Matilda Lutz. Toccatemi e vi ammazzo
Alla vigilia della maternità, l’attrice l’italoamericana ha interpretato Revenge, film simbolo dell’era #MeToo. Dove, tra strupri e sangue, si trasforma da preda in cacciatrice. Più spietata di Uma Thurman in Kill Bill...
«La prima volta che ho incontrato Coralie non abbiamo parlato nemmeno del film. Poi mi ha dato da leggere la sceneggiatura, ma era molto semplice, schematica, con pochi dialoghi, per cui non riuscivo nemmeno a immaginarmi il risultato finale. Avevo però visto un suo corto, Reality
plus, e mi avevano colpito montaggio, musica, effetti speciali ma soprattutto il tema, come cerchiamo di controllare percezione e giudizio degli altri». Coralie Fargeat, 41 anni, era anche la prima regista donna con cui Matilda Lutz, 26 anni, nata e cresciuta a Milano, padre americano, e quindi perfettamente bilingue, lavorava. «Per cui ho deciso di darle fiducia e affidarmi a lei completamente», dice. E ha fatto bene, perché il film Revenge, opera prima, pur essendo stato girato a bassisimo costo (2,9 milioni di dollari) è diventato il caso dell’anno, eletto a simbolo di un’epoca: il primo dell’era post Harvey Weinstein e del movimento #MeToo. Racconta di Jen, amante di un ricco uomo sposato, che, durante un rito di caccia, viene violentata da uno degli amici di lui. Anziché parteggiare per lei, l’amante cerca di comprarne il silenzio per evitare uno scandalo. E davanti al suo rifiuto, la spinge giù da un burrone, crededendola morta. Ma non lo è, e scatenerà un bagno di sangue, trasformandosi da preda in cacciatrice. Il film appartiene a uno dei più vituperati sottogeneri del cinema: «rape and revenge», stupro e vendetta, sbocciato negli anni ’70, dopo la liberazione sessuale e il movimento di liberazione della donna. La scusa della vendetta, a molti è spesso sembrata più una furbata per mostrare degli stupri, che l’occasione per una lezione morale e di educazione civica. Ma quei pochi studi che esistono sul tema, di cui Quentin Tarantino è un esegeta, sono sempre stati firmati da donne. E donne registe, come Fargeat, oggi lo rilanciano con una connotazione femminista che non lascia margini di dubbio. Matilda, 1,70, occhi verdi, che nel serial tv I Medici interpreta Simonetta Vespucci, la nobildonna che posò per
La nascita di Venere di Sandro Botticelli, ha girato i suoi primi film in Italia ( L’estate addosso di Gabriele Muccino, il più conosciuto), ma da quattro anni vive a Los Angeles e in contemporanea con l’uscita nelle sale italiane (il 6 settembre) sta anche per diventare mamma. Il padre è l’attore Antonio
Folletto, il popolare «‘o principe» della serie tv Gomorra, che ha anche un film al Festival di Venezia, Capri-Revolution di Mario Martone. Mai avuto tentennamenti nell’accettare un film «pericoloso» come Revenge? No, forse per incoscienza. Nemmeno quando la prima attrice scelta, mi pare tedesca, ha avuto paura e si è ritirata. Era molto più giovane di me, e magari alla sua età avrei fatto lo stesso. Che cosa le piaceva del suo personaggio, Jennifer, detta Jen? Ciò che mi ha spinto a fare l’attrice, anche se ero molto timida: indossare vite diverse dalla mia. Jen, poi, è il sogno di ogni attore: due personaggi diversi nello stesso film. Prima una ragazza ingenua, un po’ superficiale, che vuole solo divertirsi, e poi una donna implacabile e inarrestabile, che prende coscienza della forza che non credeva di avere. Da donna oggetto a soggetto. Quanto è stato difficile fisicamente e psicologicamente? Praticamente è stato un film on the
road: 32 giorni di riprese in Marocco, con location spesso molto lontane. Da una trentina di chilometri da Marrakech fino al deserto intorno a Ouarzazade. Tre ore e mezza di trucco ogni mattina, per ridisignare ferite e contusioni, e un’ora e mezzo la sera per cancellarle. Totale, almeno 17 ore di lavoro. Ma lo stress era fondamentale anche per il personaggio. Ha notato reazioni diverse fra pubblico maschile e femminile? Generalizzando forse le donne lo vivono più emotivamente, mentre gli uomini lo considerano più uno spettacolo, anche se al festival di Toronto, a sentirsi male, con tanto di intervento di un medico è stato un ragazzo. Le critiche, comunque, sono venute soprattutto da chi il film non lo aveva visto: aprioristicamente, per il tema. Quanto hanno inciso il «caso Wein- stein» e la bufera delle molestie? Coralie aveva scritto la storia tre anni fa, e alla prima mondiale a Toronto, non si parlava ancora del «caso Weinstein». Il film funziona di suo, anche se poi la coincidenza ha sicuramente aumentato visibilità, interesse e dibattiti. Sull’argomento lei ha sperimentato differenze fra Italia e America? Sì, perfino a partire delle piccole cose come camminare per strada: in Italia una donna si sente più in pericolo, mentre negli Usa c’è più rispetto anche nell’ambito lavorativo, perlomeno di facciata, forse perché c’è più paura degli aspetti legali… Io ho cercato sempre di evitare di infilarmi in situazioni pericolose, perché una donna se ne accorge subito. Ma da ragazzina qualche fastidio in strada o sull’autobus ho dovuto sopportarlo. Che cosa pensa del caso di Asia
Argento, di cui si è tornato a parlare in questi giorni? Non ho le idee chiarissime, perché sto cercando di capire tutte le informazioni che continuano a uscire. Ed è sempre difficile arrivare alla verità. Mi spiace molto che venga usata per screditare il movimento #MeToo, il cui limite secondo me è che sia nato come movimento esclusivamente femminile, mentre dovrebbe riguardare sia donne che uomini, insomma gli esseri umani. Dal punto di vista cinematografico, conosceva il genere rape & revenge? Francamente no, perché il regista preferito di Coralie era David Cronenberg, e i suoi film di riferimento Cuore selvaggio, Drive, Under the skin. Del genere ho appreso dalle recensioni, piene di riferimenti, per cui ho cominciato a informarmi, sia pure a fatica perché sono super sensibile. Coralie le ha dato qualcosa da vedere? Film eroici come Mad Max o Rambo, e donne toste come Angelina Jolie in Tomb Raider o Uma Thurman in Kill Bill. Fanno parte delle sue attrici preferite? No, preferisco quelle di altri tempi: Audrey Hepburn, Marilyn Monroe, Monica Vitti e Jeanne Moreau. E invece la sua cotta da ragazzina? Leonardo DiCaprio, ma più come attore, ho visto tutti i suoi film e trovo che sia straordinario. Come «ragazzo» forse Josh Hartnett, in Pearl Harbour. Come chiamerà suo figlio? Oliver, che, abbiamo scoperto dopo, significa esercito di folletti… Spero che avrà il bello dei due Paesi e delle due culture dei suoi genitori: il cibo italiano a cominciare dal tiramisù che è la mia specialità, le vacanze estive sul Mediterraneo, il surf, lo skateboard e gli altri sport californiani.