La fama non mi ha Travolta
Con l’attore-mito della Febbre del sabato sera è sposata dal 1991. «La nostra forza è che comunichiamo tanto e giochiamo ancora di più» dice. E, tra complicità familiari, carriere parallele e devozione a Scientology, racconta come insieme siano riusciti ad affrontare anche la prova più drammatica di due genitori.
La vita di un’attrice hollywoodiana può essere imprevedibile, quella di Kelly Preston è diventata «una folle giostra di amore e divertimento». Tutta colpa, e merito, di quello che lei chiama «My John» e che per tutti è John Travolta, icona di film «cult» come La febbre del sabato sera, Grease, Pulp fiction. Ventisette anni di matrimonio, due figli (Ella Bleu e Benjamin, dopo la drammatica scomparsa di Jett nel 2009) e una devozione di coppia a Scientology, senza mai disdegnare progetti lavorativi in comune, come il film che li vede tornare assieme per la quarta volta sul grande schermo: Gotti - Il primo padrino (in questi giorni al cinema). Per l’hawaiana Kelly, 55 anni, si tratta un ritorno al grande schermo dopo l’apice del successo con film quali I gemelli e Jerry Maguire e la successiva pausa, necessaria - racconta a Panorama - per seguire famiglia e figli.
È stato difficile coniugare la carriera di attrice con gli impegni di madre?
Con un figlio di sette anni e una di 18 non è sempre stato facile. Perciò mi sono voluta dedicare a progetti più piccoli, che non mi obbligassero a stare troppo lontano da casa. Ora è diverso: i ragazzi stanno crescendo e
io sono tornata a recitare. Sa cosa? Mi è tornata la voglia degli esordi. E ho imparato a tenere il lavoro fuori da casa.
In compenso si porta casa al lavoro: com’è l’esperienza di recitare accanto al proprio marito?
John sul set è incredibile: lui non recita mai, diventa direttamente il personaggio. Un uomo che, ogni volta, è totalmente diverso da lui, impressionante. È la quarta volta che recitiamo assieme e già pensiamo alla prossima.
Ventisette anni di matrimonio: qual è il segreto?
Ho semplicemente sposato la persona giusta. Tra noi c’era fin da subito attrazione, ma anche la sensazione che fossimo il giusto incastro l’una per l’altro. Avevamo gli stessi ideali e visione del mondo, su quelli abbiamo costruito una famiglia e provato a rendere divertente e vivo questo nostro matrimonio. Ogni giorno.
Un rapporto legato anche alla religione di Scientology, che entrambi seguite.
È uno strumento per vivere meglio e migliorarci come esseri umani. Non conta la religione: all’interno di Scientology io ho amici musulmani, ebrei, cattolici. Ci aiuta a mantenere fede ai principi che abbiamo, ai nostri valori. Esiste anche una televisione di Scientology che chiarisce fraintendimenti e dubbi che si possono creare. Scientology ci serve a preservare la nostra vita personale e familiare.
Le vostre carriere hanno mai rischiato di rovinare il rapporto?
Io e John siamo uguali nel mettere
«SCIENTOLOGY CI SERVE A PRESERVARE LA NOSTRA VITA PERSONALE E FAMILIARE»
sempre al primo posto la famiglia. Non puoi lasciare che le cose capitino o lasciarle andare, devi sempre «esserci». La nostra forza è che comunichiamo tanto e giochiamo tra noi ancora di più. Balliamo, cantiamo, abbiamo una cerchia di amici che vediamo spesso, passiamo serate a ridere. E poi amiamo i nostri figli più di ogni cosa: sono i nostri compagni di gioco, di viaggio.
Parla del futuro con i suoi figli, di che cosa sognano di fare da grandi?
Entrambi vogliono diventare attori. Hanno deciso da soli di seguire le nostre tracce. Il più piccolo, a dire il vero, ci è arrivato dopo una serie di sogni, in cui prima diventava astronauta, poi ginnasta, poi pompiere, poi dottore ( ride, ndr)... Ella invece, dopo il debutto in Daddy Sitter, sta girando The Poison Rose con suo padre. Mi emoziona il pensiero di vederli insieme. Io non ho avuto la stessa fortuna.
Perché?
Ho perso mio padre da piccola e ho lavorato sodo per affermarmi come attrice, dopo qualche trascorso da modella. Recitare era il mio sogno, niente mi avrebbe fermato, anche se l’ambiente dello spettacolo è comunque difficile.
Ecco, esiste un modo per proteggere i figli dalle ombre dello «showbiz»?
Parlarne. Li abbiamo cresciuti perché siano indipendenti e capaci di fare le scelte da soli. Con la più grande, che ha 18 anni, discutiamo spesso dell’importanza di mantenere un’integrità, di non curarsi troppo del giudizio degli altri, della pressione delle aspettative o di chi sembra avere più potere nell’industria dello spettacolo. Ho insegnato loro a rispettare tutti, ma anche che non tutti sono amici e a tenere alta l’attenzione.
Lei ha incrociato tanti divi nella sua carriera. Chi l’ha colpita di più?
Non posso non ricordare «i gemelli», Arnold Schwarzenegger e Danny De Vito con cui lavorai nel 1988, quanto ci siamo divertiti a fare quel film! Più avanti ho diviso il set con tanti grandi nomi, da George Clooney a Harvey Keitel, da Kevin Spacey a Meg Ryan, ma la cosa che più mi ha sempre colpito nella maggior parte di loro è l’entusiasmo e la generosità che hanno dimostrato per cause umanitarie e impegni nel sociale. Io stessa seguo diverse fondazioni e associazioni di charity (tra di esse la Chec, Children’s health environmental coalition, impegnata per la salute ambientale dei bambini, ndr). D’altronde che senso ha la celebrità se non la usi per fare del bene agli altri?
E tra i personaggi reali in cui si è imbattuta, quando si preparava a qualche film, c’è n’è qualcuno che le è rimasto impresso?
Victoria, la moglie di John Gotti ( il leggendario boss criminale della New York anni Ottanta, ndr). L’ho conosciuta anni fa, ci invitò a pranzo con John - è una bravissima cuoca. Abita ancora nella casa in cui viveva con Gotti e ci ha raccontato aneddoti incredibili sulla loro vita. Ho scoperto una donna intelligente ma anche dura, protettiva verso i bambini e suo marito. Poi ci siamo scambiate tantissime email, mi ha colpito, soprattutto, il fatto che non avesse mai paura di colui che aveva sposato. Nel suo amore smisurato per i figli mi somiglia. E poi Victoria, come me, ha sperimentato la tragedia più grande, la perdita di un figlio...
Ne avete parlato?
In casi come questi le parole non servono. Ci siamo scambiate un lungo abbraccio commosse, in silenzio ( gli occhi diventano lucidi, ndr).
Metti una sera a cena in casa Travolta. Che cosa succede, a riflettori spenti?
Parliamo, ridiamo, John ogni tanto ritira fuori qualcuno dei suoi personaggi, imita se stesso, e tutti finiamo a ridere come pazzi... Vede, il successo mondiale di mio marito si spiega con il suo talento ma anche con la sua profonda gioia di vivere. È una persona positiva, felice e creativa.
La prima volta che ha pensato: «Ecco, è con quest’uomo che voglio costruire la mia vita»?
Stavo ancora in Australia, Grease era appena uscito, è stato colpo di fulmine e ho avuto come un flash: «Io sposerò John Travolta». Avevo 16 anni. Una pazzia, a ripensarci. L’ho incontrato solo parecchi anni più avanti, e ho scoperto che avevo ragione.
Dica la verità: è mai stata gelosa?
Tutti si sono innamorati di John in Saturday Night e in Grease, io ho il privilegio di ballare con lui come Uma in Pulp Fiction ogni volta che voglio. Lo so, e me lo tengo stretto.