Giovanni Tria, l’uomo più odiato dai 5 Stelle
L’asse con il Quirinale. La complicata gestazione del Def. Il rifiuto di creare nuovo deficit. Il ministro dell’Economia ha combattuto per tenere in ordine i conti pubblici. E si è fatto molti nemici nel movimento, ai vertici come nella sua base. Viaggio nel rancore pentastellato.
Alla fine la montagna ha partorito il topolino. Il Def, il Documento di economia e finanza firmato dal ministro per l’Economia Giovanni Tria, ridimensiona il «Contratto di governo» siglato dai due vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Capita sempre quando prendi impegni che non puoi mantenere.
Già in campagna elettorale, i due leader di governo avevano esagerato con le promesse. Col Contratto, poi, c’era stata l’occasione di rimangiarsene un po’ con la scusa dell’alleanza tra dissimili. Invece i due hanno addirittura rilanciato su flat tax, reddito di cittadinanza, pensioni e quant’altro ancora, tutti cavalli di battaglia elettorali tenuti in piedi artificialmente anche dopo l’arrivo a Palazzo Chigi.
Al termine di un lungo e velenoso scontro verbale dentro il governo, si può dire che Tria, in diretto collegamento con il capo dello Stato Sergio Mattarella, ha tenuto fede al suo ruolo di garante dei conti pubblici. Poi, certo, nonostante il Def, Salvini può legittimamente rivendicare di aver frenato l’immigrazione, bat-
tezzato il decreto sicurezza e ottenuto qualcosa sulla Fornero. Quello che ha e avrà serie difficoltà a giustificarsi è Di Maio. Si può urlare quanto si vuole che il reddito di cittadinanza dispiegherà i suoi effetti nei prossimi anni: gli elettori grillini, soprattutto al Sud, volevano tutto e subito. Perciò sono in rivolta. Anzi, lo erano ancora prima del Def.
Per questo, per giustificare l’insolvenza delle promesse fatte, lo stato maggiore pentastellato ha montato e fatto montare tra i militanti un inedito clima d’odio poiché indirizzato non contro le opposizioni (che non governa- no), contro l’Europa (che non scrive il Def), contro i pensionati d’oro (pochi), contro i politici con i vitalizi (pochissimi). No, a finire nel tritacarne è stato il collega di governo di Di Maio che ha scritto il Documento di economia e finanza. Tria, appunto. Anche se un conto è gridare al nemico quando si è all’opposizione, un altro quando si governa l’Italia a pieno titolo.
D’altronde la frase sfuggita al vice
premier il 18 settembre («Un ministro serio i soldi li deve trovare»), aveva ufficialmente aperto la caccia alle streghe, anzi allo stregone. Il leader dei 5 Stelle diceva, di fatto, «se i soldi non si trovano, la colpa è quel tizio lì, che ci mette i bastoni tra le ruote». E infatti, pochi minuti dopo l’esternazione dimaista, sui social pentastellati era un fiorire di accuse al titolare dell’Economia, definito in tutti modi. Per restare agli epiteti più gentili (si fa per dire), si va da «Trenziano» (Tria renziano) a «peracottaro», da «criminale amico di Craxi» (il ministro è membro della Fondazione Craxi) a «esponente dei salotti marci» fino a «massone di quarta serie».
Poi ci sono i meet-up, che sono, com’è noto, le sezioni di partito del movimento, rigorosamente on line. Nel Sud che attende i 780 euro a disoccupato promessi dal M5s, i militanti ripongono le speranze in Di Maio e continuano a dargli fiducia. Però con qualcuno devono prendersela. E con chi se non con Tria? Già dentro il meet-up di Pomigliano d’Arco, il paese di origine di Di Maio in provincia di Napoli, le accuse al ministro si sprecano. E così, a macchia d’olio, nell’intero Mezzogiorno d’Italia. In Sicilia, ad Agrigento, teorizzano addirittura di convocare una manifestazione contro Tria. Cioè contro il governo. Cioè contro loro stessi. E i parlamentari pentastellati? Gli unici a spendere qualche parola sono Luigi Gallo e Elena Fattori, i parlamentari resistenti al pensiero unico, al punto da arrivare a criticare i vertici del movimento per l’eccesso di parole. Il presidente della Camera Roberto Fico, si sa, soffre per l’alleanza con la Lega anti-immigrati, ma sul reddito di cittadinanza sta con Di Maio, e così l’ala «dura e pura» di cui è il leader naturale. È naturale, quindi, che l’intero corpaccione parlamentare grillino sia schierato contro il titolare dell’Economia.
Lo si intuisce da facce e postura: alla sola parola «Tria» deputati e senatori hanno reazioni stizzite, arrabbiate, malmostose. Ma silenti. Inutile cercare di ottenere risposte ufficiali, quello pentastellato è un sistema sovietico, soltanto gli eletti (intesi come Di Maio e pochi altri) sono autorizzati a parlare in pubblico. Per ottenere informazioni si può soltanto scavare.
Ad esempio, il senatore Andrea Cioffi, che è anche sottosegretario all’Economia (quindi vice di Tria), parla soltanto con i suoi amici più stretti. E non lo fa nemmeno a Roma, libera i suoi pensieri più sinceri soltanto quando è a Salerno, sua città d’elezione e di pratica
LA RABBIA È MONTATA QUANDO DI MAIO HA DETTO CHE UN MINISTRO SERIO I SOLDI LI DEVE TROVARE Luigi Di Maio è vicepremier, ministro e leader del movimento 5 Stelle (sotto).
politica, peraltro molto attiva e presente. Cioffi è solito frequentare sempre lo stesso bar della Capitale, il «Caffè Emanuel». Qui, all’ora dell’aperitivo, almeno un paio di volte il sottosegretario si è lasciato andare a valutazioni non propriamente gentili contro «Giovanni». Il suo ministro di riferimento.
È in questo scenario di rancore che s’inserisce la polemica sulla registra
zione audio a Rocco Casalino. Oltre a essere il portavoce del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, Casalino è - di fatto - il capo della comunicazione dell’intero movimento. Al netto delle volgarità, nella registrazione diffusa dalla stampa si sente il portavoce minacciare pesantemente i dirigenti di Tria: «Se non si trovano i soldi per il reddito di cittadinanza, noi del M5s faremo fuori tanta gente del ministero dell’Economia». Ecco, a quanto risulta a Panorama, dopo settimane di incessante attività mediatica contro Tria (a partire, appunto, dalle esternazioni di Di Maio sul «ministro serio»), Casalino ha voluto spostare l’attenzione su altro.
Tuttavia, siccome i 5 Stelle hanno
sempre bisogno di un nemico, sono finiti dalla padella nella brace: per rinculare sul ministro hanno aperto un altro fronte, peraltro superfluo, poiché i tecnici del ministero si limitano ad as- secondare le richieste del governo, non ne decidono la politica economica. Un fronte che poi che ha incoraggiato Tria ad andare diritto per la sua strada, al punto da dire a tutti (Di Maio, Salvini, Conte) alla vigilia del Def: «Io resto fermo sulle mie idee. Se volete sforare, fatevi autorizzare dall’Europa. Ma deve chiederlo il premier, non io». E siccome il nostro premier non ne ha la forza, così è nato il Def 2018. La montagna ha partorito il Casalino (oltre che il topolino).
A TUTTI TRIA HA DETTO CHE LO SFORAMENTO DEL DEFICIT LO DEVE CONCORDARE CONTE CON L’UE A destra, Tria con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. IL DELL’ECONOMIA TITOLARE È SOSTENUTO DAL CAPO DELLO STATO MATTARELLA NEL SUO SFORZO DI TENUTA DEI CONTI PUBBLICI Sopra, il ministro tra il Presidente Mattarella e Matteo Salvini, leader della Lega.