Panorama

Diventerem­o Mancini?

Bravo giocatore s’è anche affermato come allenatore nonostante la sua seconda vita sia cominciata con una lite. Adesso, forte dell’esperienza all’estero, dovrà farsi apprezzare nel rilanciare la Nazionale.

-

Roberto Mancini racchiude l’alfa e l’omega del pallone italiano: il compito più facile e quello più difficile. È facile fare meglio dell’ultima Nazionale non qualificat­a per la prima volta ai Mondiali del 1958. È difficile fare molto bene con una squadra che fa fatica a trovare una dimensione. Perché siamo nel pieno di una mutazione genetica e generazion­ale. E in questa mutazione abbiamo tante cose da sistemare. Mancini è la persona migliore che la Federazion­e potesse trovare: ha un rapporto tormentato (da calciatore) con la maglia azzurra ed è stato all’estero abbastanza da aver capito che in Italia c’è un mondo migliore di quanto si possa immaginare.

Ormai è rimasto poco di quello che era da calciatore, quando era fortissimo, ma non il più forte, quando era leader della Sampdoria, ma non riusciva neppure a farsi convocare in Nazionale. Ci sono aneddoti e leggende. Si racconta di Arrigo Sacchi che avrebbe «trombato» sia lui sia Vialli con il consenso di alcuni giocatori importanti come Maldini e Costacurta. Si dice di un referendum fatto da Arrigo al suo arrivo a Coverciano: «Li volete ancora questi due in squadra?». No. Però non è stato soltanto Sacchi. Anche con Azeglio Vicini, Roberto non ha avuto spazio. Qualche partita all’Europeo 1988 in Germania, poi più niente. A Italia ’90 fu convocato, non giocò un minuto. Al commissari­o tecnico, qualche anno dopo, ha dato dell’incompeten­te e del «cieco». Ha anche detto di essere convinto di non aver giocato perché era uno della Samp, e non uno di una «società politicame­nte forte».

Il campo adesso torna in un’altra maniera, non direttamen­te collegata alla sua

storia con la Nazionale. Serve un esempio, uno che ha giocato e vinto. In panchina sì, ma anche in campo. E Mancini ha tutto questo. In più ha lo standing, fondamenta­le in quest’era di ricostruzi­one. Il che porta a renderlo credibile anche quando sembra in contraddiz­ione. Per esempio, quando ha detto che in Italia i ragazzi italiani giocano poco. Nella sua Inter giocarono anche 11 stranieri su 11. Ma all’epoca era un mister di club, adesso è il ct della Nazionale: cambiano i ruoli e cambiano anche le necessità. Dirlo non è una incoerenza, quando la comprensio­ne che le necessità delle squadre e quelle della Nazionale non sempre coincidono. Nemico degli allenatori da giocatore, nemico degli allenatori da allenatore. La carriera in panchina di Mancini è cominciata litigando con i colleghi. Non aveva i titoli per allenare: gli mancava il patentino. Allora minacce di sciopero, annunci di querele, di cause giudiziari­e. I colleghi anziani si sono fregati da soli: non lo volevano, ma le loro stupide regole gli hanno permesso di diventare allenatore in pochi giorni. E poi lui non solo è diventato allenatore, ma ha anche cominciato a vincere. Ora è l’allenatore di tutti, più o meno amato. Come tutti i ct.

 ??  ?? di Giuseppe De Bellis direttore di SkySport24 SUDORE
di Giuseppe De Bellis direttore di SkySport24 SUDORE

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy