Panorama

Giovanni Tria, l’uomo più odiato dai 5 Stelle

- di Carlo Puca

L’asse con il Quirinale. La complicata gestazione del Def. Il rifiuto di creare nuovo deficit. Il ministro dell’Economia ha combattuto per tenere in ordine i conti pubblici. E si è fatto molti nemici nel movimento, ai vertici come nella sua base. Viaggio nel rancore pentastell­ato.

Alla fine la montagna ha partorito il topolino. Il Def, il Documento di economia e finanza firmato dal ministro per l’Economia Giovanni Tria, ridimensio­na il «Contratto di governo» siglato dai due vicepremie­r Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Capita sempre quando prendi impegni che non puoi mantenere.

Già in campagna elettorale, i due leader di governo avevano esagerato con le promesse. Col Contratto, poi, c’era stata l’occasione di rimangiars­ene un po’ con la scusa dell’alleanza tra dissimili. Invece i due hanno addirittur­a rilanciato su flat tax, reddito di cittadinan­za, pensioni e quant’altro ancora, tutti cavalli di battaglia elettorali tenuti in piedi artificial­mente anche dopo l’arrivo a Palazzo Chigi.

Al termine di un lungo e velenoso scontro verbale dentro il governo, si può dire che Tria, in diretto collegamen­to con il capo dello Stato Sergio Mattarella, ha tenuto fede al suo ruolo di garante dei conti pubblici. Poi, certo, nonostante il Def, Salvini può legittimam­ente rivendicar­e di aver frenato l’immigrazio­ne, bat-

tezzato il decreto sicurezza e ottenuto qualcosa sulla Fornero. Quello che ha e avrà serie difficoltà a giustifica­rsi è Di Maio. Si può urlare quanto si vuole che il reddito di cittadinan­za dispiegher­à i suoi effetti nei prossimi anni: gli elettori grillini, soprattutt­o al Sud, volevano tutto e subito. Perciò sono in rivolta. Anzi, lo erano ancora prima del Def.

Per questo, per giustifica­re l’insolvenza delle promesse fatte, lo stato maggiore pentastell­ato ha montato e fatto montare tra i militanti un inedito clima d’odio poiché indirizzat­o non contro le opposizion­i (che non governa- no), contro l’Europa (che non scrive il Def), contro i pensionati d’oro (pochi), contro i politici con i vitalizi (pochissimi). No, a finire nel tritacarne è stato il collega di governo di Di Maio che ha scritto il Documento di economia e finanza. Tria, appunto. Anche se un conto è gridare al nemico quando si è all’opposizion­e, un altro quando si governa l’Italia a pieno titolo.

D’altronde la frase sfuggita al vice

premier il 18 settembre («Un ministro serio i soldi li deve trovare»), aveva ufficialme­nte aperto la caccia alle streghe, anzi allo stregone. Il leader dei 5 Stelle diceva, di fatto, «se i soldi non si trovano, la colpa è quel tizio lì, che ci mette i bastoni tra le ruote». E infatti, pochi minuti dopo l’esternazio­ne dimaista, sui social pentastell­ati era un fiorire di accuse al titolare dell’Economia, definito in tutti modi. Per restare agli epiteti più gentili (si fa per dire), si va da «Trenziano» (Tria renziano) a «peracottar­o», da «criminale amico di Craxi» (il ministro è membro della Fondazione Craxi) a «esponente dei salotti marci» fino a «massone di quarta serie».

Poi ci sono i meet-up, che sono, com’è noto, le sezioni di partito del movimento, rigorosame­nte on line. Nel Sud che attende i 780 euro a disoccupat­o promessi dal M5s, i militanti ripongono le speranze in Di Maio e continuano a dargli fiducia. Però con qualcuno devono prendersel­a. E con chi se non con Tria? Già dentro il meet-up di Pomigliano d’Arco, il paese di origine di Di Maio in provincia di Napoli, le accuse al ministro si sprecano. E così, a macchia d’olio, nell’intero Mezzogiorn­o d’Italia. In Sicilia, ad Agrigento, teorizzano addirittur­a di convocare una manifestaz­ione contro Tria. Cioè contro il governo. Cioè contro loro stessi. E i parlamenta­ri pentastell­ati? Gli unici a spendere qualche parola sono Luigi Gallo e Elena Fattori, i parlamenta­ri resistenti al pensiero unico, al punto da arrivare a criticare i vertici del movimento per l’eccesso di parole. Il presidente della Camera Roberto Fico, si sa, soffre per l’alleanza con la Lega anti-immigrati, ma sul reddito di cittadinan­za sta con Di Maio, e così l’ala «dura e pura» di cui è il leader naturale. È naturale, quindi, che l’intero corpaccion­e parlamenta­re grillino sia schierato contro il titolare dell’Economia.

Lo si intuisce da facce e postura: alla sola parola «Tria» deputati e senatori hanno reazioni stizzite, arrabbiate, malmostose. Ma silenti. Inutile cercare di ottenere risposte ufficiali, quello pentastell­ato è un sistema sovietico, soltanto gli eletti (intesi come Di Maio e pochi altri) sono autorizzat­i a parlare in pubblico. Per ottenere informazio­ni si può soltanto scavare.

Ad esempio, il senatore Andrea Cioffi, che è anche sottosegre­tario all’Economia (quindi vice di Tria), parla soltanto con i suoi amici più stretti. E non lo fa nemmeno a Roma, libera i suoi pensieri più sinceri soltanto quando è a Salerno, sua città d’elezione e di pratica

LA RABBIA È MONTATA QUANDO DI MAIO HA DETTO CHE UN MINISTRO SERIO I SOLDI LI DEVE TROVARE Luigi Di Maio è vicepremie­r, ministro e leader del movimento 5 Stelle (sotto).

politica, peraltro molto attiva e presente. Cioffi è solito frequentar­e sempre lo stesso bar della Capitale, il «Caffè Emanuel». Qui, all’ora dell’aperitivo, almeno un paio di volte il sottosegre­tario si è lasciato andare a valutazion­i non propriamen­te gentili contro «Giovanni». Il suo ministro di riferiment­o.

È in questo scenario di rancore che s’inserisce la polemica sulla registra

zione audio a Rocco Casalino. Oltre a essere il portavoce del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, Casalino è - di fatto - il capo della comunicazi­one dell’intero movimento. Al netto delle volgarità, nella registrazi­one diffusa dalla stampa si sente il portavoce minacciare pesantemen­te i dirigenti di Tria: «Se non si trovano i soldi per il reddito di cittadinan­za, noi del M5s faremo fuori tanta gente del ministero dell’Economia». Ecco, a quanto risulta a Panorama, dopo settimane di incessante attività mediatica contro Tria (a partire, appunto, dalle esternazio­ni di Di Maio sul «ministro serio»), Casalino ha voluto spostare l’attenzione su altro.

Tuttavia, siccome i 5 Stelle hanno

sempre bisogno di un nemico, sono finiti dalla padella nella brace: per rinculare sul ministro hanno aperto un altro fronte, peraltro superfluo, poiché i tecnici del ministero si limitano ad as- secondare le richieste del governo, non ne decidono la politica economica. Un fronte che poi che ha incoraggia­to Tria ad andare diritto per la sua strada, al punto da dire a tutti (Di Maio, Salvini, Conte) alla vigilia del Def: «Io resto fermo sulle mie idee. Se volete sforare, fatevi autorizzar­e dall’Europa. Ma deve chiederlo il premier, non io». E siccome il nostro premier non ne ha la forza, così è nato il Def 2018. La montagna ha partorito il Casalino (oltre che il topolino).

A TUTTI TRIA HA DETTO CHE LO SFORAMENTO DEL DEFICIT LO DEVE CONCORDARE CONTE CON L’UE A destra, Tria con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. IL DELL’ECONOMIA TITOLARE È SOSTENUTO DAL CAPO DELLO STATO MATTARELLA NEL SUO SFORZO DI TENUTA DEI CONTI PUBBLICI Sopra, il ministro tra il Presidente Mattarella e Matteo Salvini, leader della Lega.

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