UN RISOTTO ANTISPRECO
Aperto il frigo di casa D’Agostino, Heinz Beck opta per un primo a base di verdure fresche.
Anche gli chef si confidano. Capita così di venire a sapere che spesso, chiamati in case importantissime per cucinare una cena, al momento del sopralluogo vorrebbero non aver mai accettato l’incarico. Spazi risicati, vecchie pentole, forni inagibili, tecnologia antiquata. Figurarsi se quel cuoco è Heinz Beck, tedesco, super stellato, famoso per il rigore con cui governa le sue cucine nel mondo. Il mago che vent’anni fa ha trasformato il ristorante all’ultimo piano del Rome Cavalieri da tavola con gran panorama e cucina irrilevante in uno dei migliori approdi gastronomici d’Italia. Il quale chef, per di più, di regola non accetta di cucinare in case private, per lussuose e famose che siano. Perciò riusciamo a stento a trattenere un wow! di sollievo approdando nella cucina di casa D’Agostino: grandi finestre, piano cottura a isola, sei fuochi, forni a incasso, pentole lustre. Addirittura il passavivande. Ma l’entusiasmo scende subito ai minimi termini quando la padrona di casa apre il frigo. Ce lo aspettavamo rigurgitante di cose buone in attesa del grande professionista. Invece troviamo: una serie di vasetti, una ciotola con foglie di lattuga, due bistecche, aglio e cipolla, parmigiano, pecorino e mozzarella nello scomparto dei formaggi, un po’ di frutta, una bottiglia di latte e una di vino bianco. Su un tavolo, però, c’è una promettente cassetta di ortaggi: zucchine col fiore, piselli, fave, cipollotti, carotine, cicorie. Provengono, spiega la padrona di casa, dalla sua tenuta, quasi 300 ettari dalle parti di Boccea, vicino a Roma, coltivata tutta con il sistema Demeter, il vertice del biodinamico. Da lì viene anche l’ottimo olio, fresco e pizzichino. Ma ecco lo chef, sorridente nella sua impeccabile giacca candida e armato di una valigetta del tutto simile a quella dei professional killer dei film di spionaggio. «L’ho sempre con me quando mi sposto» spiega. Apre il frigo semivuoto ed è deliziato: «È come a casa mia. Per mangiare bene è necessario imparare ad acquistare solo
quello che serve: che so, una carota, due mele. Mai comprare troppo e poi farlo diventare vecchio in casa. L’ho imparato da mia moglie Teresa ed è la mia regola anche al ristorante». Apre la dispensa ed è incuriosito: risi esotici e nostrani, paste semintegrali, biologiche, organiche. Ha deciso: farà, un risotto con gli ortaggi arrivati dalla campagna. Sarà un risotto puro, leggerissimo, che lega, perché portato a cottura con sapiente lentezza, senza bisogno di grassi nella mantecatura, con le note croccanti degli ortaggi crudi, in linea con la sua filosofia del buonissimo e sano. Titolo: il piatto dell’Orto. rilevanza rispetto alle relazioni che nascono intorno alla tavola «che, invece, è puro convivio e scambio». La sua consorte, abile cuoca, sottolinea che il marito parla così solo «perché cucina da cani. La prima volta che mi invitò a cena mi preparò una pasta tricolore oscena». Ribatte lui: «È sempre stata la mia esca, avevo imparato quella ricetta a Ponza e la usavo per conquistare le ragazze. Con te, come vedi, ha funzionato». E ancora: «Non importa che un maschio cucini bene, importa che cucini e ti inviti a cena a casa sua. È il miglior modo per sedurre. Poi intervengono i super alcolici che sbrinano anche le persone più rigide».
Antitesi figurata di quanto sopra, suona il campanello Heinz Beck: puntualissimo, lievemente emozionato, equipaggiato con una piccola e misteriosa valigetta di pelle nera, dall’aria inquietante, se non si sapesse di avere di fronte un super chef.
La stella della Pergola del Rome Cavalieri è venuta a casa del «signor Dagospia» per cucinare un piatto con ciò che trova in dispensa. E oggettivamente casca bene. Non solo la signora Anna Federici in D’Agostino ha una cucina grande quanto un monolocale, ma è proprietaria di un’azienda agricola, la Boccea, nella quale si coltivano ortaggi, si allevano bovini e si produce olio. Di fronte a una cassetta piena di verdure, studiate e toccate una per una, Heinz Beck decide, dunque, di optare per un risotto vegetariano «e democratico» ai sapori dell’orto ( per la ricetta, vedere la pagina a fianco). Dago gongola come chi ha capito di aver fatto un figurone davanti a un professore molto severo.
Inizia il rito della preparazione: ortaggi decorticati uno per uno, brodo fatto senza alcuno spreco, analisi maniacale dei chicchi del riso da usare. Heinz Beck, concentrato ma padrone del suo ruolo, inizia a rilassarsi e chiacchiera volentieri. D’Agostino chatta, fuma il sigaro, telefona, parla, fotografa. Due piani sotto l’appartamento, c’è la redazione di Dagospia. A quell’ora, normalmente, il fondatore sarebbe seduto a lavorare nella sua stanza piena zeppa di mobili e suppellettili a forma di fallo. E invece oggi coordina dalla cucina. Qui si parla di governo: «Ormai averne uno non serve nemmeno
più, tanto c’è l’Europa. Facciamone a meno!» dice mentre sistema dolcemente l’etichetta del vestito di Gucci sbucata sulla schiena della moglie. Chiede al maestro, senza ottenere risposta, se alla Terrazza del Rome Cavalieri si consuma qualche «intrigo di coppia» e svela che, invece, la Terrazza del Bernini «è il quartier generale di Renzi e dei suoi, ma lo sa tutta Roma».
Beck interrompe le chiacchiere per chiedere l’olio ai padroni di casa. Come un bambino, D’Agostino si esalta: «Evvaiii Anna! Questo è il momento tuo. Faglieli vedere tutti» dice gasato alla moglie, produttrice di un buon extravergine. Lo chef, in effetti, apprezza e finalmente apre la valigetta del mistero. Oltre a una lettera del condominio, contiene tante piccole botticine con all’interno barbabietola e prezzemolo liofilizzati, ma anche misteriose erbe come la atsina cress, dal sapore che ricorda l’anice, usata per la decorazione finale del suo risotto.
All’ora della merenda, nella sala da pranzo, tra una rosa di zucchero incorniciata di Aldo Mondino e una gigantografia del sedere di Moana Pozzi, di cui Heinz Beck ignorava sia il nome che l’esistenza, finalmente si mangia.
Segue visita al piano alto, tra opere d’arte, chincaglieria di ispirazione fallica e la «cappella» dedicata ai pezzi di Damien Hirst, realizzati con le medicine: «È la denuncia del fatto che la chimica ha sostituito la fede» specifica Dago da credente non praticante, spostandosi sulla terrazza affacciata su Roma, arredata con una statua di Superman, i Sette nani, palme e banane giganti. «Guarda Heinz: Roma è divisa in due dal Tevere. Dall’alto si coglie che la parte più bella e meglio edificata è quella sacra».
I commiati sono romantici. Heinz Beck racconta di sua moglie Teresa con cui sta e lavora da 17 anni: «Ho fatto bene a corteggiarla per un anno. Senza di lei non sarei dove sono» dice, mentre le guance gli si arrossano. Anna D’Agostino rivela, invece, il segreto del ménage con Dago: «Non abbiamo mai lavorato insieme, ma l’ho sempre supportato. Quando, nel 1999, andò via dall’Espresso per via di quel suo articolo che indispettì l’Avvocato, lo spronai a seguire il consiglio di Barbara Palombelli che gli suggeriva di aprire il blog».
Le due star devono tornare ai loro lavori. Noi lasciamo «la tana del lupo» molto divertiti, rivedendo la massima di Cicerone: «Il piacere dei banchetti non si deve misurare dalle squisitezze delle portate, ma dalla compagnia degli amici e dai loro discorsi». Abbiamo avuto entrambe le cose.