Panorama

Che cosa ho capito delle guerre guardandol­e da vicino

- di Fausto Biloslavo

La guerra è sempre brutta, sporca e cattiva. Ma è pure lo

specchio della lotta fra male e bene, amore e odio, paura e coraggio, follia e ragione, vita e morte. Per questo ho scritto con Gian Micalessin, fraterno amico e compagno d’avventure, un libro su 35 anni di reportage in prima linea, che non lascia dubbi fin dal titolo: Guerra guerra guerra.

Ma che cosa ho veramente capito o imparato dai tanti conflitti vissuti e raccontati anche per Panorama? La guerra mi ha aperto gli occhi. All’inizio, quando partivo per l’Afghanista­n invaso dai sovietici cantando Vita spericolat­a di Vasco Rossi, pensavo che il mondo fosse in bianco e nero, diviso fra bene e male. Non era così: dalla giungla delle Filippine con i guerriglie­ri maoisti al carnaio dell’ex Jugoslavia mi sono reso conto che i conflitti hanno mille sfaccettat­ure di grigio. E soprattutt­o che buoni e cattivi non sono sempre separati con l’accetta, ma spesso mescolati su tutti i fronti o etichettat­i con troppa faciloneri­a dal pensiero dominante e dalla propaganda del momento. I serbi in Bosnia furono gli unici cattivi? I ribelli che hanno abbattuto Gheddafi erano tutti buoni? In Siria chi sono i buoni e i cattivi? Non scorderò mai il soldatino che in Libano nell’82 mi sbatté contro un muro per fucilarmi, gli spruzzi rossi dei traccianti davanti ai miei piedi durante una disperata fuga da un’imboscata in Kosovo, i resti del kamikaze piombati sulla mia testa nella battaglia di Sirte e tanti altri, drammatici, momenti di guerra. Dai conflitti (esotici, dimenticat­i o alle porte di casa) non so stare lontano, perché i reportage in prima linea non sono solo un mestiere. Sono la mia vita e la mia dannata, maledetta passione. A 25 anni le collinette di cadaveri disseminat­e nella savana dell’Uganda mi fecero capire che ogni giornalist­a di guerra si trova, prima o dopo, davanti a una sottile linea rossa. O scappi e torni a casa per cercare un posto fisso e tranquillo, oppure ti accendi un cigarillo per sopportare il lezzo dolciastro della morte e ti fai amico l’orrore. Tiri fuori il bloc notes e inizi a fotografar­e la mattanza dei pazzi falciati mentre avanzavano

cantando Siamo immortali. Si erano spalmati il corpo con un olio magico che avrebbe dovuto fermare le pallottole.

In guerra incontri i boia e gli eroi. I boia erano gli squadroni della morte con gli occhi iniettati di sangue in Ruanda, che durante il genocidio facevano a pezzi i tutsi a colpi di machete. Per poi seppellirl­i, ancora vivi, in enormi fosse comuni: gambe e braccia spuntavano dalla terra, addentate dalle fiere attratte dalla carne fresca. L’eroe è il papà di Sarajevo, che correva a zig zag fra colpi di mortaio e cecchini per trovare un po’ di latte per il figlio neonato, chiuso in cantina per sopravvive­re alle bombe.

La guerra non è solo il sibilare di pallottole, l’ondata di calore di una granata di mortaio che ti scoppia vicino o le urla forsennate di un assalto alla baionetta. È anche l’amicizia, l’amore, i colpi di fortuna, la fede e la gioia di chi è sopravviss­uto. Il campo di battaglia lo riconosci pure dagli olezzi cruenti: il sudore dei combattent­i che si mescola al tuo, il disinfetta­nte degli ospedali da campo, l’urina e le carni bruciate. L’odore della morte è inconfondi­bile, dolce e pungente. In Angola, durante la guerra civile si sentiva a distanza, trasportat­o dal vento. E gli avvoltoi che volavano in circolo erano la bussola per trovare i cadaveri.

Guerra dopo guerra mi sono reso conto che la verità è la

prima vittima dei conflitti. Nel nostro libro, Gian racconta la favoletta dei massacri del regime durante la «rivoluzion­e» in Romania e della caduta del dittatore Ceausescu ordita dai suoi servizi segreti. Peccato che nessuno gli credesse davanti alle immagini fake dei cadaveri spacciate per prove. In Iraq nel 2003 un sergente di una delle colonne dell’invasione Usa si era scritto sull’elmetto: «11 settembre, Dio perdona, io no». Saddam Hussein non aveva nulla a che fare con l’attacco di Bin Laden all’America, ma il sergente che faceva il vigile del fuoco a New York s’era arruolato per vendetta dopo aver visto crollare le Torri gemelle. La verità forse non è alla portata

di un giornalist­a. Per narrare la guerra con un minimo di onestà ho imparato a limitarmi a «piccole» storie che ho vissuto in prima persona, spacciando­mi per profugo kosovaro durante i bombardame­nti Nato contro i serbi o avanzando fra le macerie di Mosul al seguito dei soldati iracheni nella battaglia finale per liberare la capitale del Califfato. Piccole storie che magari riescono a riflettere la grande storia di una guerra.

Dagli anni Ottanta la compagna invisibile di ogni reportage è la paura. Rambo esiste solo al cinema. Paura di saltare in aria su una mina, di venir colpito da un cecchino o da una scheggia di mortaio... L’importante è controllar­la, senza scordare che un pezzo non vale la vita, che bisogna sempre tornare a casa, dove ti aspettano la tua famiglia e il tuo mondo. La vita non ha prezzo, come ho provato nei sette mesi di carcere in Afghanista­n catturato dai russi durante un reportage con i mujaheddin o andando a liberare per Panorama il fotografo Mauro Galligani, ostaggio in Cecenia. Purtroppo tanti, troppi amici, meno fortunati, sono caduti sul fronte dell’informazio­ne. Ad Almerigo, Ilaria, Maria Grazia e Raffaele uccisi per raccontare le guerre è dedicato il nostro libro. In ogni reportage Gian e io sentiamo di averli non solo nel cuore, ma al nostro fianco.

Mia moglie dice che è ora di appendere il giubbotto antiproiet­tile al chiodo, ma io non ci riesco. In fondo la guerra mi ha insegnato qualcosa di fondamenta­le. Ogni volta che torno a casa da un conflitto, in treno passo lungo la costiera con le rocce carsiche a picco sul mare. E, guardando dal finestrino lo splendido panorama del golfo di Trieste, mi rendo conto di quanto siamo dannatamen­te fortunati a vivere in pace.

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 ??  ?? In libreria il 25 settembre Il libro Guerra guerra guerra - Trent’anni di conflitti vita e morte nelle parole e nelle emozioni di due reporter di Fausto Biloslavo e Gian Micalessin, edito da Mondadori Electa.
In libreria il 25 settembre Il libro Guerra guerra guerra - Trent’anni di conflitti vita e morte nelle parole e nelle emozioni di due reporter di Fausto Biloslavo e Gian Micalessin, edito da Mondadori Electa.
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La difficile ricerca della verità Nella pagina a fianco, Fausto Biloslavo a destra e Gian Micalessin a sinistra travestiti da mujaheddin nel 1983 in Afghanista­n. Sotto, nel 1985 in Libano un bambino palestines­e nel campo profughi di Burj El Barajneh a Beirut.

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