Panorama

Lo zar di tutte le Italie

Ivan Zaytsev è il trascinato­re della nazionale di volley che sta infiammand­o i tifosi. Un atleta unico. Un uomo che ci mette la faccia. Sempre. In campo e nella vita.

- di Giuseppe De Bellis direttore di SkySport24

Ivan Zaytsev è un buono. Anche se schiaccia a duecento all’ora, anche se urla come un ossesso, anche se lo chiamano la bestia. Italiano, ripetere per favore: Ita-lia-no. Di più: capitano. Simbolo, dopo essere passato per agitatore solo perché voleva usare il suo sponsor personale, come tutti gli altri sportivi. I capelli biondi, la barba, gli occhi spiritati: 30 anni da compiere appena finito il mondiale di volley che sta esaltando l’Italia. E chi è il volto di questo mondiale? Lui. Ivan. Lo zar, per le sue origini russe. Figlio di un ex nuotatrice e di un ex pallavolis­ta con il quale ha avuto un rapporto fatto di alti (pochi) e bassi (molto). Come ha scritto il Post, quando si parla di lui, in molti hanno ancora bene in mente i tre ace di fila con cui nella semifinale del torneo olimpico di Rio de Janeiro ribaltò da solo l’andamento della partita quando gli Stati Uniti erano a un passo dalla vittoria (due anni prima ne fece quattro, sempre contro gli Stati Uniti). La medaglia d’argento poi vinta dall’Italia a Rio de Janeiro fu uno degli esempi più evidenti di ciò che rende Zaytsev un giocatore formidabil­e e unico nella storia recente della pallavolo italiana.

Il romanzo della sua storia è fatto di simbologie forti. Per esempio: è nato nel giorno del 1988 in cui il padre perse la finale olimpica di Seul contro gli Stati Uniti, come entrambi specifican­o frequentem­ente. È nato a Spoleto, in Umbria, dove il padre si era trasferito nel 1987 per giocare nella Marconi, diventando il primo pallavolis­ta sovietico a trasferirs­i all’estero con un contratto da profession­ista. Altro simbolo: il ruolo. Era palleggiat­ore ora è l’opposto più forte d’Italia e tra i più forti del mondo. Opposto è il significat­o della vita: si opponeva al padre, si opponeva alle rigide regole del profession­ismo, poi ha scelto di essere opposto in campo ed è girato tutto. In meglio. Batte come pochi altri giocatori del panorama mondiale, mette a terra palloni da ogni posizione: non c’è una giocata che oggi sia tecnicamen­te impossibil­e per lui. È stato l’allenament­o, sì. È stata la voglia, anche. Perché Ivan vuole vincere. È un leader, uno che non rinuncia a dire la sua anche se è scomodo. È diventato un testimonia­l pro vaccini e ha preso una valanga di insulti. No problem: ha continuato a credere in quello che diceva. Stesso discorso per l’esclusione (fortunatam­ente momentanea) dalla nazionale per aver indossato la scarpa di uno sponsor personale diverso da quello della Federazion­e. Ha la testa. Ha la faccia. Ha la forza. Dopo la generazion­e dei fenomeni Zorzi-Bernardi è l’uomo che sta facendo tornare la pallavolo uno sport popolare e amato. Faccia e storia sono da chiudere con un trionfo. Quel gruppo che portò il volley italiano a essere celebre in tutto il pianeta fu spinto dai risultati: i mondiali, gli ori olimpici sfiorati, i successi dei club italiani in Europa. Alla generazion­e Zaytsev manca solo questo. Ed è questo che vuole ora, in questo mondiale che si gioca in Italia. Con i palazzetti che urlano il suo nome, con i bimbi che vogliono essere come lui.

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