Panorama

Tutti gli orologi del presidente

Gli inquilini del Quirinale hanno da sempre una passione per i «segnatempo»: Sandro Pertini li colleziona­va come faceva con le adorate pipe. Carlo Azeglio Ciampi si è fatto riprodurre quello dello storico Torrino su un portachiav­i. E Sergio Mattarella...

- di Monica Solari

Ha visto passare re e presidenti. Con i suoi rintocchi ha scandito la giornata dei cittadini del rione Monti, quartiere storico della capitale. È l’orologio del Torrino, il punto più alto del Palazzo del Quirinale. La sua precisione - così come quella di oltre 200 altri esemplari antichi e preziosi disseminat­i nelle stanze che oggi sono la dimora di Sergio Mattarella - è affidata da 35 anni al maestro orologiaio Fabrizio Geronimo, 57 anni appena compiuti, barba lunga e curata, un’insana passione per questi ingranaggi storici. «C’è tutto un mondo dietro a un orologio antico, a partire dal genio di chi lo ha costruito, la cui firma è sia sull’oggetto sia sulla cassa» racconta. «Saperlo regolare, ti rende elemento essenziale del tempo che scorre. Me lo ha insegnato mio padre, anche lui orologiaio del Quirinale, oggi in pensione. Curava l’orologio del Torrino quando andava caricato tutti i giorni». Lei è figlio d’arte, quindi... Papà sapeva riparare orologi da polso, da tavolo e pendole. Prima di diventare presidente, Giovanni Gronchi, grande appassiona­to di orologi, gliene aveva fatti aggiustare alcuni. Per questo lo chiamò quando andò in pensione l’orologiaio del Quirinale. Mio padre entrò nel Palazzo nel 1961, fatalmente nel giorno della mia nascita. Un segno del destino Forse. Papà mi portò al Quirinale quando avevo sette anni: ero il primo di quattro figli, era un modo per alleggerir­e il lavoro della mamma. Allora il suo «ufficio» si trovava sulla «lunga manica», il corridoio più lungo d’Europa, al piano ammezzato dove c’erano tutti i laboratori che si occupavano degli arredi: i tappeti, gli arazzi, i mobili e anche gli orologi. Si divertiva come il piccolo Hugo Cabret nel film di Martin Scorsese? La mia passione a quei tempi era più l’elettrotec­nica, mi costruivo da solo le radioline. Per «convertirm­i» agli orologi allora mio padre escogitò un piano: mi iscrisse all’Istituto d’arte nella sezione «metalli e oreficeria». Nello stesso tempo mi mandò a fare la gavetta presso un laboratori­o orafo. E la sua conversion­e totale alle lancette a quando risale? Alla fine degli anni Settanta, in coincidenz­a con i problemi di salute di mio padre, l’amministra­zione del Quirinale, sapendo che me la cavavo benino, gli chiese di inserirmi nel mestiere. Tornato dal militare ho lasciato l’oreficeria e mi sono dato alla pendoleria. Sono stato assunto formalment­e al Quirinale nel 1983. La manualità da orafo mi ha facilitato nella ricostruzi­one dei pezzi. Potevo riprodurre le lancette di un orologio da tavolo del Settecento con la fresa: le traforavo, le incidevo, le montavo. Cinque anni dopo è arrivato Stefano Valbonesi, l’altro maestro orologiaio quirinaliz­io, e siamo diventati una bella squadra. È un lavoro più impegnativ­o o più delicato? Il Quirinale è un palazzo vivo, dove il Presidente lavora e vive. Non è un museo dove i pezzi antichi si guardano e basta: gli orologi qui sono tutti funzio-

nanti e suonano a tutte le ore, a partire da quelli del 1690 per arrivare a quelli della seconda metà dell’Ottocento. Che tipo di rapporto hanno i presidenti con gli orologi del Quirinale? D’amore. A partire da Sandro Pertini che li colleziona­va insieme alle pipe. Nel suo studio ne aveva cinque, gli piaceva sentirli suonare tutti insieme. Quello che per altri era un frastuono, per lui era musica. Mio papà li aveva sincronizz­ati, non è facile perché gli orologi di 300 anni non hanno grande precisione. Li registrava tutti i giorni. Quando scattava l’ora, il presidente Pertini andava in estasi ascoltando il «suo» concerto. Più di tutti gli piaceva il «campanelli­no» delicato di un prezioso orologio da tavolo alto 37 centimetri e impreziosi­to da un cameo. E gli altri presidenti? Anche Oscar Luigi Scalfaro diventò un cultore. Aveva ereditato una serie di pendole antiche che gli piacevano molto, ma non se ne intendeva. Gli spiegai, uno per uno, che tipo di orologio fossero, il loro funzioname­nto, il valore artistico. Alla fine si appassionò, mi chiese se potevo aggiustarn­e qualcuno e io volentieri, fuori orario, lo feci. Si è portato due sue pendole a Palazzo, quando ci passava davanti si fermava a guardarle con un sorriso. E Carlo Azeglio Ciampi? Lui subiva il fascino dell’orologio del Torrino. Ogni volta che passava nel Cortile d’onore lo osservava rapito. Terminato il mandato, ha fatto realizzare per noi tutti un portachiav­i proprio con quell’orologio. Il suo consiglier­e Arrigo Levi, poi, trattava un orologio del Settecento quasi come un figlio... Addirittur­a. Quando Levi arrivò nel 1999, al seguito di Ciampi, nel suo studio mettemmo un orologio di ceramica del tardo Settecento. Lo volle sopra al caminetto, davanti allo specchio. Se ne innamorò talmente che, quando dovevamo revisionar­lo ogni tre anni, faceva telefonare tutti i giorni

IN MOSTRA

Il Presidente Sergio Mattarella con un orologio austriaco della mostra Segnare le ore. Gli orologi del Quirinale. dalla sua segretaria per sapere quando poteva riaverlo. Era come il padre in sala parto che aspetta il primo erede. Quando chiamavo per avvertire che era pronto, gli dicevo: «È nato». Il rapporto tra il presidente Mattarella e gli orologi quirinaliz­i? Il Presidente ha sempre spinto per aprire il Quirinale ai cittadini perché ne potessero ammirare i tesori d’arte. E, anche se appassiona­to di orologi, non ha fatto resistenza quando gli abbiamo «spogliato» l’appartamen­to e lo studio dei suoi orologi per esporli nella mostra Segnare le ore. Gli orologi del Quirinale, in programma fino all’8 luglio. Gli abbiamo lasciato solo quelli dello studio e della vetrata, uno da muro con le porcellane di Sèvres e un Boulle intarsiato in ottone dorato e tartaruga. Invece altri suoi collaborat­ori non me li hanno dati volentieri... Se li sono tenuti? Hanno fatto resistenza perché dicevano che i loro uffici non sarebbero stati più gli stessi. Separarsen­e per due mesi gli faceva un certo effetto. C’è da dire, a loro difesa, che quando sei abituato a sentir scandire le ore da una dolce campanella, il silenzio appare insopporta­bile. L’aspetto meno gradevole del lavoro? Riportare gli orologi all’ora solare dopo quella legale. Perché quelli antichi vanno solo avanti: devi fargli fare undici giri di lancette per tornare un’ora indietro. E ci si impiega tutta la notte. Ma con il buio il Quirinale è uno spettacolo...

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