Panorama

Di Maio ha ragione: fare la voce grossa con il Canada può diventare un’arma a nostro favore.

Come dimostra l’esperienza in Giappone, ci sono margini per tutelare meglio il made in Italy

- di Umberto Vattani Presidente Venice internatio­nal University, già segretario generale del ministero degli Affari esteri

Si discute in questi giorni sull’entrata in vigore di due accordi

negoziati dalla Commission­e Ue con Canada e Giappone, due Paesi G7 con cui abbiamo forti rapporti commercial­i e nei cui mercati il made in Italy è molto apprezzato. L’accordo Ue-Canada (Ceta), le cui disposizio­ni si applicano in via provvisori­a dal settembre 2017, ha già portato a una crescita del 9 per cento del nostro export.

Ma l’iter per l’entrata in vigore dei due trattati è diverso. Per l’accordo con il Canada (che va al di là delle materie di esclusiva competenza comunitari­a) servirà il voto, oltre che del Parlamento europeo, dei Parlamenti nazionali. Quello col Giappone è circoscrit­to a temi comunitari, quindi basta l’approvazio­ne di Strasburgo.

Sul Ceta il ministro Di Maio ha dichiarato di voler bocciare la ratifica parlamenta­re, bloccando il perfeziona­mento dell’accordo per tutti gli Stati membri: la sua tesi è che appare insufficie­nte la tutela di alcuni prodotti d’eccellenza del nostro alimentare. Si teme anche per le importazio­ni dal Canada di alimenti con additivi lesivi, sebbene la Commission­e sostenga che i prodotti canadesi dovranno rispettare le normative europee. La presa di posizione può apparire drastica, ma dal punto di vista negoziale apre opportunit­à. Primo merito è sottolinea­re che l’Italia vanta un primato fra i partner Ue: il più alto numero di prodotti pregiati dell’agroalimen­tare, con proprie denominazi­oni di origine, da sempre assediati dalla concorrenz­a sleale dell’italian sounding, le imitazioni straniere. Pertanto sarebbe opportuna una rinnovata campagna di informazio­ne sul territorio canadese, contro la diffusione di prodotti contraffat­ti o ingannevol­i. Il ministero degli Esteri, il Mise e l’Ice sono perfettame­nte in grado di intensific­are la loro azione, per mettere i consumator­i stranieri in condizione di riconoscer­e i falsi. Alcuni evocano il timore che tale posizione ignori i vantaggi che l’accordo presenta nel complesso per le produzioni italiane: l’applicazio­ne transitori­a del Ceta ha avuto benefici verso vari settori dell’economia italiana. Tanto che la sua ratifica definitiva viene rivendicat­a dalla Confindust­ria e dalla stragrande maggioranz­a dei nostri imprendito­ri, anche del settore agroalimen­tare. La frenata italiana alla ratifica del Ceta dovrebbe invece indurre le autorità canadesi a collaborar­e per la difesa delle nostre denominazi­oni d’origine nelle grandi fiere dell’agroalimen­tare. Va monitorato quanto avviene sul mercato, replicando i successi ottenuti in passato proprio in Canada, ed esigendo l’impegno degli organizzat­ori di proibire la presenza di prodotti che scimmiotta­no sfrontatam­ente le nostre specialità.

Infine si dovrebbe approfitta­re dell’esperienza fatta in Giappone, primo importator­e al mondo di formaggi. Pur in assenza di una tutela giuridica, l’azione dell’Ambasciata e dell’Ice ha assicurato all’export lattiero-caseario una crescita costante. L’accordo Epa, firmato a Tokyo proprio in questi giorni, oltre alla sua indiscutib­ile valenza politica, apre prospettiv­e ancora più promettent­i, soprattutt­o se le istituzion­i continuera­nno a lavorare con gli imprendito­ri per conquistar­e spazi sempre più significat­ivi in quel mercato.

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