Ho una montagna di passioni da raccontare
Si nutre di roccia, di vette e di sfide. Ma la ricetta esistenziale dell’alpinista Hervé Barmasse prevede anche il pianoforte rivelatore di Ludovico Einaudi e la contemplazione di Michelangelo. E per trovare serenità, la Barbagia.
Al Festival della mente di Sarzana, dove è appena stato ospite, ha fatto il tutto esaurito: un paradosso, visto che un alpinista dovrebbe avere a che fare soprattutto con il corpo. Ma la verità è che Hervé Barmasse ha fatto del «pensiero di montagna» una vera filosofia di vita: ci sono «i punti zero», quelli in cui tutto va male, siamo infelici e non vediamo vie d’uscita, e «i punti 8 mila», la gioia pura, l’obiettivo raggiunto. In mezzo c’è la scalata, ovvero la vita, il vero lavoro. Barmasse ha scalato fin da adolescente: a 16 anni un palo di ferro a cento all’ora centrato in gara lo ha tolto per sempre dalle piste e gli ha richiesto sette operazioni al ginocchio. Ha scalato una diagnosi di tumore alla gola. Ha scalato un complesso rapporto con suo padre, innumerevoli incidenti di montagna, amici perduti per sempre sulle cime. E ha avuto gli «ottomila»: quelli veri e quelli della vita, come la sua prima figlia, che ora ha undici mesi. La montagna è stata la sua vera maestra. Una in particolare.
Qual è la cima che più ama?
Il Cervino che per me è qualcosa di più di una montagna. Non è solo roccia, ghiaccio e neve. È un fratello maggiore che mi ha insegnato a vivere in situazioni estreme e di quell’estremo ho fatto uno stile di vita. Spesso in solitaria.
E la cima che l’ha trasformata come uomo?
Lo Shisha Pangma, 8.027 metri, in Tibet. Lo scorso anno ho scalato la sua parete sud in 13 ore contro i quattro giorni normalmente impiegati per lo stesso obiettivo. Un’esperienza al limite delle capacità fisiche e mentali. Ma questa sfida si è conclusa
a tre metri dalla cima. Meno di dieci passi. Dieci secondi. Che sono fondamentali per omologare un’impresa. In quei tre metri però si nascondeva l’insidia della morte. La montagna è anche questo: la rinuncia non è mai una sconfitta. I luoghi di montagna che si dovrebbero vedere? Sicuramente il Nepal e la regione del Solu Khumbu, ma durante l’inverno: quando i pochi turisti presenti alle pendici dell’Himalaya e dell’Everest lasciano spazio all’umanità fraterna degli sherpa, che non ha eguali. Poi la Patagonia, anch’essa d’inverno, perché la neve rende quelle terre desolate ancora più selvagge. Infine, il Pakistan: un trekking nella valle di Hunza, per la gentilezza e la cordialità del suo popolo, potrebbe sorprendere anche il più diffidente. Il suo luogo-rifugio? Casa mia, a Valtournenche, e la Sardegna, in Barbagia. Luoghi in cui riesco a trovare sereni-