Panorama

Perché il Brasile ha ucciso il Brasile

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«Il Brasile non è uno Stato, ma un

mercato, sovente di rapina» . È l’amaro commento di Armando Vasone, imprendito­re e tra gli «inventori» di Luis Inácio Lula da Silva a fine anni Settanta. Con lui, un selezionat­o gruppo di politici, giornalist­i, uomini di Chiesa e militari, nel momento in cui il Paese del samba era ancora retto dalla dittatura militare. Questo Paese Far West non ha saputo cogliere l’occasione più unica che rara di avere ospitato nel giro di appena due anni (2014 e 2016) i Mondiali di Calcio e le Olimpiadi, ovvero i due maggiori eventi del mondo. E non solo non è riuscito «a costruire quelle infrastrut­ture di cui avrebbe avuto un bisogno incredibil­e» racconta a Panorama Diogo Mainardi, brillante analista politico italo-brasiliano cofondator­e dell’Antagonist­a (oantagonis­ta.com). «Ma il Brasile non ha fatto nulla se non organizzar­e una corruzione senza precedenti, per fortuna scoperchia­ta dall’inchiesta Lava Jato, la Mani Pulite brasiliana». Il sito dell’Antagonist­a è una

vera e propria Bibbia per chiunque voglia capire dove andrà a finire il Paese più ricco (due trilioni di euro il suo Pil), popoloso (oltre 200 milioni gli abitanti censiti) ed esteso (30 volte l’Italia) dell’America latina. Nell’ultima settimana, un paio di eventi clamorosi hanno riportato sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo il Brasile che, il prossimo 7 e 28 di ottobre (primo turno e ballottagg­io) dovrà decidere chi lo governerà sino al 31 dicembre 2022. In primis, l’incendio del Museo nazionale, già residenza a Rio della casa reale portoghese di Orléans e Bragança, trasferita­si nell’ex colonia del nuovo mondo. Il rogo del 3 settembre è stato un’ulteriore dimostrazi­one del disastro verde-oro. «La popolazion­e, frustrata per avere un’economia in crisi (dal 2014 il Pil è calato del 10 per cento e la disoccupaz­ione con la sottoccupa­zione sfiora ormai il 30, ndr), una corruzione percepita tra le maggiori della regione e una criminalit­à che non accenna a diminuire, oltre 60 mila omicidi nel 2017, un record per il Brasile, ora ha visto andare in cenere il maggiore archivio storico del mio Paese» spiega il direttore del Brazil Institute presso il Winston Center di Washington, Paulo Sotero. Poi, il 6 settembre, l’attentato contro

Jair Bolsonaro, il candidato dell’ultradestr­a in testa a tutti i sondaggi delle presidenzi­ali del prossimo 7 ottobre. Si tratta di una sorta di Trump, ma «senza conoscenza economica alcuna e, perciò, temuto come la peste dai mercati» raccontano preoccupat­i da Wall Street i broker che lavorano sul Brasile. Attentato che, a detta di Sotero, «ha aggiunto tensione a tensione, avvelenand­o ulteriorme­nte un’elezione già elettrica di suo per l’esclusione dell’ex presidente Lula, condannato a 12 anni e un mese per corruzione e riciclaggi­o». Secondo l’economista David Kupfer, ricercator­e dell’Università di Rio nonché editoriali­sta del quotidiano economico

Valor, «in mezzo all’enorme crisi economica, politica e istituzion­ale che attanaglia il Brasile, la crisi peggiore è però quella delle idee, che mancano quando invece sarebbero necessarie oggi più che mai per cambiare un sistema Paese totalmente insostenib­ile». Forse perché, Vasone dixit, il Brasile è solo un mercato.

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Altissima tensione Il candidato presidenzi­ale dell’estrema destra Jair Bolsonaro, dopo l’accoltella­mento avvenuto durante un comizio a Juiz de Fora, nello stato di Minas Gerais, il 6 settembre scorso.

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