo mistico, un signore è seduto su una poltroncina. Raramente lancia uno sguardo sul pubblico. La sua attenzione è fissa sui passi, che segue con movimenti della testa e talora del torso e delle braccia. Si chiama Makhar Vaziev e sta alla danza classica come Roger Waters al basso. Il suo vero nome è Makharbeq, che in osseto antico indica nobile lignaggio. «Io voglio i risultati» tuona a sipario chiuso. La voce rimbomba tra le quinte. Verrebbe da chiedersi quali risultati ancora, se tutto è appena stato di una bellezza commuovente.
Ma è vero che fa fare le prove dopo lo spettacolo, chiediamo a Tissi. «Capita, capita» risponde. «Ma è tutto nella norma. Se la richiesta è alta, devi essere molto severo. La determinazione di Vaziev è una delle componenti principali del suo successo. Audace e coraggioso. Ama il suo lavoro. Non tutti i bravi ballerini diventano bravi direttori, capaci di gestire le compagnie. Impone se stesso con il suo carattere e va avanti senza guardarsi troppo attorno». Quando lasciò la direzione del balletto della Scala, per tornare in Russia, The Times definì Vaziev «l’uomo nuovo al Bolshoi». La sfida era riportare la normalità, dopo una serie di scandali che avevano oscurato non soltanto il buon nome del teatro. Ha fatto di più: ha reso il balletto russo più internazionale, ha dato spazio ai nuovi coreografi, ha portato talenti dall’Ovest, invertendo il cliché storico del ballerino russo che fugge in Europa. E Tissi è la dimostrazione matematica del teorema Vaziev.
Ma il direttore del balletto del Bolshoi, con il suo discreto fascino di uomo d’acciao, «ha anche un lato molto umano: è una persona comprensiva. Destino e fortuna vanno un po’ insieme. Il fatto che abbia creduto sempre in me inevitabilmente mi ha portato ad affezionarmi e a considerarlo un mentore. Quando ho cominciato a lavorare con lui, tutto quello che mi diceva e il coraggio che mi infondeva mi hanno dato la forza per cose che pensavo di non poter fare. Continuare. Non fermarmi mai. Te lo puoi dire anche da solo chi è Jacopo Tissi. Ma se te lo dice Vaziev… Ci credi».