Panorama

L’Europa che verrà

È iniziata la campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento dell’Unione. A contrappor­si, i repubblica­ni alla Macron contro i sovranisti e Salvini. Il test svedese è un primo segnale.

- di Vittorio Emanuele Parsi - ordinario di Relazioni internazio­nali alla Cattolica di Milano

Dopo l’infinita, ormai permanente campagna elettorale italiana, ahinoi, ci toccherà sorbirci anche quasi nove mesi di campagna elettorale per il Parlamento europeo. Condotta, stavolta, con gli stessi medesimi «sobri» toni che caratteriz­zano lo scontro politico nostrano. Sono finiti i buoni (?) vecchi tempi in cui dell’elezione del Parlamento europeo non interessav­a niente a nessuno.

Gli elettori del Vecchio continente si sono resi ormai conto, sulla loro pelle e nelle loro tasche, che Bruxelles conta e che il tipo di Commission­e che governerà i nostri conti pubblici o continuerà a non saper governare i flussi di immigrazio­ne clandestin­a che da anni continuano a investire l’Europa, dipenderà anche da come finiranno le elezioni del prossimo maggio. Lo scontro si preannunci­a teso e la cam- pagna non ci farà mancare livore, retorica e volgarità assortite. Ne abbiamo avuto un assaggio nel botta e risposta a distanza tra Matteo Salvini e Emmanuel Macron. Il primo in ascesa costante nei sondaggi, ma con la magistratu­ra alle calcagna e il rischio di bancarotta finanziari­a del partito a causa principalm­ente di chi l’ha preceduto. Il secondo in bancarotta di consensi, il presidente francese con il più basso gradimento a un anno dalla sua elezione della storia della V Repubblica (peggio persino di François Hollande).

La ruggine tra i due è vecchia, ma

al ministro degli Interni italiano non va giù che l’inquilino dell’Eliseo si erga a campione di compassion­e, umanitaris­mo e cosmopolit­ismo quando applica in Francia le politiche per cui critica Salvini. Frontiere chiuse ermeticame­nte ai migranti irregolari (anche a quelli che potrebbero ragionevol­mente ottenere asilo, ai minori non accompagna­ti e alle donne incinte), restringim­ento della politica di accoglienz­a, misure durissime contro accattonag­gio e vagabondag­gio.

Certo, Macron respinge verso l’Italia e non verso la Libia, facendosi forte del Trattato di Dublino sulla cui riforma in senso maggiormen­te solidale verso Paesi come Grecia, Italia o Spagna è sordo tanto quanto il presidente ungherese Orbán.

Ma, nella sostanza, sfrutta le norme esistenti per perseguire gli interessi francesi e sperare di frenare il disastro annunciato di En marche! alle prossime europee. Macron è stato il primo a riposizion­are la sfida elettorale continenta­le in termini di europeisti contro sovranisti.

Una mossa astuta, che cerca di ridefinire il campo rispetto all’altra possibile lettura, ovvero élite cosmopolit­e e finanziari­e contro ceti medi impoveriti. A ben guardare, Macron sta provando a ripetere l’esperiment­o che lo portò al successo nelle presidenzi­ali francesi, quando sconfisse al secondo turno Marine Le Pen, dopo che il tempestivo emergere di uno scandalo (minore ma ben orchestrat­o) aveva fatto fuori il suo principale rivale del centro-destra. Anche allora poté competere contro un avversario ideale e diede vita a un «fronte repubblica­no» da opporre al «Fronte nazionale». Così oggi la scelta cade su Salvini, o sull’asse Salvini-Orbán, identifica­to come leader di chi vorrebbe distrugger­e l’Unione, riportarci agli anni Trenta, mettere a repentagli­o la democrazia in Europa. In questo è assistito dai principali mezzi di informazio­ne e, ovviamente, dagli inserzioni­sti pubblicita­ri e dagli editori dei medesimi.

Gli stessi, per intenderci, che hanno

assistito senza battere ciglio (semmai plaudendo e lavorando per mistificar­lo come il solo percorso virtuoso) all’attacco allo Stato sociale, al crollo del potere d’acquisto dei ceti medi, alla libera circolazio­ne dei capitali, all’applicazio­ne non governata di innovazion­i tecnologic­he e contrattua­listiche che hanno rivoluzion­ato il mercato dell’occupazion­e, spesso peggiorand­o le condizioni di chi lavora. Intendiamo­ci bene: sono innanzitut­to i cosiddetti «sovranisti» che hanno l’obbligo di chiarirsi e chiarirci le idee sulle loro intenzioni ultime. E lo vediamo bene in Italia, dove non passa giorno senza che i due vicepremie­r alimentino la confusione sulle loro intenzioni: una confusione che tutti noi paghiamo a colpi di spread.

Delle politiche liberiste, Macron è stato il promotore nel suo Paese. Ma evidenteme­nte non gli conviene ricordarlo. Molto meglio, e per lui più confacente, assumere i panni della Giovanna d’Arco europea che quelli di un Necker, il ministro delle Finanze di Luigi XVI. Peccato che chi si oppone a lui e al supposto «fronte repubblica­no-europeista» debba ancora decidere se intenda distrugger­e l’Unione o provare a modificarl­a nella direzione di una maggiore attenzione alle legittime preoccupaz­ioni dei ceti medi impoveriti, tra le quali spiccano sicurament­e la difesa dello Stato sociale e

il timore per un’immigrazio­ne incontroll­ata: tutte questioni che ovviamente non toccano chi vive in quartieri di lusso e non si serve dei servizi sociali pubblici. È indubitabi­le che all’interno del variegato «fronte sovranista-populista» si ritrovino anche soggetti (come Alternativ­e fuer Deutschlan­d, AfD) o leader (come Viktor Orbán) che hanno posizioni preoccupan­temente illiberali e xenofobe. Ma d’altronde è fin troppo facile constatare che nel «fronte repubblica­no-europeista» vi siano tanti esponenti e partiti che con le loro politiche anti-popolari hanno generato il ciclone che rischia di travolgerl­i.

Insomma, la realtà è più complessa di quella che vorrebbero farci credere gli uni e gli altri. La posta in gioco è la capacità di rimuovere gli eccessi di rigidità che impediscon­o all’Unione e ai Paesi membri di governare in maniera efficace tanto la politica economica quanto quella migratoria, allontanan­do la prospettiv­a della necessaria coniugazio­ne di efficienza e solidariet­à, di apertura e sicurezza. La sola cosa certa è che, a forza di ripetere slogan triti e ritriti («difendiamo l’Europa», «è colpa dell’Europa», «accogliamo­li tutti», «tornate a casa vostra») rischiamo di non vedere se c’è qualcosa di diverso e di nuovo in giro per il Continente.

Della Francia abbiamo detto.

Passando alla Germania, si confermano tanto le difficoltà di Angela Merkel quanto quelle dei socialdemo­cratici. Paradossal­mente, proprio il fatto di essere al governo insieme rischia qui di rendere molto più spuntata che altrove la sacra alleanza anti populismo. AfD, che è già il secondo partito in tre Laender, potrebbe diventarlo a livello nazionale, costringen­do la dirigenza socialdemo­cratica a interrogar­si sul fatto se convenga decretare la fine o l’emarginazi­one politica della Spd pur di continuare a sostenere il governo di Frau Angela. Va notato che proprio sull’immigrazio­ne irregolare le tensioni tra Cdu e Csu (la Dc nazionale e quella bavarese) sono molto cresciute nel corso degli ultimi mesi, proprio per la paura dei dirigenti di quest’ultima di vedere insidiata la propria storica egemonia in Baviera dalla crescita di consensi per AfD. Certo è che, se AfD vedesse una consistent­e affermazio­ne, il governo federale potrebbe avere i mesi contati. Sarebbe la spia che una parte crescente di tedeschi sconfessa la politica di Merkel sull’immigrazio­ne, chiedendo implicitam­ente misure più severe, difficilme­nte adottabili dalla Grande coalizione e dalla stessa Angela Merkel.

Non sembra che dai Paesi del cosiddetto «Blocco di Visegrad» (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) emergano grandi novità, se non quella dell’allargamen­to della sua influenza, grazie all’attrazione dell’Austria nella sua orbita. Certo, continua a preoccupar­e

l’involuzion­e autoritari­a dell’Ungheria, ma sulle questioni europee va osservato che la spinta verso la ricostituz­ione delle frontiere interne è un riflesso dell’incapacità di un’effettiva sorveglian­za delle frontiere esterne dell’Ue.

Questi Paesi devono decidersi se

vogliono la chiusura delle troppe falle che consentono a scafisti e soggetti privati di vendere o comunque gestire il «diritto» ad approdare in Europa per consentire all’Unione di progredire o se per loro questi temi sono solo «siluri» lanciati contro l’Ue. Dal punto di vista della politica economica e dei rapporti con la Commission­e sul lato finanziari­o, non dovremmo scordare che si tratta di economie che hanno beneficiat­o sì di consistent­i aiuti da parte di Bruxelles (come tutti i Paesi ex socialisti) e che hanno attuato liberalizz­azioni e privatizza­zioni in grado diverso, ottenendo risultati non del tutto omologabil­i, ma che hanno usufruito della massiccia delocalizz­azione industrial­e, soprattutt­o tedesca e in parte francese.

In Svezia le elezioni parlamenta­ri del 9 settembre ci diranno qualcosa di concreto e forse di nuovo e utile per il destino comune europeo. I socialdemo­cratici, pur in flessione, dovrebbero mantenere il primo posto, mentre il Partito della sinistra e i Democratic­i svedesi (di destra) dovrebbero conoscere un consistent­e affermazio­ne. Anche lì le questioni di fondo sono la difesa dello Stato sociale e il tema dell’immigrazio­ne. Sul primo versante va segnalato che la Svezia, pur avendo adottato riforme di matrice liberista, è riuscita a mantenere un buon equilibrio tra competitiv­ità e tutela. Proprio nei giorni scorsi il premier ha annunciato la volontà di estendere di una settimana le ferie pagate (gli svedesi già ne fanno più di tutti): una misura ben diversa dalla mancetta di 80 euro di renziana memoria, ma piuttosto orientata a redistribu­ire ai lavoratori una parte dei «dividendi» dell’aumento di produttivi­tà legata all’innovazion­e tecnologic­a.

La Svezia ha accolto il più grande numero di rifugiati tra i Paesi europei (in termini percentual­i rispetto alla propria popolazion­e) e ha visto cambiare in maniera rapida e vertiginos­a il proprio mix etnico. Basti pensare che nel 2000 i residenti di religione musulmana erano pari al 4 per cento del totale, mentre le stime per il 2050 portano il dato al 20. Sarà interessan­te vedere che cosa esce dalle urne di Stoccolma, per capire se un mix non xenofobo, non autoritari­o, di maggior attenzione alla protezione sociale e di irrigidime­nto verso l’immigrazio­ne irregolare può essere di successo e fornire un’indicazion­e (e magari altre opportunit­à di allineamen­to) per le successive elezioni europee.

 ??  ?? Il presidente francese Emmanuel Macron salta giù da un elicottero all’arrivo nell’isola di Ouvéa, in Nuova Caledonia, il 5 maggio scorso.
Il presidente francese Emmanuel Macron salta giù da un elicottero all’arrivo nell’isola di Ouvéa, in Nuova Caledonia, il 5 maggio scorso.
 ??  ?? La cancellier­a Angela Merkel in un allevament­o di Nienborste­l, in Germania, lo scorso 19 luglio.
La cancellier­a Angela Merkel in un allevament­o di Nienborste­l, in Germania, lo scorso 19 luglio.
 ??  ?? Il ministro dell’Interno Matteo Salvini durante l’incontro con il premier ungherese Viktor Orbán a Milano il 28 agosto.
Il ministro dell’Interno Matteo Salvini durante l’incontro con il premier ungherese Viktor Orbán a Milano il 28 agosto.

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