Panorama

Leader veloci, Parlamento lento. Anzi fermo

Lo rivelano i dati ufficiali: questo è l’inizio di legislatur­a tra i meno produttivi della storia repubblica­na. In compenso Di Maio e Salvini sono iperattivi.

- di Carlo Puca

Ogni mercoledì, giorno principale di raduno a Montecitor­io, il deputato semplice Andrea Caso è tra i più lesti ad arrivare. Diligente, entra, si sposta nella Sala dei giornali, legge un po’, posta qualcosa di ammiccante sui social e poi va alla buvette a bere un buon caffè. A quel punto, come la gran parte dei 221 colleghi del Movimento 5 stelle, non sa più cosa fare. Al netto di qualche comparsata in Aula o in Commission­e, il tempo - tanto tempo, troppo tempo - lo trascorre suo malgrado praticando il rito della «chiacchier­a persa». Ovvero: ciondoland­o da una parte all’altra del Transatlan­tico insieme a qualche compagno di partito.

Quella di Caso è la banale consuetudi­ne della stragrande maggioranz­a degli eletti. I parlamenta­ri sono annoiati se non frustrati. Tanto decidono tutto Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Se persino il premier Giuseppe Conte a volte è scavalcato, figurarsi il resto. Infatti, nella stessa situazione di avviliment­o si trova il grosso dei 123 eletti della Lega alla Camera e la quasi totalità dei senatori di maggioranz­a, 109 per il M5s e 58 per il Carroccio. D’altronde da mesi il Parlamento lavora di rado. I provvedime­nti da analizzare, seppur assai enfatizzat­i mediaticam­ente, sono rarissimi. Non a caso la produttivi­tà di deputati e senatori è al minimo storico, come mai in passato, al punto che costoro

si occupano soltanto di tutto quello che non è rinviabile, tipo i decreti legge.

I dati ufficiali parlano chiaro. La XVIII legislatur­a è partita il 23 marzo 2018. Da quel giorno e fino al 17 luglio, le sedute sono state appena 22 a Palazzo Madama e 27 a Montecitor­io. Il primo impegno per i senatori è stato quello di eleggere presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati; compito assolto già il 24 marzo. Da quel momento il Senato è tornato a riunirsi solo un’altra volta a marzo, il 28, per le dimissioni del premier Paolo Gentiloni, l’individuaz­ione dei gruppi parlamenta­ri e l’attribuzio­ne di qualche poltrona. Poi l’assemblea è stata convocata due volte ad aprile, tre a maggio, otto a giugno e finora sei a luglio. Il problema è facile da individuar­e: il governo è lento. Dal debutto della legislatur­a all’attenzione di Palazzo Madama non sono arrivati grandi provvedime­nti da analizzare; anzi, non ne sono proprio arrivati. Tra i testi passati sui banchi si segnala solo qualche decreto risalente all’esecutivo Gentiloni, come quello sul terremoto del 28 giugno. Per il primo testo varato dal governo Conte bisognerà attendere il 24 luglio, quando a Palazzo Madama arriverà il decreto sul Palagiusti­zia di Bari, approvato alla Camera il 17 luglio.

A proposito di Montecitor­io, se Sparta piange, Atene di certo non ride. A parte l’espletamen­to di tutti gli obblighi regolament­ari, finora le sedute dei deputati sono state 2 a marzo, 5 ad aprile, 3 a maggio,

dieci a giugno e 7 a luglio. Saranno però gli onorevoli, il 24 luglio, a tenere a battesimo il tanto atteso e discusso «Decreto dignità» firmato da Di Maio.

Però, appunto si tratta di un decreto, non di un’iniziativa parlamenta­re. Non solo. Il testo è stato di fatto blindato anche nelle sue modifiche. Come denuncia Maria Stella Gelmini, capogruppo di Forza Italia a Montecitor­io, «la maggioranz­a vorrebbe imporre un iter flash: pochissimi giorni in Commission­e e poi una volata finale per il passaggio in Aula. Non è accettabil­e un atteggiame­nto di questo tipo. Il Parlamento abbia il tempo necessario per esaminare in maniera approfondi­ta il provvedime­nto. Senza forzature e senza strappi». Insomma, dopo anni trascorsi ad accusare i governi di centrosini­stra per aver affossato le prerogativ­e delle Camere, alla prima occasione ai gialloverd­i si imputa la stessa colpa. Eppure in campagna elettorale sia Di Maio (in modo deciso) sia Salvini (più blando) avevano promesso di rimettere il Parlamento al centro della scena politica. Invece la scena se la sono presa loro, Luigi e Matteo, ed episodicam­ente qualche altro ministro. Dei loro deputati e senatori si è gia persa memoria.

E alla lunga questo potrebbe diventare un problema con gli elettori. O almeno così spera l’opposizion­e. Perché va bene l’efficace gestione della comunicazi­one e dei social network su vitalizi, immigrati, legittima difesa, pensioni d’oro, negozi chiusi nei festivi e quant’altro. Ma al deputato e al senatore semplice il meridional­e medio potrebbe presto domandare del reddito di cittadinan­za e della mancata abolizione della legge Fornero. E il settentrio­nale imprendito­re (e portatore di voti) potrebbe cominciare a rimprovera­re il decreto dignità e l’omessa flat tax. Il meridional­e e il settentrio­nale hanno capito anche dalle parole del ministro dell’Economia Giovanni Tria che non c’è trippa per gatti. Per quanto saranno pazienti?

Per Edoardo Novelli - docente di comunicazi­one politica all’Università Roma Tre - se alle grandi parole non seguiranno fatti concreti (ed è difficile che seguano), con la sua strategia propagandi­stica il governo «rischia la crisi di rigetto». Un esempio? Al decimo o quindicesi­mo barcone respinto, gli italiani si saranno assuefatti, non gliene importerà più nulla. E cominceran­no a chiedere conto del figlio disoccupat­o, della nonna con la pensione da fame, della tasse salate e del marito o della moglie senza cittadinan­za (inteso come reddito).

Alcuni mal di pancia si sono già manifestat­i. Il mondo delle associazio­ni e del volontaria­to di matrice prevalente­mente pentastell­ata, mentre guarda atterrito alla battaglia sulle poltrone di Stato (a partire da Rai e Cassa depositi e prestiti) attende ancora provvedime­nti su sanità, energia, acqua e scuola pubblica. Sono tutte faccende fondamenta­li contenute nel contratto di governo.

Per ora si sa solo che i militanti di Greenpeace - prima delle elezioni vicinissim­i ai 5 Stelle e ora contrari alla politica governativ­a sui migranti - hanno protestato con grande veemenza davanti al ministero dei Trasporti di Danilo Toninelli. Per rimuoverli è dovuta arrivare la polizia in tenuta antisommos­sa.

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I vicerè Il ministro del Lavoro Luigi Di Maio (32 anni) e il titolare dell’Interno, Matteo Salvini, classe 1973.
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 ??  ?? Disoccupat­i Dall’inizio della legislatur­a la Camera si è riunita appena 27 volte. Peggio ancora il Senato, fermo a quota 22.
Disoccupat­i Dall’inizio della legislatur­a la Camera si è riunita appena 27 volte. Peggio ancora il Senato, fermo a quota 22.

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