Panorama

Marco Bussetti, il ministro che a scuola si sente a casa

er mesi ha lavorato sotto traccia al punto che qualcuno non sapeva neppure se fosse figlio della Lega o dei Cinquestel­le. Il suo momento è cominciato il 27 maggio, quando Luigi Di Maio, in diretta tv, ha pronunciat­o «Marco Bussetti» nella lista dei minist

- di Emanuela Fiorentino

Insegnante di educazione fisica, poi una vita nell’amministra­zione fino a diventare provvedito­re. «Fare il ministro è stato un imprevisto». «Più sport e meno vacanze? Perché no». Il suo riferiment­o è la maestra Nicolina. «Grande insegnante, ha 80 anni e si raccomanda sempre: fai il bravo».

Ptante cose. Per aver incontrato la maestra Nicolina, di cui parleremo, per avere sconfitto una malattia cattiva, per le sue adorate figlie. Sportivo nel cuore, crede anche che le vacanze estive per gli studenti siano troppo lunghe, e che la scuola ideale dovrebbe produrre un risultato prodigioso: sfornare non disoccupat­i, «ma persone grate di aver imparato e pronte a dare indietro il bello che hanno ricevuto».

Dice sempre che gli insegnanti ideali sono quelli che fanno il loro lavoro con amore. Sembra una cosa ovvia, ma non lo è. Matteo Renzi teneva sulla scrivania la foto di don Milani. E lei?

Io metto simbolicam­ente Nicolina, la mia maestra elementare. Due anni fa ha compiuto 80 anni e l’abbiamo portata a cena fuori con tutta la classe. Mi segue, mi scrive: «Mi raccomando, fai il bravo». Metà dei compagni ha avuto successo nella vita grazie a lei. Severa, ma bravissima. Le bastava guardarci negli occhi e noi zitti ad ascoltarla.

E oltre a Nicolina?

All’università il mitico professor Famulari, docente di chimica. Dovevo fare l’esame di biochimica e

studiare un testo di 800 pagine, lo stesso di Medicina. Su 100 ne passavano sei o sette. Un giorno, nel bar di fronte all’università lo incontro, lo saluto, mi chiede «Tu chi sei?», mi presento e gli dico che devo affrontare un’impresa impossibil­e. Ero disperato. «Vieni su con me», mi ha portato a casa sua, a due passi da lì. Per tre giorni sono andato da lui a studiare, mi ha fornito le chiavi per aprire la mente. L’esame andò benissimo. Sono quelli che fanno davvero bene le cose a lasciare il segno.

Quando è stato nominato ministro, in molti hanno storto il naso. Un professore di ginnastica non può essere il numero uno del ministero dell’Istruzione, dellUniver­sità e della Ricerca…

Ho una laurea in scienze motorie presa in Cattolica e un diploma Isef alla Statale di Milano. Ho insegnato scienze motorie due anni, poi sostegno. Da allora, dal 1992, ho lavorato sempre nell’amministra­zione. Ci sono stati maestri di strada sottosegre­tari, non è il titolo a dimostrare le qualità di uomo. E comunque non avevo mai pensato di fare il ministro, ma di dare prova della mia passione.

Quando ha realizzato che sarebbe diventato ministro?

Il 27 maggio quando Matteo Salvini mi ha comunicato che il mio nome era nella squadra. Incredulo, alla vigilia del mio compleanno, ho tirato fuori il vestito buono.

Il sogno è crollato in poche ore…

Sì, infatti ho rimesso via il vestito. Ma il 30 è arrivato un’altra telefonata, la partita era riaperta. Allora ho pensato che forse era il momento di stirarlo, quel vestito.

Che rapporto ha con Valeria Fedeli, la ministra che l’ha preceduta?

Personalme­nte la rispetto.

E con i sindacati della scuola, a differenza della ministra Fedeli che proveniva da quel mondo, com’è il dialogo?

Ho ottimi rapporti perché penso che siano una grande risorsa. E poi, vede, quando vengono a parlarmi di lavoro, non devono insegnarmi nulla. Ho fatto anche l’operaio, a 16 anni andavo nell’officina meccanica di mio zio, a Castellett­o Ticino. Stavo lì sotto le trance e le piegatrici, costruivam­o le prime parabole per la tv satellitar­e. Mi svegliavo alle 5, mettevo i fogli di giornale sotto ai vestiti per il freddo e col mio Benelli 50 che si fermava appena superavo i 30, ci mettevo almeno un’ora ad arrivare. Duemila lire l’ora, non era così male.

Che cosa ha sbagliato il governo Renzi con la sua Buona scuola?

Non ha ascoltato, è stato miope, non ha visto. Come la storia del re nudo, solo con il proprio potere. Anche io, da provvedito­re agli studi di Milano, avevo fatto proposte, scritto lettere, ma non c’erano mai risposte. Avevano una grande occasione e non l’hanno sfruttata.

Vuole raccontare a Panorama del «giorno da San Siro» al provvedito­rato di Milano?

Era il 10 settembre 2016. Per colpa dell’infernale algoritmo del reclutamen­to, sembrava di essere a San Siro nel giorno del derby: una marea di persone fuori dal palazzo che rivendicav­a il diritto di essere inserita in graduatori­a grazie a ordinanze del Tar alle quali, per ragioni tecniche, non si era dato seguito. C’erano carabinier­i e poliziotti, sono uscito sul prato, ho parlato davanti a quei colleghi esasperati, ho promesso che mi sarei adoperato per recuperare tutti quelli che ne avevano diritto nonostante non fossero ancora in graduatori­a. Ce l’ho fatta.

Quanti contenzios­i ha provocato l’algoritmo per il reclutamen­to dei docenti?

Migliaia e migliaia, impossibil­e contarli. L’algoritmo è stato un male per tutti, ma non solo quello…

Che cos’altro?

L’algoritmo è stato l’elemento scatenante che ha fatto emergere tutto il resto: la valutazion­e degli insegnanti senza criterio o la chiamata diretta, che ho congelato. Da questo mese ogni dirigente scolastico dovrà comunicare ai docenti quali sono i criteri per la valutazion­e, ci vuole trasparenz­a. I presidi, d’accordo con le Rsu d’istituto, renderanno noti parametri e indicatori per misurare la competenza di chi insegna.

Si litiga di più nei Consigli d’istituto o nel Consiglio dei ministri?

Si discute molto di più a scuola. Nei Consigli dei ministri di lavora. Sì, giuro, anche in questo periodo.

Con Giancarlo Giorgetti, suo storico amico, riesce a parlare in questi giorni di fuoco?

L’onorevole Giorgetti è una persona speciale sia sotto il profilo profession­ale che umano. L’ho conosciuto tanti anni fa ed è subito nata una bella amicizia. Ma, visti gli impegni attuali, ci parlavo di più prima di diventare ministro.

Uniti nella passione per lo sport.

Lo sport è una cosa fondamenta­le nella formazione di uno studente. Infatti vorrei inserire insegnanti specializz­ati nella primaria e consentire alle scuole, il pomeriggio e durante le vacanze, di diventare centri sportivi scolastici. Intorno ai 14 anni c’è la massima percentual­e di abbandono dello sport da parte dei ragazzi e la scuola deve aiutare a evitare che ciò accada.

Non è che il suo modello è la scuola francese?

No, il mio modello è quello italiano. Ma nella scuola francese, visto che ne parla lei, non superi la terza media se non sai nuotare. A giorni incontrerò rappresent­anti della Protezione civile per promuovere una serie di attività nelle scuole. I ragazzi devono sapere perfettame­nte che cosa fare in caso di incidente, terremoto, incendio, calamità naturali. Partiamo con i più piccoli, così poi loro lo insegneran­no ai propri genitori.

È sicuro che i genitori non bastino per vigilare sulla sicurezza e la salute dei figli?

La scuola deve affiancare i genitori. Un altro incontro in agenda, a brevissimo, è con il presidente dei pediatri italiani. L’idea è di verificare la possibilit­à di organizzar­e presìdi medici che possano seguire gli studenti fino a 16 anni con visite periodiche. Il medico deve essere visto come una figura amica che ti aiuta a stare bene.

Si torna a scuola e molti genitori tirano un sospiro di sollievo. Non le sembrano troppo lunghe le vacanze estive?

Affrontere­i il tema più che volentieri, a beneficio dei nostri ragazzi e delle famiglie. La scuola potrebbe diventare un centro di aggregazio­ne, durante l’estate, con attività sportive, musica, teatro, incontri serali.

Le dispiace che gli studenti italiani siano indietro nelle materie scientific­he? Lo hanno certificat­o gli ultimi test Invalsi.

Vero, il lavoro prodotto dopo la riforma Moratti ha dato buoni frutti sull’inglese, i nostri ragazzi circolano in Europa, si rendono conto loro stessi della necessità di comunicare con un’altra lingua. Sulle materie scientific­he, invece, esistono troppe

differenze tra aree geografich­e. Ci sono pochi insegnanti di matematica. Vorrei che già durante l’università gli studenti potessero fare percorsi mirati all’insegnamen­to. Abbiamo bisogno di docenti giovani e motivati.

Svecchiare la scuola significa anche renderla più tecnologic­a. O comunque dare uguali mezzi a tutti, dalla Lombardia alla Sicilia.

Ogni scuola può partecipar­e ai cosiddetti Pon, Programmi operativi nazionali. Ce ne sono di svariata natura per esempio per attivare il wifi, acquistare nuovi dispositiv­i, dotarsi di tecnologie avanzate, costruire laboratori innovativi... Ogni scuola può partecipar­e ai programmi che più le servono. Nostro obiettivo è rendere le scuole più tecnologic­he con il Pon entro il 2020.

Lo smarphone in classe acceso o spento?

Sarebbe utile con una didattica innovativa. Le scuole hanno un regolament­o d’istituto interno che ne disciplina l’uso. Se serve a scopi didattici e ce l’hanno tutti, perché no. Altrimenti stia spento.

E gli ebook, a proposito dei problemi di schiena dei nostri ragazzi?

Tutti gli strumenti per una didattica nuova sono funzionali all’apprendime­nto degli studenti. Non esiste innovazion­e senza buoni maestri. L’ebook e la tecnologia hanno senso in una scuola smart che preveda nuove metodologi­e di insegnamen­to quali il «debate», le classi capovolte, una didattica diversa sostenuta da adeguate tecnologie. Allora lo strumento è condiviso e ti aiuta a capire meglio e più in fretta. E poi ci sono gli armadietti…

In che senso gli armadietti?

Vorrei che ci fossero in tutte le scuole. È il posto a cui affidare le tue cose. Alleggeris­ce lo zaino e ti fa sentire a casa. Serve a rendere la scuola un ambiente più vivo, colorato e dinamico. Puoi lasciare il libro e mettere le scarpe da ginnastica, prendere lo strumento musicale e andare a lezione, recuperare i tuoi appunti e immergerti nella lezione successiva.

Per evitare le solite polemiche sui jeans strappati e il decoro, che cosa ne pensa del ritorno della divisa?

Personalme­nte sono per il grembiule fino alle medie, semplifich­erebbe un certo tipo di relazioni.

Non bastavano i test d’ingresso all’università? È giusto che si facciano anche per essere ammessi in alcuni licei?

io non sono d’accordo. Ma il dirigente che ha 900 iscrizioni a fronte di 200 posti deve trovare criteri oggettivi per dire a 700 persone che non possono trovare posto in quella scuola. Però non è sempre vero che ci sono scuole migliori di altre, spesso il sentito dire, le voci che circolano tra i genitori, creano situazioni inverosimi­li. Si potrebbe andare avanti all’infinito. Dallo ius soli («I ragazzi ricevono dallo Stato tutti i servizi di cui hanno bisogno e comunque, se siamo cittadini europei e poi italiani, la cittadinan­za dovrebbero chiederla all’Europa») alla crescita di Milano («I nuovi quartieri come City Life si sono popolati tantissimo e non ci sono abbastanza strutture»). Marco Bussetti ha scommesso tutto sulla scuola e questa è la sua occasione. Se sbaglia, chi la sente la maestra Nicolina...

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Marco Bussetti, all’epoca provvedito­re agli studi, il primo giorno di maturità dello scorso anno.
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