Panorama

Intervista all’imprendito­re Sergio Bramini

Prima i selfie con Salvini e Di Maio, poi, appena insediato il governo, i grillini l’hanno chiamato sul palco insieme con gli altri ministri. Sergio Bramini, imprendito­re fallito perché lo Stato non ha pagato i debiti che aveva con lui, è diventato così i

- di Carmelo Abbate

Il popolo grillino è in festa. Pensava di calare su Roma per caricare e mettere in stato d’accusa l’inquilino del Quirinale, e come per magia si ritrova a celebrare l’inizio di una nuova epoca nella storia italiana, quella del cambiament­o. È il 2 giugno. Luigi Di Maio, dopo la giravolta sull’impeachmen­t del presidente della Repubblica per il caso Savona, sale sul palco di piazza Bocca della Verità e saluta la folla che sventola tricolori e vessilli pentastell­ati. «Ieri ho prestato giuramento come ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro della Repubblica italiana» esordisce con tono solenne il leader del Movimento, accompagna­to da un uomo sconosciut­o ai più. «E ci tenevo qui, davanti a voi, a mantenere la prima promessa che ho fatto in questi giorni», continua mentre si gira verso l’ospite. «Sergio Bramini è un imprendito­re che in questi anni vantava un credito con lo Stato. La sua azienda aveva lavorato con lo Stato, e lo Stato non l’ha pagato. Questo ha causato il fallimento dell’azienda di Sergio, perché non riusciva a un certo punto a pagare gli stipendi, a pagare più nulla. E oltre al fallimento, qualche giorno fa lo Stato gli ha pignorato anche la casa». La folla fischia, il comandante Di Maio alza un braccio, la folla si zittisce. «Fermi, non c’è bisogno di fischiare, da oggi lo Stato siamo noi». Boato, la folla approva. «Bene, io gli avevo promesso una cosa. Siamo arrivati tardi per la sua casa, ma non per quella di tanti altri imprendito­ri che sono in difficoltà come lui. Da lunedì, Sergio è esperto del ministero dello Sviluppo economico e verrà a lavorare con me per fare una legge che aiuti tutti gli imprendito­ri di questo Paese, che sono quelli che danno lavoro e che fanno girare l’economia, e che lo Stato ha massacrato in tutti questi anni. Glielo avevo promesso, e l’abbiamo mantenuta. Ci metteremo a lavorare insieme». Di Maio ora si rivolge a Bramini. «Non so se sarà facile aiutare tutti, Sergio, ma insieme, con l’esperienza che hai fatto, eviteremo tanti altri problemi a tanti altri imprendito­ri». Il microfono passa nelle mani di Bramini: «Farò di tutto per meritare la sua fiducia. La bozza di legge è già pronta, prevede una riforma della legge fallimenta­re, prevede di mettere mano alla legge delle banche, la legge 119 del 2016, e di eliminare il famigerato articolo 560, che ha consentito che io e la mia famiglia fossimo sgomberati con la forza. Questo articolo deve sparire, e dobbiamo rendere impignorab­ile la prima casa». Applausi. «Io sono convinto che da oggi lo Stato, che io ho visto in questi sette anni come un nemico, non l’avremo più al fianco come un nemico, ma al fianco come un amico». Avevamo lasciato Bramini con quella investitur­a pubblica nella piazza grillina, dopo una campagna elettorale nella quale Salvini e Di Maio lo avevano innalzato a simbolo delle vessazioni dello Stato. Lo ritroviamo in un bar di Monza davanti a una spremuta d’arancia. Bramini, che ne è stato della sua casa? Sarà messa all’asta il 22 novembre. Lei ci ha più messo piede? No, ma ci passo davanti tutti i giorni. Perché? Perché accompagno mia figlia al lavoro,

potrei schivare la via, ma non ci riesco. E che cosa fa invece? Mi fermo, guardo dentro dal cancello. L’erba è alta oltre un metro. Le betulle sono morte, sta morendo anche un acero giapponese che aveva 90 anni, è morta una delle tartarughe giganti. Il cane l’ho dovuto mandare al canile e nel giro di una settimana è morto per un tumore fulminante. Lei ora dove vive? In un appartamen­tino di 120 metri. Con sua moglie? No, siamo in sei. Chi siete? Io, mia moglie, le mie due figlie, la mia nipotina e mio figlio. E come vi sistemate? Le figlie e la nipotina in una stanza, il figlio sul divano in sala, io e mia moglie in camera da letto. E di che cosa vive? Mi sono rimesso a lavorare. Come i miei figli, che lavorano tutti. Lei che lavoro fa? L’agente, vendo prodotti alimentari. Arriva a fine mese? A fatica, a volte dobbiamo rateizzare. Cosa? La corrente, il gas. Immagino non sia facile. Ero un benestante, oggi sono un pezzente. Addirittur­a! Nella mia vita non mi ero mai trovato nella condizione che mi potesse essere tagliato il gas, o l’elettricit­à. Per fortuna è arrivato il lavoro da consulente per il ministro Di Maio.

Lasciamo perdere. Parliamone. Non è come pensa lei. Io penso che lei faccia un lavoro e che sia anche ben remunerato.

Non mi va di parlarne. Così mi porta a pensare che ci sia sotto chissà che cosa. Le dico solo che a oggi non ho preso un quattrino. Ho lavorato un mese senza nulla, poi mi è stato fatto un contratto che è partito a fine luglio, ma non bastava neppure a coprire le spese. Ci rimettevo. Ora è stato ritoccato, ma le garantisco che non mi resta in tasca un euro. Mi sta dicendo che lavora per spirito di servizio verso un Paese che le ha tolto la casa? Non per il Paese, ma per la gente in difficoltà che ho conosciuto in questi anni, per gli imprendito­ri che hanno tentato il suicidio o che girando in macchina per Milano ho ritrovato in fila al Pane quotidiano. Dopo tutto quello che lei ha passato mi lasci dire che tutto ciò non è giusto. Come non è giusto che siano venuti a casa mia quando mi stavano cacciando e poi... Ricordo Salvini che mi dice: Sergio sto andando in via Bellerio, se ti cacciano, chiamami e vengo subito. L’hanno chiamato cinque volte e non s’è visto. Né lui né Di Maio. Di Maio però lo ha visto a Roma, su quel palco. Poi dovreste avere iniziato a lavorare a stretto contatto.

Non l’ho più visto né sentito fino a quando non ho minacciato di dare le dimissioni da consulente. Quando? Due settimane fa. Perché? Ho provato a far inserire l’abrogazion­e della legge 560 nel Decreto dignità: mi hanno detto che non c’era tempo. Allora ho chiesto di inserirla nel decreto Milleproro­ghe: mi hanno detto che non era possibile. E lì mi sono incazzato come una bestia. Se non volete farlo, allora mi tolgo dai piedi. Ci saranno cose più urgenti ora. Certo. Ma le garantisco che ci saranno anche 500 mila famiglie che nei prossimi 6-8 mesi saranno soggette a esecuzioni e saranno cacciate dalle abitazioni e dai capannoni. E il 65 per cento di queste esecuzioni avverrà da Roma in giù. E lei ha fatto presente questo scenario? L’ho detto e ripetuto a tutti, si tratta di 2 milioni di persone che si troveranno per strada. E quando finalmente ha parlato con Di Maio come è andata? Mi ha detto che la mia legge era stata inviata all’Ufficio legislativ­o del ministero della Giustizia, e mi ha preso un appuntamen­to con il ministro Bonafede. E lui quando l’ha incontrato? L’11 agosto. Lui ha chiamato il responsabi­le dell’Ufficio legislativ­o, abbiamo discusso, mi hanno detto che non era possibile abrogare la legge Renzi, io ho spiegato che si poteva fare, a quel punto loro hanno riconosciu­to che si poteva modificare l’articolo 560, ma siccome andavano previste delle eccezioni, ci saremmo aggiornati dopo il 15 settembre. Ma io nel mio progetto di legge avevo già contemplat­o le eccezioni, per esempio per chi danneggia l’abitazione prima di uscire. Perché io parlo con tutte le associazio­ni italiane, che fra l’altro sto riunendo sotto Omnia rete, dove stiamo portando avanti una petizione popolare. Che Per chiedere petizione? l’abrogazion­e della legge Renzi. E Più quante di 185 persone mila. hanno aderito? E Sì. al ministero lo sanno? E che cosa ne pensano? Mi hanno detto di fermarmi e di non andare avanti. Perché? Dicono che ne sto già discutendo con loro. Strano, dopotutto l’obiettivo è lo stesso. Forse dà fastidio. A chi? Entrando nelle stanze dei bottoni mi sono reso conto innanzitut­to che la struttura rema contro le loro decisioni. Ma lei non fa certo parte dell’alta burocrazia, perché stopparla? Perché la mia riforma di legge darebbe grande fastidio alle banche, come mi è stato detto all’interno del ministero della Giustizia. Intanto lei mi sta dicendo che nei prossimi mesi 500 mila famiglie rischiano di finire per strada. Si sente usato? Certo, tutti mi usano, anche le television­i mi hanno usato. L’importante è riuscire a far qualcosa per gli altri. Ma chi glielo fa fare? Credo in quello che faccio. E ho detto a un sacco di gente che poteva contare su di me, non posso tirarmi indietro. Poi devo anche considerar­e che Di Maio e Salvini hanno mille problemi. E Di Maio ha pure due ministeri, corre di qua e di là, non è facile. Le hanno dato delle imposizion­i o raccomanda­zioni nei rapporti con i giornalist­i? Loro mi hanno chiesto di non fare dichiarazi­oni alla stampa, ma io dico tutto, passo dopo passo. La gente si aspetta che io racconti e spieghi quello che succede. E io rispondo alla gente.

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 ??  ?? Sopra, l’imprendito­re monzese Sergio Bramini, 71 anni, andato in fallimento a causa di un credito non pagato dallo Stato. In alto nella foto grande, Bramini sul palco di piazza di Bocca della Verità a Roma accanto al vicepremie­r Luigi Di Maio e alla prima linea del Movimento Cinquestel­le.
Sopra, l’imprendito­re monzese Sergio Bramini, 71 anni, andato in fallimento a causa di un credito non pagato dallo Stato. In alto nella foto grande, Bramini sul palco di piazza di Bocca della Verità a Roma accanto al vicepremie­r Luigi Di Maio e alla prima linea del Movimento Cinquestel­le.
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2 giugno 2018
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18 maggio 2018
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