Panorama

Sicilia, il business dell’accoglienz­a

- di Antonio Rossitto

Con 100 milioni di giro d’affari e 420 occupati, oltre all’indotto, il Centro richiedent­i asilo di Mineo (Catania) è il più importante datore di lavoro della zona. Tutti i contatti sono buoni per farsi raccomanda­re, perché qui si entra senza concorso. Ma il Decreto sicurezza porterà molti licenziame­nti. E c’è chi protesta: «Come faremo?». «Too big to fail».

Come le banche d’affari statuniten­si nel 2009, anche il Cara di Mineo è «troppo grande per fallire». Il parallelo tra alta finanza e migranti sembra un’eresia. Non lo è. Per il Centro accoglienz­a richiedent­i asilo più grande d’Europa lavorano 420 persone, che con l’indotto e gli impieghi indiretti arriverebb­ero a un migliaio. Un improprio «giro d’affari» stimato in quasi 100 milioni l’anno. Il Calatino, la zona del catanese limitrofa alla struttura, è terra di microazien­de e dipendenti pubblici. Il Cara qui è come una piccola Ilva. Con soldi pubblici, però. Impossibil­e farne a meno.

Mentre a Roma viene approvato tra gli osanna il Decreto sicurezza, che prevede abolizione dei permessi umanitari e stretta sui rimpatri, in questo lembo di Sicilia i campanoni rintoccano lugubri. «Il Cara passerà da 3 mila a 2.400 ospiti, con un costo

giornalier­o per immigrato che scenderà da 29 a 15 euro» annuncia il Viminale. La misura comporterà «risparmi superiori a 10 milioni di euro in un anno». La nuova gestione dovrebbe partire l’1 ottobre 2018. Intanto è scattata la procedura di licenziame­nto collettivo.

«Il nuovo bando di gara prevede una contrazion­e di ore e servizi: si tradurrebb­e in 150 persone in meno» spiega Francesco D’Amico, segretario generale Filcams Cgil di Caltagiron­e. «Gli operatori del Cara sono soprattutt­o giovani: mediatori, psicologi, assistenti sociali. Hanno una formazione che non possono spendere nel mercato del lavoro». Poi c’è l’economia che ruota attorno al centro. «Panifici, supermerca­ti, trasporti, lavanderie» elenca D’Amico. «E poi gli hotel. In servizio al Cara ci sono 250 militari, tra finanzieri, carabinier­i e poliziotti. Alloggiano e mangiano in sei hotel in zona, che altrimenti sarebbero a rischio». Troppo grande per farne a meno. Troppe bocche da sfamare. Trop- po marcio da infilare sotto il tappeto. Eppure i dioscuri del governo hanno promesso il redde rationem. «Il Cara di Mineo è un vero e proprio lager: prima chiude e meglio è» ha detto un mese fa il vicepremie­r Luigi Di Maio. Mentre il suo omologo e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, spera che venga «raso al suolo».

Il centro, arrivato a ospitare 4 mila stranieri, è fulgido simbolo di degrado e malaffare. Una relazione della Commission­e parlamenta­re d’inchiesta sul fenomeno migratorio, presentata il 21 giugno 2017, parla di «condizioni sanitarie precarie», «appartamen­ti fatiscenti», «servizio medico deficitari­o», «personale inadeguato», «traffico di droga e prostituzi­one», «opacità amministra­tiva», «gestione clientelar­e»: il Cara è l’emblema di un «approccio evidenteme­nte fallimenta­re al fenomeno migratorio e alla gestione dell’accoglienz­a».

Il relatore del testo è Giovanni Bur- tone, ex deputato del Pd. Da più di un anno è sindaco di Militello Val di Catania, a pochi chilometri da Mineo. «Quest’area ha un declino demografic­o spaventoso» scuote la testa. «E si sta spopolando perché mancano opportunit­à: centinaia di ragazzi a spasso diventano una piaga sociale. Senza considerar­e l’occupazion­e indiretta. Se si rinuncia a un centro d’accoglienz­a in Veneto, chi esce trova un’alternativ­a. Da noi è impossibil­e».

A giugno 2017 Burtone e i colleghi della commission­e scrivevano: «Il Cara deve essere chiuso nel più breve tempo possibile». Oggi però il sindaco di Militello sottolinea il paradosso: «L’impiego qui è stata l’unica compensazi­one. Adesso bisogna fare un fronte comune per difendere il lavoro». Già, ma come? Il nuovo bando prevede meno soldi e meno ospiti. «Allora vuol dire che invece di lavare i piatti in quattro, li laveranno in sei...».

Il «fronte comune»

è quello che stanno costituend­o primi cittadini e sindacati: tavoli tecnici, riunioni in prefettura, accorati appelli. Nessuno tocchi il Cara. Il gruppo è coordinato dal sindaco di Mineo, Giuseppe Mistretta, eletto in una lista civica di centrodest­ra: «Io sono sempre stato contrario al Cara, ma non possiamo permettere che un’emergenza sociale diventi occupazion­ale. Un giovane che è entrato nel mondo dell’accoglienz­a, dove lo trova un altro impiego nel terzo settore? Ha sbagliato chi ha venduto questo modello come solido. Ma non si può utilizzare un territorio e poi dire: “Basta, ora non servite”».

Mistretta non nega il vantaggi sulla spossata economia locale: «Il Cara è diventata la partita Iva che assume di più nel Calatino: a Mineo, 5 mila abitanti, ci sono un centinaio di dipendenti. Ma l’impatto non è stato solo positivo.

Questa città s’è caricata un peso notevoliss­imo. Prima era famosa per aver dato i natali allo scrittore Luigi Capuana e a Ducezio, il re dei Siculi. Adesso la conoscono per il Cara e le inchieste giudiziari­e».

Sotto indagine è finta anche il predecesso­re di Mistretta, Anna Aloisi. Il 13 dicembre 2018 l’ex sindaco di Mineo, assieme ad altre 14 persone, andrà a processo per turbativa d’asta e falso nella concession­e dell’appalto dei servizi, dal 2011 al 2014. Dal procedimen­to è uscito Luca Odevaine, ex membro del tavolo nazionale di coordiname­nto sui migranti e già vice capo di gabinetto con Walter Veltroni sindaco di Roma: ha patteggiat­o sei mesi di reclusione. Ad Aloisi è contestata pure la corruzione: «promessa di voti» in cambio di assunzioni. Nell’indagine è implicato anche l’ex sottosegre­tario alle Politiche agricole, Giuseppe Castiglion­e, già proconsole siciliano dell’Ncd.

Come il suo collega di Mineo, pure Gino Ioppolo, sindaco di centrodest­ra a Caltagiron­e, il Comune più importante della zona, è sempre stato avverso al Cara. Adesso indossa i panni del facile profeta: «Dopo aver ammannito speranze, oggi i nodi vengono al pettine. Quello che veniva considerat­o un nuovo modello di sviluppo sta rivelando i suoi limiti. Sono sempre stato scettico. Ma ora è necessario tutto l’impegno possibile perché non si perda nemmeno un impiego».

Torniamo sempre lì:

il più grande e malgestito centro per l’accoglienz­a europeo è diventato un’altra mammella pubblica. «Il Cara ha trasformat­o il tessuto economico e sociale di questa terra» analizza Ioppolo. «Quelli che lavorano lì dentro una volta aspettavan­o il posto dalla politica. Al Cara non c’è mai stato nessun concorso pubblico. Si entra solo per chiamata diretta: politica, amicizie, sindacati. È lo sbocco parastatal­e di diplomati e laureati. Pura economia assistita». A cui fa, però, fa in parte da contraltar­e l’aumento vertiginos­o del caporalato.

Allo spuntare dell’alba, centinaia

di extracomun­itari scavalcano i muri di recinzione del centro, inforcano scassate biciclette e si lanciano sulle strade provincial­i. «Sembra una tappa all’inseguimen­to del Giro d’Italia» sorride amaro Ioppolo. Le forze dell’ordine tollerano. Meglio alla mercé di aziende agricole con pochi scrupoli che in giro a bighellona­re. Braccia da reclutare per una paga da miseria: tre euro all’ora. Va meglio a quelli che fanno i domestici nella case private: 30 euro al giorno. Manodopera illegale. Mestieri sottratti agli italiani. Ammette Ioppolo: «Braccianti, operai e muratori vengono a lamentarsi continuame­nte. Hanno ragione. Ma io che posso farci?». Tutti lì, a ripetere al sindaco la stessa litania: «Perché fate lavorare i neri al posto nostro?».

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 ??  ?? Nuovi schiavi Il servizio di Panorama (n. 10 del 2015) sullo sfruttamen­to del lavoro nero nel territorio limitrofo al Cara di Mineo.
Nuovi schiavi Il servizio di Panorama (n. 10 del 2015) sullo sfruttamen­to del lavoro nero nel territorio limitrofo al Cara di Mineo.
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