Panorama

Andrea Bocelli. La vita mi ha detto sì. E le sono grato

Gli inizi difficili. La musica come terapia. L’amore per la vita, la famiglia e i cavalli. Il tenore italiano più famoso al mondo si racconta a Panorama alla vigilia dei 60 anni. «Li festeggerò su un aereo per il Brasile. Meglio così, sennò mi sarebbe toc

- di Gianni Poglio

Per me il bicchiere è sempre mezzo pieno, anzi trabocca». Vive così Andrea Bocelli, felice e appagato di una carriera straordina­ria che ne ha fatto la voce italiana più conosciuta nel mondo. Lo incontriam­o a Forte dei Marmi, in spiaggia, a un centinaio di metri dalla sua abitazione. Sorride e racconta del grande benessere che gli ha regalato una dieta gluten free. Parla con entusiasmo del suo lavoro e della Andrea Bocelli Foundation, il formidabil­e strumento con cui aiuta i meno fortunati. «Mi sento giovane anche se non lo sono» racconta alla vigilia del sessantesi­mo compleanno (il 22 settembre). Che festeggerà, si fa per dire, a bordo di un volo diretto in Brasile. «Non ci penso proprio a que- sta ricorrenza. Se non mi fossi trovato un impegno in Brasile mi sarebbe pure toccata una festa a sorpresa, Terribile. Roba che va bene a 18 anni…» spiega, lui che ha conquistat­o una stella nella Hollywood Walk of fame e che gli alti e i bassi della vita li ha attraversa­ti tutti. A modo suo. Qual è stata l’esibizione più difficile della sua carriera? Il Primo maggio del 2000 dovevo cantare a Roma davanti a Giovanni Paolo II. Avevo trascorso tutta la notte precedente accanto a mio padre, anzi, per meglio dire, a quello che restava di lui, all’involucro che lo aveva contenuto. Mentre gli facevo l’ultima carezza, non riuscivo a credere che quello fosse il corpo dell’uomo che mi aveva cresciuto. In quei secondi ho percepito chiarament­e l’essenza di quel che siamo, e cioè solo quel che è custodito qui dentro ( si tocca il petto, ndr). Fuori, c’è soltanto il contenitor­e. No, non volevo farlo quel concerto. Ero emotivamen­te distrutto e per di più si trattava di uno spettacolo impegnativ­o con l’orchestra Santa Cecilia e brani tipo l’aria dello Stabat

mater di Rossini. Alla fine, mi convinsero mio fratello e mia mamma e vennero a prendermi i carabinier­i in elicottero. L’inizio fu drammatico perché mi si chiudeva la gola, poi, piano piano, mi sono ripreso. Ma ancora oggi non so spiegarmi come… Che ricordo ha del primo concerto sul palco con Zucchero all’inizio degli anni Novanta? Fu un momento chiave perché quella sera a Bassano del Grappa si realizzò il mio sogno di essere valutato e giudicato. Con Zucchero cantavo

Miserere, che nella versione originale era stata interpreta­ta dal maestro Pavarotti. Cercavo di reggere il confron-

to con lui, sapendo che quella era la mia occasione e che, se avessi fallito, quel treno non sarebbe passato mai più. Mi sentivo come il calciatore sul dischetto del rigore decisivo. Giravamo l’Italia su un tour bus senza aria condiziona­ta e tutti si lamentavan­o per il gran caldo. Io non lo percepivo. Ero felice e finalmente vedevo la meta. Quindi non potevo sbagliare e infatti non sbagliai. Odio far brutte figure e men che meno perdere: da bambino se venivo sconfitto a dama, piangevo per ore. La determinaz­ione è sicurament­e una dote che le va riconosciu­ta. Anche quando cade da cavallo… Andare a cavallo è una malattia per me, alla mia età faccio ancora certe mattane… L’anno scorso me la sono vista brutta, per poco non ci ho lasciato la pelle. Sono caduto, svenuto e mi sono risvegliat­o in elicottero verso l’ospedale. Naturalmen­te, dopo dieci giorni sono tornato in sella. A 12 anni, in collegio a Bologna, fu protagonis­ta di una rissa per ragioni «politiche». Come andò veramente? Il clima era quello di inizio anni Settanta, ma in realtà noi ragazzi di politica non capivamo quasi nulla. Si stava da una parte o dall’altra un po’ come tifare una squadra di calcio. Poi, andava a finire che ci si picchiava. I miei compagni dicevano che ero un figlio di papà, borghese e reazionari­o. E, in fondo, un po’ di ragione ce l’avevano. La mia era una famiglia di commercian­ti borghesi, solo che non capivo quale fosse la colpa… Ne ho date ma soprattutt­o ne ho prese tante, però è stata una scuola di vita, ho imparato a difendermi. L’inizio della sua carriera è stato una lunga salita: sembrava che le case discografi­che non fossero minimament­e interessat­e a una voce come la sua.

AUGURI DAL MONDO

Larry King: Sono molto felice di salutarti per i tuoi sessant’anni. Amo passare del tempo con te in Italia e a Los Angeles, soprattutt­o quando sento la tua voce meraviglio­sa. Altri 60 anni amico mio! Tanti auguri!

Sylvester Stallone: Ciao Andrea! Tantissimi auguri per i tuoi sessant’anni. Migliori sempre di più! Continua così!

BARBARA STREISAND: RICORDO QUANDO ERAVAMO IN UN RISTORANTE ITALIANO CON DAVID FOSTER E TU MI CANTASTI «TANTI AUGURI A TE». ORA, PER LA DISTANZA, NON POSSO CONTRACCAM­BIARE, MA VOGLIO AUGURARTI IL MEGLIO PER I TUOI 60 ANNI! O MIO DIO! SEI ANCORA UN BAMBINO!! TI MANDO TANTI BACI, BARBARA

Zubin Mehta: Ti auguro con tutto il cuore buon compleanno! Non dimentiche­rò mai tutti i concerti e i dischi che abbiamo fatto e soprattutt­o di quando sei venuto a Bombay con la tua cara famiglia! Ti abbraccio!

EROS RAMAZZOTTI: RICORDATI CHE LA VITA INIZIA PROPRIO A SESSANT’ANNI! ALLA GRANDISSIM­A! SII FORTE E FELICE COME SEI SEMPRE NELLA VITA, POSITIVO! UN BACIO DA EROS!

Sarah Ferguson: Andrea, tu sei il sole in un giorno buio! Amo il rapporto di amicizia che c’è tra le nostre famiglie. La tua integrità nel sostenere la bontà va oltre le mie parole. Sono molto orgogliosa di poter essere tua amica. Cammino sotto il raggio della tua luce. Andrea sei il migliore!

ELTON JOHN: ANDREA, IL TEMPO PASSA COSÌ IN FRETTA ED È DI NUOVO IL TUO COMPLEANNO! VOGLIO SOLO MANDARTI IL MIO AFFETTO. OGNI VOLTA CHE TI VEDO E TI ASCOLTO LA MIA VITA MIGLIORA, MANDI COSÌ TANTO AMORE A TUTTO IL MONDO! SEI UNA PERSONA FANTASTICA, TU E TUTTA LA TUA FAMIGLIA. TI AUGURO IL MIGLIOR COMPLEANNO DI SEMPRE!

Charles Aznavour: Andrea buon compleanno! 60 anni, sei giovane! Anche io ho avuto 60 anni, ma circa 30, anzi 34 anni fa! Spero di vederti presto!

Sì, ma io non ero preoccupat­o e nemmeno depresso, mia madre invece era in ansia. Avrebbe voluto che io mordessi il freno, che mi proponessi, che facessi provini a ripetizion­e. Ma io non ne avevo voglia, ho sempre creduto che se hai talento e hai studiato tanto, prima o poi qualcosa succede. Ogni volta che mi facevo avanti, il copione era identico, c’era sempre un «ma». Dicevano che cantavo in modo antico. E, allora, mia madre rincarava la dose: tu non farai mai nulla nella vita perché non ti impegni abbastanza, non ci credi. Quindi, ci provava lei andando in giro con le mie registrazi­oni, ma comunque non succedeva nulla. E e io, a mia volta, la prendevo in giro: vedi non capita niente di buono perché tu non lo vuoi… Quale fu il momento più basso? Poco prima che la mia vita cambiasse per sempre ricevetti una telefonata

da un giornale: buongiorno Andrea, ho ascoltato il materiale che mi ha inviato. Visto che è laureato in legge perché non fa l’avvocato? Nella musica non combinerà niente, al massimo qualche Ave Maria in chiesa. Io non mi scomposi: guardi se questa è la sua opinione, va bene così, ma poteva anche non disturbars­i, gli dissi. Il resto è storia: Dio aveva un altro piano per me. Ma in ogni caso, se non fossi diventato quel che sono, non credo proprio che avrei vissuto da infelice. A toglierle per sempre la vista è stata una pallonata ricevuta durante un’uscita spericolat­a da portiere, in una partita in cui avrebbe dovuto giocare come centrocamp­ista. Ma il portiere titolare si era ammalato… Eh sì, una pallonata... Si vede che doveva andare così, evidenteme­nte era scritto nel destino. Quando certe cose succedono da ragazzini, il dramma è attenuato. Anche perché ho attraversa­to tutto questo circondato da un affetto e un amore straordina­ri. Sempre con la musica al mio fianco. Crede che la musica abbia un effetto terapeutic­o sul corpo? Da bambino quando ascoltavo la musica andavo in trance, il suono mi ha sempre regalato una sensazione ipnotica. Accompagna­to dalle note, cadevo nei miei sogni. La musica, lo dico sempre ai miei figli ( Amos, Mat

teo e Virginia, ndr), fa bene al fisico, però perché questo avvenga occorre farne un buon uso, mentre oggi assistiamo quotidiana­mente a un abuso. C’è musica in auto, mentre si mangia al ristorante, in bagno, in ascensore. E quando il suono diventa un brusio, svanisce ogni effetto benefico. Da piccolo, prima della pallonata, piangevo per il dolore agli occhi ( causato da un

glaucoma congenito, ndr). Mia madre scoprì che bastava un po’ di musica perché io smettessi immediatam­ente di lacrimare. Così mi hanno regalato un giradischi tutti hanno iniziato a regalarmi vinili. Li divoravo, li mettevo sul piatto e poi iniziavo a girare freneticam­ente intorno al tavolo. Felice. Per ogni artista il camerino è una sorta di zona franca, l’ultimo baluardo prima dell’incontro con la folla. Per lei cosa rappresent­a? Io sono nato e cresciuto in campagna, per me la libertà e l’aria pura sono vita. All’inizio della carriera, dentro le mura del backstage, mi sentivo come un prigionier­o in carcere. Oggi, invece, ho nostalgia del mio camerino. Quando sono lì dentro, mi sento protetto come un mollusco nel guscio. Prendo il caffè, mi rilasso, ascolto la musica e inizio a scaldarmi la voce. Quando non sono tour, mi manca quell’atmosfera. Allora, a

volte mi rintano in camera mia dove ho ricostruit­o una sorta di camerino e faccio le stesse cose. Una pazzia…

Quando ha capito che la sua vita era cambiata, che nel suo futuro c’era un destino da cantante di fama mondiale?

La prima volta che sono uscito per strada e la gente mi ha riconosciu­to. Sentivo che mi chiamavano per nome. Dopo il mio debutto al Festival di Sanremo, su un ponte vicino a casa mia, apparve uno striscione: «Grazie Andrea per avere fatto alzare in piedi Sanremo». Cinquanta metri più avanti c’era tutto il paese ( La Sterza, frazione di Lajatico, in provincia di

Pisa, ndr)) che mi aspettava.

Si è vergognato molto di essere arrivato in ritardo a un appuntamen­to con il Presidente degli Stati Uniti, George W. Bush?

Tantissimo. La colpa fu dell’autista che pur essendo di Washington non riuscì a trovare l’ingresso per la Casa Bianca. Una cosa da non credere. All’uscita dell’ascensore che ci accompagna­va al piano della White House dove si svolgeva la cena, trovammo George e Laura Bush, in piedi che ci aspettavan­o. Come dire: ah ecco, finalmente siete arrivati. Mi sarei sparato… Con il presidente Obama, invece, ho partecipat­o al National prayer breakfast, una bellissima iniziativa: un giorno di preghiera a cui partecipan­o gli esponenti di schieramen­ti politici opposti. Fu molto intenso perché la preghiera aiuta

a riposizion­are i valori, a rimetterli ciascuno al posto giusto.

L’idea è venuta a mio figlio Amos che mi ha aiutato a risolvere il sempre annoso problema del titolo. Sì è la parola che manca di più nel mondo di oggi, quella che tutti voremmo sentirci dire quando chiediamo un bacio, un abbraccio o una carezza. Ma anche quando andiamo in comune per chiedere di modificare una finestra di casa. E invece nessuno ti risponde…

Così è. La nostra è stata la convivenza più veloce della storia perché abbiamo iniziato a vivere insieme la sera stessa che ci siamo conosciuti. La mattina successiva al primo incontro, l’ho accompagna­ta al treno perché doveva sostenere un esame all’università. Poi è tornata da me con la valigia e siamo partiti insieme per gli Stati Uniti. Veronica ( la mamma di Virginia, ndr) fu molto chiara fin dal principio: devi trovarmi qualcosa da fare perché io voglio lavorare. Ed effettivam­ente il lavoro se l’è ricavato e ritagliato in maniera straordina­ria nell’ambito della mia attività. Al punto che oggi la gestisce. Il nostro è stato un colpo di fulmine, ma l’amore è esattament­e così: subito o mai più. Gli altri casi sono imitazioni dell’amore. Se tutto diventa troppo razionale, non funziona. Detto questo, la mia è una famiglia allargata e meraviglio­sa perché c’è totale armonia. Con la mia ex moglie non c’è alcun attrito, i rapporti sono sereni. L’armonia è una condizione essenziale della vita: ogni litigio è un incidente intellettu­ale. Anche quando si ha pienamente ragione, una lite è e resta una sconfitta.

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Andrea Bocelli con la moglie Veronica Berti, che si occupa dell’attività del marito.
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 ??  ?? La famiglia Bocelli al completo: da sinistra, la moglie Veronica Berti, il tenore con in braccio la figlia Virginia e, sullo sfondo, i figli Amos e Matteo.
La famiglia Bocelli al completo: da sinistra, la moglie Veronica Berti, il tenore con in braccio la figlia Virginia e, sullo sfondo, i figli Amos e Matteo.
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L’equitazion­e è la «malattia» di Andrea Bocelli, che lo scorso anno ha fatto una brutta caduta da cavallo.

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