Panorama

Trump power

- Presidente Venice Internatio­nal University UMBERTO VATTANI

Il Presidente Trump ha un disegno strategico? Ha senso demolire la Nato, scagliarsi contro l’UE nemica commercial­e degli Stati Uniti, isolare i suoi alleati a tre giorni dal vertice con Putin? Secondo molti, Trump sta facendo quello che farebbe il leader russo, se avesse le mani libere, per fare implodere l’Ue in una miriade di piccoli stati europei anziché a in un blocco di 500 milioni di d cittadini. Eppure c’è una logica nella condotta

d di Trump. «America first» non è solo uno slogan per ottenere riequilibr­i commercial­i. c A metà del suo mandato Trump sta realizzand­o una nuova dottrina asiatica, mediorient­ale ed europea, basata non sulla ricerca di faticosi e per lui inutili compromess­i, ma sui rapporti di d forza. Non poteva andargli a genio la posizione americana nelle relazioni internazio­nali: un mondo multipolar­e con tanti comprimari, una economia surclassat­a dalla Cina, una sovranità limitata da mille accordi. Non poteva essere questo il destino degli Usa. Ha così imposto un mutamento di scena su tutti i fronti: clima, squilibri commercial­i, contributi agli enti internazio­nali. Andare avanti per inerzia avrebbe fatto di lui un secondo Obama. Andare «against the tide», controcorr­ente, gli è congeniale. Denuncia degli accordi di Parigi, blocco dei migranti, dazi, sanzioni per le imprese che delocalizz­ano: il pugno di Trump ha travolto tutto ciò che paralizzav­a la libertà di azione. Sul fronte internazio­nale, la priorità era l’Asia, dove la vertiginos­a crescita della Cina sembrava ridurre gli spazi di Washington e dei suoi alleati. Trump ha spinto Tokyo ad accrescere il bilancio per la difesa, ha rafforzato i legami con Seoul, ha acquisito un nuovo alleato, il Vietnam, ha gettato le basi di un’intesa con il leader nordcorean­o, ma soprattutt­o ha dimostrato ai Paesi del sud est asiatico che la flotta Usa rimarrà nell’area. In Medio Oriente, dopo il trasferime­nto dell’Ambasciata a Gerusalemm­e, Trump ha fatto bombardare dalla sua flotta e dai caccia Israeliani le basi iraniane in Siria. Un messaggio chiaro: gli iraniani non avranno il corridoio fino al Mediterran­eo che sognano da secoli. Infine, l’Europa. Trump ha voluto

riaffermar­e l’assoluta supremazia Usa. L’avrà irritato la posizione paritaria al tavolo con gli alleati, e li ha umiliati: ha lamentato l’insufficie­nte impegno finanziari­o, ma in realtà intendeva colpirne l’amor proprio, l’incapacità di agire a livello globale. Rimprovera­ndo la Germania di dipendere dalla Russia con il gasdotto North Stream, ha lasciato intendere di essere l’unico titolato, primum et non inter pares, a parlare con Putin. Le critiche all’Ue hanno messo a nudo la pochezza di un’organizzaz­ione impigliata in interminab­ili conciliabo­li e litigi condominia­li, senza accorgersi di quanto il mondo è cambiato. Paesi ricchi forse, ma privi di un disegno strategico. Quello che premeva a Trump, nel corso del suo viaggio in Europa, era cambiare anche nel vecchio continente la percezione della potenza americana in un mondo globale. È questo il concetto riemerso dopo

l’incontro con Putin in Finlandia: due soli Paesi, la Russia e l’America, sono grandi potenze nucleari. I temi di cui debbono discutere sono complessi perché tra loro vigono rapporti di forza. Entrambi gli interlocut­ori sanno che la posta in gioco è importante perché si riflette sulla loro posizione riguardo alla Cina. Attraverso una apparentem­ente irrazional­e e tortuosa linea di condotta, accompagna­ta da dichiarazi­oni e smentite, si snoda «die grosse politik» di Trump che mira a ristabilir­e la gerarchia tra le potenze. Nessun Paese, eccetto gli Usa, è in grado

di lasciare una così vistosa «footprint», un’impronta sul pianeta: il numero e l’importanza delle basi americane testimonia la capacità di Washington di intervenir­e in qualsiasi parte del mondo. Lo stesso non può dirsi né della Cina né della Russia. È nata così l’era Trump, caratteriz­zata dal replicarsi di situazioni di instabilit­à: quelle che consentono al Presidente di riaffermar­e la superiorit­à militare e economica degli Usa, incurante delle reazioni violente e delle proteste che lui stesso innesca. Sorprende in questo quadro la debolezza dell’Europa che non sembra rendersi conto della sua irrilevanz­a. Sfrontatam­ente dileggiati da Trump, i Paesi europei, persi nei loro egoismi nazionali, rivelano la loro incapacità di prendere decisioni adeguate rispetto alle sfide di oggi.

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