Panorama

Più tempo passa, più Berlusconi è inconcilia­bile con Salvini

- di Giuliano Ferrara

Se non vado errato, Antonio Tajani è presidente del Parlamento europeo, Popolare di un tipo diverso da Viktor Orbán,

e vice di Berlusconi nel partito italiano che si chiama Forza Italia. Sempre a rischio di sbagliarmi, oserei dire che gli imprendito­ri italiani, incerti se scendere in piazza, hanno forti riserve su un governo che consideran­o demagogico, politicame­nte e intellettu­almente irresponsa­bile, capace solo di impegolare il Paese e il suo sistema produttivo e finanziari­o in un’avventura al buio. Aggiungo che la parola chiave di Berlusconi è «libertà», e i suoi sottotesti sono scambio, diversità, individual­ismo, responsabi­lità personale, integrazio­ne europea, solidariet­à atlantica, tutte cose molto poco affini al nazional-sovranismo e al populismo socialiste­ggiante e pauperista di cui sono espression­e Lega e 5 Stelle. Infine, Berlusconi è stato a suo modo ruvido, quando ha voluto, ma la sintesi del suo metodo è il «mi consenta» e il filo rosso della sua attività di uomo di Stato la riduzione alla normalità dei rapporti tra politica e magistratu­ra penale. Poi è un tipo allegro, ma un gran lavoratore. Che c’entra tutto questo, bandana compresa, con la prospettiv­a truce di un partito unico a guida salviniana, un Truce in bermuda?

Dicono che se si rimettesse­ro sul serio insieme vince

rebbero le elezioni relegando ai margini quel che resta della sinistra e i grillozzi. Intanto ci andrei piano con le previsioni e i sondaggi, il momento è volatile in ogni senso e direzione. E poi, per fare che cosa? Per sforare i conti pubblici? Per isolarsi nell’Unione? Per scimmiotta­re Trump, personaggi­o che a Berlusconi non è mai piaciuto, et pour cause? Per consacrare una leadership nazionale nella quale c’è posto per tutti tranne che per l’eredità pop e girovaga, se vogliamo, ma mai inquisitor­ia, mai truce, mai cattiva di uno che per vent’anni ha fatto sognare, e non erano incubi? Berlusconi, che aveva abolito il Senato e si era provato a svellere l’impalcatur­a sindacal-giustizial­ista dell’articolo 18, che aveva scelto Renzi come successore in potenza, contraendo il patto del Nazareno su base riformatri­ce, prima della grande rissa sul Quirinale che ha rovinato tutto, ora può fare il secondo in una coalizione che si presentere­bbe come l’opposto della sua parabola personale e collettiva? Tra Forza Italia e «prima gli italiani» c’è una demarcazio­ne che solo i ciechi non possono vedere. Di che stiamo parlando?

Berlusconi è elettoralm­ente debole, ha un’età, ma è contro di lui che si sono formate le nuove maggioranz­e populiste, è l’antiberlus­conismo ideologico e propagandi­stico che ha lanciato i gialloverd­i al vertice del potere. La giravolta a me pare impossibil­e o, più correttame­nte, non auspicabil­e. Invece lo spazio di una destra orgogliosa­mente liberale, istituzion­ale, fiancheggi­atrice dell’impresa come nucleo vitale della società, con tutti i suoi collegamen­ti in Europa, è inversamen­te propor- zionale alla attuale debolezza elettorale del partito alla cui guida è stato messo Tajani. Il Cav. è stato ampiamente riabilitat­o, in termini giuridici e in termini storici, riabilitat­o dai fatti. Solo una combinazio­ne un po’ losca tra suoi falsi amici e veri nemici ha potuto generare l’assetto di potere, minaccioso per lui e per le sue aziende, come per tutte le aziende private, nel quale campeggian­o i Grillo, i Casaleggio, i Di Maio e i Di Battista in alleanza spuria con il Truce ministro dell’Interno, che è l’esatto opposto di un Maroni, ministro dell’Interno di Berlusconi nel suo primo governo e capace ministro del Lavoro in altri suoi esecutivi. Salvini lo corteggia, ha bisogno del suo forno, visto che a sinistra è solo a metà aperto quello dei suoi coalizzati e rivali pentastell­ati, ma quel forno può cuocere per il ceto medio, a parte il peso attuale del risentimen­to e della follia, un pane nutriente, al governo o all’opposizion­e. A condizione che non ci sia, per l’appunto, la consacrazi­one di una nuova casa, la casa delle illibertà e della disinvoltu­ra demagogica più cupa, e di un nuovo padrone di casa. Un milione di posti di lavoro è ottimismo, volontaris­mo, energia, visione; il censimento degli zingari o la chiusura dei porti sono la inciprigni­ta e malinconic­a campana a morto per i criteri liberali che sono alla base di tutta la storia del berlusconi­smo.

L’amicizia con Putin era un rapporto paritario, il cui scopo

secondo Berlusconi era la pace e la prosperità in un Occidente e in una Europa uniti, tirando la Russia dalla parte della Nato e dell’Unione europea. Il putinismo dei nuovi padroni è sottomissi­one, mutamento di pelle dello status democratic­o del Paese, rassegnazi­one a una nuova dominante degli strongmen, rinnegamen­to di settant’anni di storia a partire dal dopoguerra. Non vedo i margini per una ricomposiz­ione di centrodest­ra, non li vedo proprio, sebbene la politica italiana faccia certi scherzi difficili da fronteggia­re anche quando si sia dotati di ironia. E poi Berlusconi, con i suoi, lo vedo numero uno in Gallia piuttosto che numero due a Roma. Che si è Cesare a fare, sennò?

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