Maria Zakharova: «Non risolverete i vostri problemi agitando lo spauracchio di noi russi»
La crisi degli Stati uniti. Il desiderio di mantenere buoni rapporti con l’Italia. L’intesa con la Cina. Maria Zakharova, la donna forte della diplomazia di Mosca, non le manda a dire. E guai a parlare di spie.
La Russia è donna. Ha occhi di un blu intenso e ti attende all’ingresso fasciata in un delizioso vestito rosa confetto. Se qualcuno pensa che Maria Zakharova sia una semplice portavoce, sbaglia: è un’istituzione. Il teorema che dimostra che non tutti sono sostituibili. Con lei, il ministero degli Esteri russo ha iniziato a usare un’altra lingua: un efficace mix di femminilità, intelligenza e spavalderia, parlando fuori dai denti e trattando alla pari tanti big. Panorama scrisse di lei quando in Italia nessuno la conosceva. Nel 2016 è stata inserita nella top 100 della Bbc, tra le signore più influenti
QUELLA DI SALISBURY È UNA STORIA INVENTATA. UNA FOTO NON È UNA PROVA
del pianeta. Nel marzo 2018 è diventata la blogger più citata del suo paese. Quando ballò Kalinka in pubblico, il video della danza, su tacco dodici, fece il giro del mondo. Qualcuno la criticò, ma evidentemente non aveva capito il messaggio: la diplomazia all’epoca dei social non è più il posto per gente noiosa. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato su Twitter che il 24 ottobre sarà a Mosca. A che punto sono i rapporti bilaterali con l’Italia? L’Italia sta cercando di trovare un equilibrio tra la necessità di seguire la linea generale della Nato e il desiderio di sviluppare relazioni costruttive con la Russia. Le autorità italiane capiscono che non si possono interrompere i rapporti bilaterali, perché sono tutto: energia, risorse, commercio, turismo. Dall’altra parte esiste una forte pressione sia dell’Unione europea che degli Stati Uniti. Non c’è comunque solo l’Italia, molti Paesi cercano un bilanciamento. La cosa strana è che quando si decide di confermare le sanzioni contro la Russia, all’interno dell’Ue, sono tutti d’accordo. Le sanzioni sono una conseguenza della crisi ucraina. Anche se poi le ragioni di contrapposizione si sono moltiplicate. I nostri avversari hanno trovato la scusa per unirsi. Metta in una stanza 10 donne, diverse tra loro e con visione del mondo differente. Difficilmente correrà buon sangue. Ma se getta nella stanza un topo, vedrà che si ricompattano tutte: la paura unisce. Ci pensi: la crisi nel Vecchio continente dipende dal fatto che i Paesi sono tutti molto diversi: l’Italia e la Svezia, la Norvegia e la Spagna, la Francia e la Polonia. Già prima della Brexit si capiva: i Paesi percepivano che non era poi così conveniente stare insieme. E allora? Trovi un nemico comune! Ed ecco Salisbury: la Gran Bretagna «colpita» dalla Russia. E allora via, tutti compatti per nuove sanzioni. Ci sono dei documenti però che indicano che i due russi a Salisbury appartenevano ai vostri servizi. Documenti o fake news sui documenti? Ma mi dessero almeno una fotografia che dimostra che quei due hanno, che ne so, spruzzato il Novichok o altro. Dateci l’elenco di tutti gli stranieri che erano a Salisbury in quei due o tre giorni. Un’unica prova: a Salisbury nel giorno del crimine, c’erano due russi. E non c’erano altri stranieri lì? C’era una quantità tale di stranieri. Dateci la registrazione delle loro conversazioni telefoniche, o i loro spostamenti precisi. Per cosa funzionano i satelliti, altrimenti? Si tratta di una storia inventata; è come negli anni Trenta: era sempre colpa degli ebrei; ora ci sono i russi. Nel
nostro mondo, tutto è costruito sulla presunzione di innocenza. Sia Londra a dimostrare che qualcuno è colpevole, e non Mosca a dover dimostrare la sua innocenza. Altrimenti, domani tutti possono essere presi per la strada e gettati in prigione. Non le sembra che piuttosto si tratti di una nuova guerra fredda? Un giorno chiesi all’ambasciatore Vitaly Churkin ( scomparso a New York
nel 2017, ndr) se vivessimo una nuova guerra fredda. Mi rispose: «Masha, di che cosa parla? La guerra fredda è quando vivi nella prospettiva che da un momento all’altro possa scoppiare un conflitto nucleare». Quando due sistemi vogliono annientarsi reciprocamente. Al giorno d’oggi, grazie a Dio, tutti hanno sufficiente buon senso per non allungare, neppure idealmente, il dito verso il bottone. Tanto più che ormai, abbiamo scelto tutti l’economia di mercato e la democrazia. C’è democrazia e democrazia? Tutti hanno le loro tradizioni e la loro proiezione di che cosa è una democrazia. Ma quasi tutti hanno sottoscritto documenti su concetti comuni: i diritti dell’uomo, la società civile, i diritti della donna. E allora da dove nasce il problema? Nella crisi degli Stati Uniti. Nel prevalere di valori liberali diventati una vera e propria ideologia. Tutto ciò in un Paese con un mercato libero, ha portato a una crisi sitemica. Questi valori liberali ( estremizzando, ndr)ricordano molto l’ideologia dell’Urss, che non consnete il dissenso. Prendiamo le presidenziali americane del 2016: finora, metà della popolazione statunitense, le cui opinioni sono basate proprio sui valori liberali e sulla tolleranza, non può accettare il fatto che un uomo, con un’opinione diversa dalla loro, sia giunto al potere. Non mi chieda dell’intromissione russa, perché glielo dico subito: è pura invenzione. Usano ogni strumento per la propria lotta politica personale contro una concreta figura politica: arresti, caccia alle streghe, accuse a una certa persona che vanno dal «malato di mente» al «fuorilegge», solo perché questa persona la pensa diversamente. Ci sono sempre state campagne elettorali dominate dagli scandali negli Stati uniti, ma di solito il sistema trovava la soluzione in se stesso. Ora la cerca altrove: in Russia. La stessa crisi noi la vediamo in Europa, a partire dalla questione dell’immigrazione che ha dimostrato che la «dittatura della tolleranza» non funziona. Però le manovre russe Vostok 2018 all’Ovest sono apparse la dimostrazione che la Russia si prepara a una guerra su più larga scala. Guardi, le porto solo qualche esempio: orde germaniche, svedesi, le truppe napoleoniche, i nazisti. La storia ci insegna che se non ci difendiamo da soli, non ci difende nessuno. Prenda il secondo fronte nella Seconda guerra mondiale. Stalin più volte si rivolse agli alleati con la richiesta di sbloccare la situazione. Alla fine con le nostre sole forze, al prezzo di un numero enorme di vite, Leningrado venne liberata. Siamo noi a essere stati sottoposti storicamente ad attacchi dall’Ovest. La questione della nostra sicurezza ha un significato esistenziale e quindi le esercitazioni, tenute peraltro in maniera sempre trasparente e aperta ai nostri partner. Inoltre, l’Occidente si è chiamato fuori da un significativo numero di accordi che garantivano la parità e la sicurezza. C’è un allargamento del contingente Nato attorno ai nostri confini, oltre a una retorica militare che annovera la Russia come «nemico». La presenza della Cina in queste ultime manovre si faceva notare: è un’alleanza militare? No. Un’alleanza militare è la Nato, con standard unici di armamenti, responsabilità, una politica precisa all’interno del blocco, contributi per la difesa. Noi non abbiamo nulla di questo tipo con nessuno. Le relazioni con la Cina sono al massimo storico e questo è il frutto di un lavoro di decenni. Molto ha fatto il nostro ambasciatore Igor Rogachev ( scomparso nel 2012, ndr) e non solo lui. Voglio ricordare che dalla rottura tra Mao Zedong e Stalin, fino alla fine degli anni Settanta inizi anni Ottanta, tra noi era il ghiaccio, che si cominciò a rompere solo dopo il discorso di Mikhail Gorbaciov in Lontano Oriente ( dove l’allora leader sovietico chiese la ripresa dei rapporti, ndr): ci vollero 30 anni. Con la Cina non è che schiocchi le dita e fai amicizia. E non è la solita favoletta: Mosca si avvicina a Pechino, perché ha rotto con l’Occidente. Ma certi abracadabra dell’Ovest certo hanno messo in guardia sia noi che loro. Le sanzioni occidentali contro Mosca sono state una grossa lezione per Pechino. E
la guerra economico-commerciale degli Stati uniti contro la Cina è un monito per la Russia. Invece la Siria che cosa ci insegna? L’abbattimento dell’IL-20, da parte della contraerea siriana, per errore, durante un combattimento con gli F-16 israeliani, nei cieli al largo di Latakia, ha fatto scorrere più di un brivido nella schiena. La tragedia del 17 settembre si è verificata a seguito di azioni errate, non professionali e codarde di uno dei nostri partner, nonostante tutti gli sforzi compiuti dalla Russia per sviluppare la cooperazione con Israele, anche su questioni di scottante attualità per loro. Più in generale, bisogna essere realisti. La crisi siriana si è evoluta invariabilmente, secondo uno scenario difficile, ma di recente si osservano molte tendenze positive. Si sovrappongono interessi, non semplicemente di diversi Paesi, ma di diverse forze politiche di alcuni Paesi. Le tendenze positive comunque restano, ai nostri occhi. In primis l’eliminazione di gran parte dei gruppi terroristici. Poi il controllo del governo siriano ormai su gran parte della capitale. Damasco, per quanto possibile, coglie l’opportunità offerta di tornare alla vita pacifica, concedendo l’amnistia a coloro che volontariamente hanno deciso di consegnare le loro armi. Successivamente il processo globale di rientro dei profughi, sparsi non solo per il Medio Oriente: a queste persone la guerra aveva tolto tutto, da una vita normale sino ai documenti. Ne consegue la necessità di ristabilire le infrastrutture civili. C’è poi Idlib, problema più complesso, ma gli esiti degli ultimi due summit, Russia-Turchia-Iran e Russia-Turchia sono segnali positivi. E inoltre, ormai, né gli europei, né gli americani negano che proprio a Idlib sono concentrati la gran parte dei miliziani ed estremisti. Sul ritorno dei profughi però appaiono altri motivi di attrito con l’Ovest. Quello che notiamo da parte di alcuni Paesi è, non una mancanza di aiuto, ma una vera resistenza al ritorno dei profughi. Le istruzioni Onu sono state elaborate dagli americani. E anche se viene indicato come un documento interno, offre la direzione da seguire e sembra fatto per limitare il ritorno dei profughi. Forse perché si temono ripercussioni politiche su di loro in patria? O forse qualcuno non vuole che queste persone facciano ritorno, si organizzino, si uniscano in partiti, abbiano un’autonomia politica. I soldi per sostenere questo processo non si trovano: evidentemente l’Ovest non ha fretta. n