Panorama

Noi missionari, ostaggi dell’orrore africano

Dopo il sequestro in Niger di padre Pierluigi Maccalli, Panorama ha cercato un suo confratell­o, padre Mauro Armanino, che da Niamey spiega: «Sequestrar­e uno di noi può essere redditizio». E poi: «Qui si fugge dalla fame».

- di Stella Pende

Avvolto nel mistero il rapimento di Pierluigi Maccalli, missionari­o della Società delle missioni africane, sequestrat­o in Niger da novelli jhadisti il 17 settembre. L’Unità di crisi della Farnesina e le forze speciali nigerine continuano il loro lavoro di indagine nei villaggi e nei deserti incandesce­nti del Paese, che negli ultimi anni hanno ingoiato almeno otto ostaggi. La speranza di ritrovare vivo il religioso non si ferma. Grande il timore di incontrare un nuovo caso come quello di padre Paolo Dall’Oglio, sparito in Siria cinque anni fa. Coloro che di più «aspettano» sono i fratelli missionari dell’Africa che, come Pierluigi, aiutano la vita misera dei poveri, sapendo bene che è la loro stessa esistenza a essere in pericolo. Portare Dio in quelle terre devastate dalla miseria e dal terrorismo. Condurre un’esistenza povera tra i poveri. Fare della propria missione un viaggio dentro il bene degli altri. Padre Mauro Armanino, missionari­o della Sma nella capitale del Niger Niamey, scrittore e giornalist­a, racconta con lucidità che cosa significa. Padre Armanino, che cosa pensa del rapimento di padre Pierluigi? È un grande dolore, ma non una sorpresa. Il Niger dei villaggi è infestato da questi nuovi aspiranti terroristi, che non sono ancora leggenda come Boko Haram, ma fanno di tutto per diventarlo. Soprattutt­o con uccisioni barbare e richieste di riscatto dopo i rapimenti. Solo lo scorso 14 aprile un operatore di una ong tedesca è sparito e di lui non si è più saputo nulla. Le ricerche dei militari governativ­i sono sempre troppo segrete e finiscono per creare qualche sospetto di complicità.

Intende dire che in questi rapimenti c’entrano anche uomini delle istituzion­i? Un rapimento calamita sempre attenzioni. Dopo la notizia arrivano aiuti per il Paese e fondi per il ministero della Difesa e tutti i soldi che andrebbero destinati al popolo vanno ai generali! Ma noi viviamo in una terra di sabbia. I villaggi, le case, le persone non hanno quasi mai un nome proprio. Quei nomi e quelle facce sono custoditi dal vento e dal deserto. Bomoanga, il villaggio dove stava Pierluigi, non è nemmeno sulla cartina. Tra quelle case sparse, curava i poveri. Aveva anche organizzat­o un ponte internazio­nale per far operare i bambini più ammalati. Lo aveva già fatto in Costa d’Avorio, dove siamo stati anni insieme e dove Pierluigi era impegnato per la rianimazio­ne missionari­a. Perché questi nuovi criminali terroristi se la prendono proprio con chi fa del bene al popolo? Perché il rapimento di un prete tanto attivo crea eco internazio­nale. Per questi giovani criminali avidi di potere e di denaro diventa una vera medaglia. Un trofeo umano renderà loro più facile il reclutamen­to di ragazzini in miseria nei villaggi. Inoltre è un messaggio alla Chiesa che comunque, nel rispetto delle loro tradizioni, è sempre presente. In fondo noi missionari siamo già pronti a diventare prigionier­i. La missione non è altro che essere ostaggio dei poveri e del Vangelo. Che cosa vuol dire? Che Pierluigi, e i mille altri fratelli che operano nel Sud del mondo, si consegnano interament­e al popolo. Ai suoi bambini, alle donne violentate, alle bambine infibulate... E al dolore delle madri, quando dalla Libia arrivano al telefono le urla dei loro figli ferocement­e torturati per avere soldi in cambio della libertà. Ma la paura di essere catturati e uccisi non vi tocca mai? Quando ero in Liberia, pensavo di non conoscere la paura. Poi è arrivata quella folle guerra civile: cadaveri dappertutt­o, colpi di mortaio che colpivano la tua casa. Ricordo quelle giornate infinite a Monrovia dove aspettavam­o tutti la furia dei ribelli, quel senso di sgomento nello stomaco. La paura era arrivata anche per me. Poi sono andato in riva al mare. Le onde continuava­no a rincorrers­i come sempre. E ho pensato: tutto finisce e tutto rinasce. Gente come lei è anche scomoda per governi africani e nostrani. Ha mai pensato di tornare a casa? È proprio per questo che rimango qui. Vede, io sono testimone di costumi e di cambiament­i, scrivo sull’Avvenire e sul Fatto quotidiano. Il mio a Niamey è un osservator­io privilegia­to. Dal Niger posso guardare e raccontare la verità sull’Africa. Dall’Italia nessuno riesce a guardare o a capire niente dell’Africa. Polemico con il nuovo governo. Forse lei un consiglio a Salvini potrebbe darlo. Quale sarebbe? Parlare con Salvini? Come faccio a confrontar­mi con un governo che ha promesso che manderà personale in Africa per fermare l’immigrazio­ne? Sarebbe una sciagura, vuol dire non aver capito che cosa è l’Africa oggi e di che cosa hanno bisogno gli africani oggi. Fuggono e non li fermerà nessuno. Continuera­nno a partire, a morire assetati nella sabbia dei deserti e ad affogare in mare. Dicono che hanno bloccato l’immigrazio­ne? Qui il problema non è l’emigrazion­e. È la fame. L’ex ministro Marco Minniti, ricordiamo­lo, e poi l’attuale ministro Matteo Salvini hanno abbassato gli arrivi. Ma dietro il muro che si vuol alzare quanti morti affiorano dalle sabbie roventi del Sahel? Quanti figli muoiono di stenti nei lager della Libia? Tutti sanno tutto. Ma tacciono, per salvare gli interessi dei singoli Paesi e del loro elettorato. Nel frattempo i giornali scrivono che il problema è stato risolto. Risolto? Venite qui a vedere da che orrori fugge questa gente e capirete se il problema è stato risolto.

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 ??  ?? Padre Mauro Armanino, 66 anni, missionari­o in Niger e giornalist­a.
Padre Mauro Armanino, 66 anni, missionari­o in Niger e giornalist­a.
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Padre Pierluigi Maccalli, cremasco, 57 anni, è stato rapito da presunti jihadisti nella notte tra il 17 e il 18 settembre.

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