Impasse catalana, come se ne esce?
A un anno dal referendum sull’indipendenza,
la Catalogna è divisa tra chi di giorno riempie le strade di nastri gialli, simbolo degli indipendentisti incarcerati, e chi di notte li stacca di nascosto. «Ci stiamo riprendendo dallo choc dei sei mesi in cui la Spagna ha sospeso l’autonomia regionale per ritorsione contro il referendum del primo ottobre 2017» dice a Panorama Francesc de Dalmases, deputato indipendentista di JxC (Uniti per Catalogna). Il dialogo avviato dal premier socialista spagnolo Pedro Sánchez con Quim Torra, governatore della Catalogna, per ora si limita alle strette di mano e a qualche riunione. Il sociologo barcellonese Jordi Amat crede che la mossa difficilmente avrà successo, ma riconosce che tra Madrid e Barcellona è tornata un po’ di normalità: «La retorica degli indipendentisti resta infiammata ( foto, proteste a Barcellona), ma non ci sono stati atti di disobbedienza come in passato». Nel Parlamento regionale ci sono ancora otto seggi vuoti: sono quelli dei deputati arrestati o fuggiti all’estero dopo il referendum. Contro di loro, in autunno, inizierà il processo per ribellione. «È un’anomalia democratica. La Spagna cerca di risolvere un problema politico a colpi di magistratura. La Germania, rifiutando l’estradizione di Puigdemont, ha dimostrato che ci troviamo di fronte a dei prigionieri politici» osserva Dalmases. «Avremo pazienza fino alla sentenza, ma non accetteremo alcun verdetto che non sia l’assoluzione». Puigdemont sarà uno dei protagonisti a distanza del processo. Dal suo esilio di Bruxelles, il leader indipendentista lavora alla «Crida», una nuova formazione unitaria che peró non convince il settore più pragmatico del movimento. Nel frattempo la Catalogna perde colpi: in un anno più di 2.500 imprese se ne sono andate, lasciando un buco di 100 miliardi di euro. In quanto a crescita, quella che era la regione più avanzata della Spagna è stata sorpassata da Madrid.
A maggio 2019 ci saranno le elezioni
municipali a Barcellona. La sindaca di Podemos Ada Colau è in calo di consensi e dovrà vedersela con Manuel Valls. L’ex premier francese è pronto a lasciare Parigi per tornare nella sua città natale come candidato delle forze moderate e unioniste. Quanto agli indipendentisti, si presentano divisi e rischiano di essere il fanalino di coda proprio in quella che dovrebbe essere la capitale del nuovo Stato. Per José Rosiñol, presidente dell’associazione unionista Società civile catalana, la «Marcia per i diritti civili» organizzata dagli indipendentisti in vista del processo sarà un’occasione per riportare la tensione nelle piazze. «Se lo scontro si cronicizza, si rischia una frattura sociale irrimediabile» dice Rosiñol. L’ultimo gesto di distensione da parte del premier Sánchez è stato un viaggio in Québec, la regione separatista del Canada, per un incontro con il premier Justin Trudeau. Per il sociologo Amat ci vorranno anni per arrivare a una soluzione, soprattutto se il processo si chiuderà con delle condanne: «Non c’è via d’uscita senza un voto. Magari non un referendum di autodeterminazione, ma una consultazione in cui i catalani decidano una nuova relazione con la Spagna». ( Giulio Maria Piantadosi - da Madrid)