Trump power
Il Presidente Trump ha un disegno strategico? Ha senso demolire la Nato, scagliarsi contro l’UE nemica commerciale degli Stati Uniti, isolare i suoi alleati a tre giorni dal vertice con Putin? Secondo molti, Trump sta facendo quello che farebbe il leader russo, se avesse le mani libere, per fare implodere l’Ue in una miriade di piccoli stati europei anziché a in un blocco di 500 milioni di d cittadini. Eppure c’è una logica nella condotta
d di Trump. «America first» non è solo uno slogan per ottenere riequilibri commerciali. c A metà del suo mandato Trump sta realizzando una nuova dottrina asiatica, mediorientale ed europea, basata non sulla ricerca di faticosi e per lui inutili compromessi, ma sui rapporti di d forza. Non poteva andargli a genio la posizione americana nelle relazioni internazionali: un mondo multipolare con tanti comprimari, una economia surclassata dalla Cina, una sovranità limitata da mille accordi. Non poteva essere questo il destino degli Usa. Ha così imposto un mutamento di scena su tutti i fronti: clima, squilibri commerciali, contributi agli enti internazionali. Andare avanti per inerzia avrebbe fatto di lui un secondo Obama. Andare «against the tide», controcorrente, gli è congeniale. Denuncia degli accordi di Parigi, blocco dei migranti, dazi, sanzioni per le imprese che delocalizzano: il pugno di Trump ha travolto tutto ciò che paralizzava la libertà di azione. Sul fronte internazionale, la priorità era l’Asia, dove la vertiginosa crescita della Cina sembrava ridurre gli spazi di Washington e dei suoi alleati. Trump ha spinto Tokyo ad accrescere il bilancio per la difesa, ha rafforzato i legami con Seoul, ha acquisito un nuovo alleato, il Vietnam, ha gettato le basi di un’intesa con il leader nordcoreano, ma soprattutto ha dimostrato ai Paesi del sud est asiatico che la flotta Usa rimarrà nell’area. In Medio Oriente, dopo il trasferimento dell’Ambasciata a Gerusalemme, Trump ha fatto bombardare dalla sua flotta e dai caccia Israeliani le basi iraniane in Siria. Un messaggio chiaro: gli iraniani non avranno il corridoio fino al Mediterraneo che sognano da secoli. Infine, l’Europa. Trump ha voluto
riaffermare l’assoluta supremazia Usa. L’avrà irritato la posizione paritaria al tavolo con gli alleati, e li ha umiliati: ha lamentato l’insufficiente impegno finanziario, ma in realtà intendeva colpirne l’amor proprio, l’incapacità di agire a livello globale. Rimproverando la Germania di dipendere dalla Russia con il gasdotto North Stream, ha lasciato intendere di essere l’unico titolato, primum et non inter pares, a parlare con Putin. Le critiche all’Ue hanno messo a nudo la pochezza di un’organizzazione impigliata in interminabili conciliaboli e litigi condominiali, senza accorgersi di quanto il mondo è cambiato. Paesi ricchi forse, ma privi di un disegno strategico. Quello che premeva a Trump, nel corso del suo viaggio in Europa, era cambiare anche nel vecchio continente la percezione della potenza americana in un mondo globale. È questo il concetto riemerso dopo
l’incontro con Putin in Finlandia: due soli Paesi, la Russia e l’America, sono grandi potenze nucleari. I temi di cui debbono discutere sono complessi perché tra loro vigono rapporti di forza. Entrambi gli interlocutori sanno che la posta in gioco è importante perché si riflette sulla loro posizione riguardo alla Cina. Attraverso una apparentemente irrazionale e tortuosa linea di condotta, accompagnata da dichiarazioni e smentite, si snoda «die grosse politik» di Trump che mira a ristabilire la gerarchia tra le potenze. Nessun Paese, eccetto gli Usa, è in grado
di lasciare una così vistosa «footprint», un’impronta sul pianeta: il numero e l’importanza delle basi americane testimonia la capacità di Washington di intervenire in qualsiasi parte del mondo. Lo stesso non può dirsi né della Cina né della Russia. È nata così l’era Trump, caratterizzata dal replicarsi di situazioni di instabilità: quelle che consentono al Presidente di riaffermare la superiorità militare e economica degli Usa, incurante delle reazioni violente e delle proteste che lui stesso innesca. Sorprende in questo quadro la debolezza dell’Europa che non sembra rendersi conto della sua irrilevanza. Sfrontatamente dileggiati da Trump, i Paesi europei, persi nei loro egoismi nazionali, rivelano la loro incapacità di prendere decisioni adeguate rispetto alle sfide di oggi.