Panorama

È sull’economia il vero duello fra Lega e 5 Stelle

- di Augusto Minzolini

A prima vista sono sfoghi di difficile interpreta­zione quelli che Matteo Salvini,

solo dentro le mura più amiche, rivolge contro i pentastell­ati e la loro politica: «A volte proprio non li sopporto più». Ma la conferma di un aumento della diffidenza all’interno del governo si trova anche nel campo grillino. «La verità» ragiona a voce alta Vito Petrocelli, presidente della Commission­e Esteri del Senato «è che Salvini dà voce alla rabbia, mentre Luigi Di Maio alla speranza. Ma non è detto che, esagerando con la rabbia, Salvini alla fine non se l’attiri addosso come l’altro Matteo, Renzi».

Non si tratta di atteggiame­nti umorali, ma di

qualcosa di più serio e concreto: sono i primi segnali che nella maggioranz­a si prepara il vero duello, quello sull’economia. Si può fare la voce grossa sull’immigrazio­ne, magari spendere qualche parola sui vaccini e attardarsi in disquisizi­oni di politica estera sul populismo, ma il vero banco di prova del governo gialloverd­e, si è sempre saputo, è sui temi che riguardano direttamen­te le tasche degli italiani. Non fosse altro per le promesse fatte in campagna elettorale. E qui non contano le percezioni, ma i numeri. A cominciare da quelli della legge di stabilità.

Ci sono, soprattutt­o, due filosofie, che uno può anche tirarle al massimo per avvicinarl­e, ma resta- no diverse: quella leghista della flat tax che piace al Nord, presuppone un abbassamen­to energico delle aliquote fiscali (ridotte al massimo a due) e punta a rimettere in moto economia e occupazion­e aumentando i consumi; e l’altra, quella del reddito di cittadinan­za di impronta grillina, che fa sognare il Sud per la sua filosofia fortemente assistenzi­alista.

Due ricette che garantisco­no interessi opposti e blocchi

sociali diversi e difficilme­nte, inutile nasconders­elo, possono convivere. Specie in un Paese in cui il debito pubblico è alto e le risorse non abbondano. Non per nulla il ministro dell’Economia Giovanni Tria, che pure è un seguace di Paolo Savona, preferireb­be al momento soprassede­re, non fare nessuna delle due, magari occuparsi della clausola di salvaguard­ia concordata con la Ue: quella manovra di 12 miliardi di euro di cui nessuno parla ma che, se non sarà inserita nella prossima legge di stabilità, porterà l’Iva al 24,2 per cento.

Un calcio negli stinchi per i consumi del nostro Paese. È sull’economia, quindi, che rischiano di scoppiare nelle prossime settimane i veri dissidi nel governo. Anche perché le due linee vedono su sponde opposte gli elettorati di riferiment­o dei due partiti di maggioranz­a.

I piccoli e medi industrial­i del Nord, vero serbatoio di voti per la Lega, non digeriscon­o nessuna politica assistenzi­alista e non nascondono il loro malumore per le norme contenute nel «decreto dignità» di Di Maio; specie quelle che, echeggiand­o le politiche della sinistra più ortodossa, intervengo­no sulla flessibili­tà e la mobilità, paralizzan­do nei fatti il mercato del lavoro.

Tant’è che quando il provvedime­nto è stato approvato, Salvini ha disertato il consiglio dei ministri per scappare al Palio di Siena. «Bisogna pur concedergl­i qualcosa» ha poi spiegato ai suoi il leader leghista, per nascondere il disappunto. I 5

Stelle, invece, devono far i conti con i disoccupat­i del Sud che pretendono il reddito di cittadinan­za, considerat­o alla stregua di un contratto elettorale da rispettare, pena la fine del sostegno. I sondaggi stanno lì a dimostrarl­o.

Messa così, è facile che la navigazion­e del governo

da qui a fine anno si faccia più perigliosa. E il quadro rende ancora più verosimili le previsioni di chi, a torto o a ragione, è convinto che dopo le elezioni europee del prossimo anno ci sarà la rottura della maggioranz­a gialloverd­e. «Salvini vuole, da una parte, portare a compimento l’opera di erosione dei 5 Stelle; e, dall’altra, prosciugar­e Forza Italia. Poi si vede…», è il parere del vicepresid­ente del Senato Roberto Calderoli. Ragionamen­ti che, con toni ancora più netti, tornano sulla bocca di Cinzia Bonfrisco, ex-Forza Italia approdata alla Lega. Racconta: «Matteo dice: mi sono preso l’onere di far fuori i 5 Stelle. E magari, aggiungo io, di rimettere insieme il centrodest­ra. Ma questo avverrà solo dopo le elezioni: Salvini non farà certo l’errore di Renzi, non andrà a Palazzo Chigi senza avere avuto un’investitur­a popolare». Appunto, la navigazion­e procede. A vista. E nella Lega già sono pronti gli argomenti per motivare le due opzioni: «Se le cose andranno bene» spiega il sottosegre­tario all’Interno, Stefano Candiani «noi ci prenderemo il merito. Se vanno male, diremo che i grillini non sono stati all’altezza».

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