Panorama

Tanto di cappello

- di Erica Orsini

L’edizione 2018 del Royal Ascot, l’evento ippico più famoso al mondo, si è da poco conclusa. A fare notizia, insieme con la prima apparizion­e di Meghan Markle, l’invasione di copricapi creativi, icona intramonta­bile dello stile british. Ecco come, dove (e perché) nascono i più chic del mondo.

amate dalle signore che sfilano in passerella al concorso ippico di Ascot. I grandi, quelli che possono dirsi arrivati come Philip Treacy, Rachel Trevor-Morgan o Sarah Marshall non superano la decina, quelli emergenti uno zero in più. Signore e signori, ecco a voi i «milliners». Ovvero, i modisti di cappelli inglesi, quelli che in un’epoca iper tecnologic­a ancora usano le mani per produrre i cappelli per signora più straordina­ri del mondo.

Piccoli come gioielli, grandi come nidi di cicogna. Colorati e fioriti come giardini pensili, scultorei e geometrici come un quadro di Wassily Kandinsky. Sembrano fatti per nascondere e invece nascono per proteggere ed esaltare. Accessori che, dopo decenni di declino, negli ultimi anni sem- brano essere ritornati di gran moda anche in Italia. Solo che gli artisti del copricapo da noi chiudono per mancanza di lavoro ed eredi, mentre nel Regno Unito continuano ad essere amati e riveriti come delle star. E alcuni lo sono per davvero.

È il caso dell’irlandese Philip Treacy, il modista più richiesto al mondo, noto per aver confeziona­to cappelli sia per l’aristocraz­ia britannica che per le attrici e cantanti. Al matrimonio del Principe William e di Kate Middleton sono stati ben 65 i membri della famiglia reale che hanno richiesto i suoi servigi . Ricordate l’insolito cappellino con fiocco verticale sfoggiato con estrema disinvoltu­ra dalla principess­a Beatrice, figlia di Sarah Ferguson e del Principe Andrea? Era suo come anche l’ultimo copricapo indossato da Meghan Markle. A lanciare Treacy sul mercato è stata Lady Gaga con i suoi cappellini folli, poi sono venute Madonna e Sarah Jessica Parker. Crostacei di tessuto che si appoggiano sulla fronte, velette che diventano fasce di pizzo come maschere per gli occhi, vortici di tessuto bicolore, tono su tono. Nel suo elegantiss­imo negozio di Belgravia, Treacy riceve solo per appuntamen­to e la lista d’attesa è sempre lunga, ha uno stuolo di assistenti e le sue creazioni si trovano nelle migliori boutiques londinesi.

Eppure, lui dice da sempre di non aver inventato nulla. «Il cappello esiste da secoli» spiega spesso «io ho avuto la grande opportunit­à di cambiare la percezione delle persone su come dovrebbe essere nel 21esimo secolo. Li realizzo perché li amo. Sono degli oggetti enigmatici , strumenti per soddisfare il desiderio umano di bellezza. Devono fare sentire bene la persona, sia chi li indossa sia chi li ammira indossati».

Oggetti del desiderio i cui costi variano molto. Si va dalle 2000 sterline di un cappello estivo firmato Treacy alle 900 di una creazione di Trevor Morgan, eventualme­nte, ci sono i saldi. Il cappello definisce personalit­à e classe sociale. Le famose suffragett­e non uscivano di casa senza cappello, che tenevano ben calcato sulla testa anche durante i tafferugli con la polizia. Nel Movimento lo portavano sia le aristocrat­iche che le operaie: la grandezza del copricapo dipendeva dalla classe d’appartenen­za.

Per gli inglesi il cappello non è mai stato «uno stupido accessorio» da esibire con sbadataggi­ne. Gli archivi del Victoria and Albert Museum rigurgitan­o di me-

POSSONO ESSERE MAESTRI DI CREATIVITA’ ACCESSIBIL­I SOLO AI REALI E ALLE STAR DI HOLLYWOOD O ARTIGIANE AMICHEVOLI,

morie storiche in materia, tanto che nel 2009 il cappellaio Stephen Jones, allestì una mostra visitatiss­ima con un’antologia delle sue creazioni, affiancata da seminari in cui venivano mostrate tutte le fasi della lavorazion­e. La scelta della stoffa, la messa in forma, la decorazion­e a mano dei fiori. Per ogni cappello, ore ed ore d’impegno. Si bagna, si cuce, si asciuga per ottenere la giusta rigidità. «Ci si diverte, ancora, dopo vent’anni e più di lavoro» spiega

Sarah Marshall, ex assistente dello stilista John Boyd, che insieme alle amiche Pia e Galina ha rilevato il suo laboratori­o in Walton Street, a due passi dai grandi magazzini Harrods. Dall’esterno neppure si vede, dato che è privo di vetrine e si trova al seminterra­to. Eppure, quando si varca la soglia ci si trova nel mondo di Alice nel

Paese delle Meraviglie. Boyd era il cappellaio di Lady Diana e della principess­a Anna. Sarah e la sua squadra hanno realizzato i copricapi di Kate e lavorano moltissimo per le fan di Ascot.

Tutte hanno una specializz­azione, ma ognuna segue ogni fase della lavorazion­e, compreso il rapporto con le clienti. Perché comprare un cappello è come andare dallo

psicologo, ps ci si mette a nudo. E il cappellaio dev’essere de bravo. «Ogni donna può indossarlo» sa sostiene Marshall «ma è importante capire ca che tipo è. Un cappello deve esaltare la personalit­à, non nascondere, rivelare, mai m ridicolizz­are. Una signora timida non vorrà vo mai un copricapo che la metta al centro ce dell’attenzione, ma qualcosa che la faccia sentire al posto giusto, completa. Con C una persona eccentrica di natura si può, pu invece, osare di più. Inoltre, si deve sempre se tenere conto di ciò che indosserà e in quale occasione: ogni scelta richiede un equilibrio diverso».

Il cappello che più ha amato? Sarah M Marshall non ha dubbi: «Uno piccolo, quasi una rete di minuscoli pon pon vintage, di quelli che non si trovano più da nessuna pa parte». E la richiesta più insolita? «Una se serie di copricapi per alcuni monumenti ci cittadini, per la prima volta ho avuto come cl clienti delle statue invece che esseri uma-

ni». Lo studio di Rachel Trevor Morgan, una delle stiliste predilette della Regina, odora di fiori.

Situato in Crown Passage, proprio dietro all’austero Lock & Co. Hatters, storico negozio di cappelli da uomo, convertito­si anche ai copricapi femminili da soli 25 anni, il piccolo regno di questa signora riservata e sorridente si trova in un vicolo stretto, affollato di ristoranti italiani e gallerie d’arte. Nel salottino profumato, dove accoglie una cliente alla volta, si scorge, addossata al muro, una fotografia incornicia­ta di Elisabetta con un creazione della stilista. «È una cliente come tutte le altre, per nulla difficile - racconta senza sbilanciar­si - quando devo farle un cappello, la prassi è la stessa che uso per le altre clienti. Si parla, si vede che cosa vuole, si fanno le prove».

Le è capitato che la gente chieda un cappello identico a quello indossato da una personaggi­o famoso? «Un sacco di volte. Le signore arrivano e mi dicono “vorrei quello che indossava quest’attrice...”, magari si portano la fotografia». Ne provano uno simile, si guardano e commentano: «Ah però, su di me non fa lo stesso effetto...». Questo perché ogni cappello ha il suo proprietar­io, ogni creazione è una sfida creativa. La più impegnativ­a? «Forse un cappello enorme, fatto tutto di specchiett­i riflettent­i, come le luci da discoteca. Sicurament­e uno dei lavori che mi hanno divertito di più». Passione, rigore e la squisita abitudine di trattare tutti i clienti allo stesso modo: i milliners inglesi sono tutto questo e pensare che, etimologic­amente, «milliner» deriva dal sostantivo Milano. Sembra infatti che i primi commercian­ti di cappelli si fossero stabiliti nel capoluogo lombardo attorno al 1500. I britannici sono arrivati dopo di noi, ma hanno resistito molto più a lungo.

 ??  ?? Ad Ascot, in Gran Bretagna, la tribuna reale, a fine giugno. Al centro, di schiena in verde, la Regina Elisabetta. Alla sua sinistra, Sarah Ferguson, duchessa di York, vicino a sua figlia, la principess­a Beatrice. A destra, Lady Carolyn Warren, amica di corte.
Ad Ascot, in Gran Bretagna, la tribuna reale, a fine giugno. Al centro, di schiena in verde, la Regina Elisabetta. Alla sua sinistra, Sarah Ferguson, duchessa di York, vicino a sua figlia, la principess­a Beatrice. A destra, Lady Carolyn Warren, amica di corte.
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