Gli opposti populismi
La vittoria del radicale neopresidente messicano è dovuta anche all'estremismo del dirimpettaio yankee.
Ci voleva negli Stati Uniti un presidente populista come Donald Trump per far trionfare in Messico un presidente populista come Andrés Manuel López Obrador, Amlo come tutti lo chiamano usando il suo acronimo. Il primo è di destra, ma tutt’altro che liberale su temi tanto cari al capitalismo come il libero scambio (basti pensare ai dazi commerciali). Il secondo è di sinistra, ma non di quella tradizionale che si ispira all’Internazionale socialista, bensì di quella bolivariana. Il modello di Amlo è il Foro di San Paolo, l’organismo confederale ideato da Fidel Castro dopo il crollo dell’Urss e fondato nel 1990 dall’oggi carcerato Lula (l’ex presidente brasiliano Luiz Inácio da Silva) per rilanciare il comunismo in America latina. Una sorta di Tea Party del marxismo.
Non a caso Morena (il Movimento della rigenerazione nazionale fondato dallo stesso López Obrador nel 2011) è iscritto al Foro, ma non alla più moderata Internazionale socialista. Di cui invece fa parte il Partito rivoluzionario istituzionale, che per 70 anni ha governato il Messico dopo la rivoluzione di Pancho Villa ed Emiliano Zapata (1910). Era più o meno da allora che la sinistra radicale non arrivava a un soffio dal potere.
Ma se un secolo fa i due eroi furono uccisi, oggi Amlo ce l’ha fatta senza fatica. Una grossa mano gliel’ha data proprio The Donald che, con il suo parlare di «messicani criminali e stupratori» e l’ossessione con il Muro ha favorito il populismo nazional-sovranista di López Obrador. E così come Trump vinse promettendo alla pancia dell’America che avrebbe «ripulito il pantano di Washington», Amlo ha rassicurato i suoi che dal suo primo giorno di presidenza (il prossimo primo dicembre) la farà «finita con la corruzione» e ristabilirà «lo Stato di diritto». Del resto, uno che ha chiamato il suo ultimo figlio Jesús Ernesto, un mix tra Gesù Cristo e Che Guevara, non teme le missioni impossibili. E se lo slogan della campagna di Trump è stato «America first», López Obrador ha ribadito che la sua priorità non sarà la politica internazionale bensì quella nazionale. Come un sovranista qualsiasi, il cattocomunista punterà tutto sul «rilancio del mercato interno», 150 milioni di persone con un potenziale di consumo enorme. Perché, se è vero che otto messicani su 10 odiano The Donald, la grande maggioranza di loro sogna un futuro da «American dream» (magari in salsa messicana, ovvero senza emigrare negli Usa). Il primo round sarà sul Nafta, l’accordo per il libero commercio del Nord America, che rischia di essere cancellato. (
Trump: «Messicani? Un popolo di criminali e stupratori». López Obrador: «Trump parla di noi messicani come Hitler e i nazisti degli ebrei».