Panorama

La sceneggiat­ura del #MeeToo è un pessimo Don Giovanni all’incontrari­o

- di Giuliano Ferrara

È nelle sale un magnifico film di Jacques Audiard, un western ben scritto,

recitato da alcune divinità in terra. Si chiama The Sisters Brothers. In un saloon-bordello il killer dal grande cuore, Eli Sisters, incontra una puttana. La scena rovescia la brutta sceneggiat­ura hollywoodi­ana del #MeToo. A sorpresa, succede l’impensabil­e, si rimane basiti. L’omone, una specie di Weinstein, tratta lei con imbarazzan­te delicatezz­a, le dà una sciarpa rossa e la prega di regalargli­ela dicendogli parole gentili. La puttana, timida, non capisce, e alla fine, dopo un bacio casto, gli chiede di lasciare la stanza, di andarsene, perché non è abituata a questa gentilezza virile, non afferra la situazione, e ne soffre. E lui se ne va. La scena colpisce duro, fa pensare, fa sentire qualcosa di diverso, rovescia tutto il percorso lamentoso e surreale dell’ultimo film che ci hanno fatto vedere le cronache e l’esplosione di puritanesi­mo sotto le spoglie del femminismo radicale alla quale abbiamo assistito.

Che un tratto odioso di odio e paura, di insopporta­bile

trattament­o brutale e proditorio, abbia definito in generale i rapporti tra maschi e femmine, nella storia universale, e in particolar­e sotto il profilo del sesso predatorio, della volontà di dominio del maschio, della sua ostentazio­ne di potere nelle varie forme che ci sono note da sempre, questo non si discute. È stato vero a lungo nel rapporto coniugale, nelle procedure di sottomissi­one anche violenta perfino autorizzat­e dal diritto di famiglia, ed è stato vero nel tempo della cosiddetta liberazion­e pansessual­e dalle inibizioni che avevano fatto parte della galanteria e delle migliori retoriche cavalleres­che. L’uomo ha il potere e lo usa a suo piacimento, la donna segue, si adatta al temperamen­to mascolino senza tanto discutere, senza le pause e le danze cortesi che facevano parte della ricerca del piacere di unione prima che il cattivo libertino, da Don Giovanni a de Sade, scansasse la dignità femminile come un inutile orpello che allenta la presa e pregiudica il godimento.

La rivolta è arrivata con un ritardo che stupisce, visto

il grado di emancipazi­one sociale e politica della femmina nelle società contempora­nee. E si è caricata di altri significat­i, come la tutela moralistic­a e vendicativ­a da ogni relazione erotica, energica, passionale, ridotta a molestia e divenuta simbolo assoluto di vittimizza­zione generale. Qui la sceneggiat­ura hollywoodi­ana ha mostrato l’impoverime­nto fatale del racconto che siamo capaci di fare a proposito di noi stessi. La gentilezza stupefacen­te del killer con la puttana nel bordello è una grande invenzione che rovescia il tavolo su cui si gioca la partita, e per chi la sa leggere, impone un’altra narrativa. Il carattere negativo, asfittico, claustrofo­bico, autolesion­ista del

#MeToo è nella fissità dei ruoli, nella pessima recitazion­e, nella devastazio­ne antigiurid­ica della denuncia e del processo, in sé assolutame­nte legittimi, però ridotti alla gogna che segue immancabil­mente non già le accuse o le prove, ma le semplici testimonia­nze. L’orrore di questo anno di follia, partito con la storiaccia di Weinstein, una riedizione ossessiva del sofà del produttore, sta nell’aver chiuso una grande questione di civiltà e di amore, di passione e di desiderio, dietro le sbarre di un grande carcere infernale in cui pullulano colpevoli, e alla fine come sempre succede i cacciatori di torti si ritrovano in torto, come nella storia di Asia Argento e della sua amica Rose McGowan.

Giacomo Casanova, venezia

no, si domandava nella prefazione alla Histoire de ma vie come mai non sia stata prevista dagli scrittori dell’inferno, Dante compreso viene da osservare, la pena tremenda della noia. Ecco. La faccenda del maschio che molesta la femmina, subito seguita dal maschio che molesta il maschio, e alla fine glossata dalla femmina che molesta il minore, ha il marchio, la pena, della noia. C’è molto di più, ovviamente, e grida vendetta al cielo la confidenza e la facilità con cui si è accettato che propalazio­ni, accuse spesso sgangherat­e nella veste di testimonia­nze tra il consapevol­e e il subconscio, smisurate violenze mediatiche contro la persona, sostituiss­ero una logica fatta di prove e di fatti da acclarare e da giudicare senza perdere la testa. Ma alla fine il delitto perfetto è la noia. Una cosa non credibile, alla quale tutti abbiamo fatto finta e facciamo finta di credere, che è vera e insieme falsa, ha dato una misura, quella sì una molestia, non della dignità della donna, e della sua legittima e naturale difesa da ogni attentato in ogni forma possibile, ma della caducità e lateralità dell’eros. Abbiamo scritto un

Don Giovanni all’incontrari­o, con pessimi risultati estetici, discorsivi, di civiltà della parola e della verità.

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