#ti odio. L’era del risentimento
Per restare umani stiamo diventando bestie.
È peggiore Matteo Salvini che chiama i suoi oppositori «parassiti» o è preferibile il fotografo Oliviero Toscani che avverte: «Mio padre ha fotografato Mussolini a piazzale Loreto, chissà dove fotograferò io Salvini». È un Paese sott’odio. Protetti dall’anonimato, compatti in squadracce, imbottiti di false notizie, stanno vincendo gli odiatori. «Il loro più grande successo è spingerci a parlare come loro, a maneggiare la tastiera come fosse un bastone». A dirmelo è Silvia Brena, cofondatrice insieme a Marilisa D’Amico di Vox diritti, un infaticabile osservatorio e una straordinaria piattaforma che in collaborazione con gli esperti dell’Università Cattolica di Milano, La Sapienza di Roma e l’Aldo Moro di Bari, da tre anni registra la temperatura della rabbia, setaccia la bile della rete e dunque quella della piazza. È vero che si è sempre odiato e che, come scriveva Jacques Lacan, l’odio è una passione dell’essere o addirittura, come spiegava Sigmund Freud, una necessità biologica, (Ausstossung, evacuare ed espellere), ma mai l’odio aveva infettato in maniera così uniforme, mai si era diffuso attraverso il retweet. È infatti Twitter il manganello perfetto del balordo in lotta contro il mondo, è la coltellata digitale di 280 caratteri, con il suo pensiero cortissimo, che ci fa dividere in compagni di bravata e poveracci da sbranare.
Nel solo 2017, un italiano su tre ha twittato frasi d’odio contro i migranti, gli ebrei, i musulmani, e poi naturalmente ci sono le donne,
gli omosessuali, i disabili, gli anziani a cui si vorrebbero «offrire» le stampelle come consigliava di fare un ex deputato della repubblica con il premio Nobel, Rita Levi Montalcini, che per quel campione dell’insulto, Beppe Grillo, va ricordato, era solo una «vecchia puttana». «E a me hanno scritto che dovrei morire bastonata, mi hanno invitato a tacere perché sono vecchia e con il pannolone. Che sono vecchia non posso certo negarlo ma, se posso dirlo, il pannolone non lo porto. In ogni caso, anche se lo portassi, non mi sembra un buon motivo per augurarmi di crepare». Me lo racconta Natalia Aspesi, un monumento di giornalismo, 89 anni e firma de La Repubblica, che è stata sommersa da minacce per aver scritto un editoriale sull’attrice Asia Argento e che su Facebook viene insultata quotidianamente, «perché vale quello che scriveva Tolstoj. Ognuno è carico d’odio, ma ciascuno a modo suo». Ha paura? «Per carità. Mi dicono che devo finire nella fossa, ma io, per ragioni d’età, un piede ce l’ho già dentro. Mi hanno ordinato: “Stia zitta, lei che sa tutto”. Non sanno che non ho avuto la possibilità di studiare. Possiedo diecimila volumi. Tutto quello che so, l’ho imparato leggendo. Non mi spaventano gli spietati digitali, ma ho solo pena per loro che rinunciano a
Non è il razzismo prodotto dalla bassa scolarizzazione
e non si tratta neppure dell’infelicità delle banlieue, quella del film L’odio di Matteo Kassovitz, dove era ancora la periferia che voleva assaltare il centro, la «feccia» che desiderava picchiare l’élite. Questo è il malessere che canta il rapper romano Rancore: «Non posso più aspettare/mi devo vendicare/ ci sono persone care/ il resto è solo un interesse come un affare che mi sbrigo a fare perché devo andare». L’odiatore medio ha dai 25 ai 35 anni, risiede in città, può essere perfino colto, laurea triennale e master. Il profilo ha provato a tracciarlo sempre la professoressa Lucini che non ha la pretesa di descriverne l’idealtipo ma solo di indicarne qualche segno. questo piacere». E invece il piacere è proprio sputare da incappucciati. Su 6.544.637 tweet, che l’Osservatorio ha analizzato nel 2018, ben il 36,93 per cento è sporcizia virtuale. La pattumiera rispetto al 2017 è aumentata di quattro punti. Sono in pratica saliti i rifiuti degli odiatori ma non il loro numero. A fare comprendere il fenomeno è la sociologa Barbara Lucini, che insegna all’Università Cattolica di Milano, ricercatrice senior a Itstime, che parla di un reparto di ultras di mestiere sempre più radicalizzato e attrezzato. È un reggimento che rilascia bufale, imbratta con la parolaccia e che si serve del web per amplificare il suono. Chi studia i movimenti social ha definito questo fenomeno, la viralità dell’odio, «Echo-chamber», camere dell’eco, anche se sono più simili a stalle di ferocia, l’hashtag come il cancelletto che apre la tenebra. I dati di Vox testimoniano che siamo ormai i primi in Europa per antisemitismo, secondi per intolleranza verso i musulmani dietro l’Ungheria, insuperabili nell’insolentire i rom e i migranti, (sono 161.687 i consigli di «dai al negro»).
Mio padre ha fotografato Mussolini a piazza Loreto, chissà dove fotograferò io Salvini