Panorama

Il senso di Pep per la Champions

Dopo i successi con il Barcellona e la delusione con il Bayern, dal 18 settembre l’allenatore spagnolo torna a caccia della Champions. La concorrenz­a è agguerriti­ssima, ma gli occhi sono puntati su di lui.

- di Giuseppe De Bellis direttore di SkySport24

La Champions, manca la Champions. Pep Guardiola l’ha già vinta, ma è chiaro che sta puntando a quella. Perché il campionato, pur essendo il più importante del mondo, il più competitiv­o del mondo, è un discorso che potrebbe chiudere relativame­nte in fretta. Il suo Manchester City può perdere la Premier League solo se si suicida. In Champions League, invece, è tutto più complesso. L’ha vinta a Barcellona, poi ha beccato solo delusioni: con il Bayern Monaco eliminato proprio dal Barcellona una volta e dall’Atletico Madrid un’altra, con il Manchester City eliminato dal Liverpool. Molte le attenuanti, specie nell’eliminazio­ne dell’anno scorso, quando a far fuori la sua squadra è stata una scellerata partita d’andata e però anche un gravissimo errore arbitrale al ritorno. Il che aumenta l’attesa e certifica l’assunto di partenza: la Champions, manca la Champions. Quando era a Monaco di Baviera disse: «Se non dovessi vincere la Champions, non considerer­ò completato il mio lavoro qui». La stessa cosa non l’ha detta arrivato in Inghilterr­a, ma l’ha pensata. E ha costruito una squadra per arrivare a quell’obiettivo.

Se lo aspettano gli altri, se lo aspetta lui. Dopo l’eliminazio­ne dello scorso anno, molti giornali scrissero: «Spende più di tutti per arrivare a quell’obiettivo e non riesce più a raggiunger­lo». Il riferiment­o è soprattutt­o alla campagna acquisti del City della passata stagione: oltre 200 milioni di euro per prendere Sanè (50), Gundogan (27), Gabriel Jesus (32), Nolito (18), Bravo (18) e Stones (55). Una squadra intera (come valore) che non è riuscita a centrare il bersaglio. Ha centrato la Premier e ciò ha consentito di lasciar pensare che fosse una stagione di successi. Ma non è così per Guardiola. Perché lui vuole vincere quel trofeo. Quello. Per prestigio, per coefficien­te di difficoltà, per orgoglio: i club con cui ha fallito nelle ultime stagioni hanno fatto meglio prima o subito dopo di lui. Il Barça lasciato nel 2013 è tornato ad alzare il trofeo con Luis Enrique nella notte di Berlino del 2015. Il Bayern Monaco ereditato da Pep aveva appena vissuto la stagione perfetta con Jupp Heynckes e quello di Ancelotti non ha comunque fatto peggio di lui. Lo stesso Manchester City della stagione precedente perse solo in semifinale con il Real Madrid poi campione d’Europa.

Vincere non è un’opzione, quindi. È l’obiettivo. Si comincia il 18 in una stagione europea che sarà tra le più belle di sempre. Perché i gironi composti nell’urna di Montecarlo hanno messo insieme un calendario da fantascien­za. Con il City graziato: ha probabilme­nte il girone più facile, potrebbe arrivare agli ottavi avendo comodament­e vinto tutte le partite. Poi c’è tutto quello che serve, a cominciare da tutti i rivali di Pep: Mourinho, Ancelotti, Allegri, Tuchel, Simeone. Chi l’ha vinta e chi la cerca per la prima volta. Lui può raggiunger­e Mou a quota tre e poi mettersi in scia per andare a prendere Ancelotti. Perché la vittoria della squadra conta di più, ma se c’è un trionfo personale Pep non disdegna. Anzi.

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