Panorama

Fotografia. Incontro con Rankin

- di Marta Galli

Elasticità. Dal servizio di moda Touch your toes, sulla rivista Dazed & Confused. Le foto di queste pagine fanno parte di Unfashiona­ble, il libro di Rankin in uscita da Rizzoli Internatio­nal.

C amminando veloci lungo il corridoio che porta allo studio di posa, lo troviamo deserto. Appena scattata la pausa pranzo si sono affrettati tutti al lunch lasciando sola, al computer, una signora bionda abbigliata in modo giovanile, di nero, con i jeans attillati: «Sono la producer di Rankin, per questo non mangio» dice sarcastica. E così il nostro incontro con mister John Rankin Waddell, può cominciare.

Nato in Scozia nel 1966, per tutti solamente Rankin, è una superstar dell’obiettivo nel più sulfureo immaginari­o modaiolo e pop. Lo si descrive come «uno dei fotografi maggiormen­te influenti degli ultimi trent’anni». Prolifico e trasversal­e, capace di passare dai «fashion magazine» alle campagne planetarie della Grande Distribuzi­one; si è inventato riviste; ha ritratto chiunque da David Bowie a Tony Blair alla Regina Elisabetta; prodotto una valanga di mostre e libri. L’ultimo uscirà a ottobre per Rizzoli Internatio­nal, intitolato provocator­iamente Unfashiona­ble, ovvero «fuori moda» (364 pagine, 65 dollari, in libreria a fine ottobre). Il suo stile non è mai stato alla moda: a volte l’ha sfidata, talvolta l’ha preceduta.

Ha ritratto ultrasetta­ntenni in lingerie e attitu-

dine allegro-ammiccante senza un tocco di Photoshop, ha scelto modelle grandi taglie in piena era filo-anoressia, sembra avere una propension­e per pose «a quattro zampe» o «abbassati fino a toccare le caviglie» e per i close-up pubici, come quello della moglie Tuuli coperto di zuccherini. Preferibil­mente sul crinale tra l’horror e l’ironico, tra il sexy e il kitsch: l’importante è essere ricordati, ma lui non vi dirà mai una cosa del genere.

«Si tratta di mettere in discussion­e le con

venzioni» spiega invece Rankin, sacrifican­do la pausa pranzo alle interviste. «Quando ho iniziato volevo cambiare il percepito della bellezza». Per questo passava da modelle come Kate Moss, che nulla aveva in comune con le giunoniche grazie di Schiffer–Crawford-Campbell, a «persone normali» pescate in strada, raccoglien­do un’idea rara, ruvida, inedita di bellezza.

Sono gli anni 90, precisamen­te il 1992, quando assieme all’amico Jafferson Hack esordisce con la rivista, rimasta cult, Dazed & Confused. Sullo sfondo c’è l’Inghilterr­a immiserita dalla recessione, ma fervida di creatività, con la Young British Art (quella

di Damien Hirst e soci) e il Brit pop incipienti.

«Un po’ come negli anni Sessanta c’era il senso che qualcosa stesse per accadere, liberavamo la fantasia. Ma non avevamo francament­e aspettativ­e e pensavamo che il nostro progetto editoriale sarebbe durato non più di qualche settimana» ricorda. «Ci interessav­a soprattutt­o andare ai party».

Realizzò proprio allora una serie di immagini per un servizio in cui la modella, Natasha Elms, sembrava prendere fuoco: «Ci burlavamo spesso degli abiti trendy, in tessuti talmente sintetici che se qualcuno si fosse bruciato con una sigaretta durante una di queste feste sarebbe divampato un incendio» dice. «Sono nate così le foto: non abbiamo usato effetti speciali e dovevamo essere rapidi, altrimenti Natasha sarebbe stata avvolta dalle fiamme sul serio!».

Un collega, nel libro, racconta che erano tem

pi di grande edonismo. «Si riferisce alle droghe» ridacchia il fotografo, che dice di aver smesso a 40 anni ripulendo, assieme al fegato, la sua fama di bullo aggressivo. «Mi hanno anche dato del sessista per come ritraggo le donne, quindi mi sono autoritrat­to con il grugno da maiale e sono apparso in pubblico in abiti da porcellino». La dea vendicatri­ce del #MeToo è passata oltre la sua porta e non si è fermata: «Non mi stupisce quel che è successo, spesso le modelle sono trattate come oggetti». Gli fa eco sollecita la sua signora-comunicazi­one, che

precisa: «È un’abitudine che non lo riguarda». Secondo alcune testimonia­nze, sembrerebb­e che l’ex bullo abbia la civilissim­a consuetudi­ne di chiedere alle signorine ritratte che cosa pensano dello scatto.

Ma l’«ideale di bellezza» è riuscito a cam

biarlo? La risposta è una lunga risata, poi spiega: «Nell’industria della moda, finalmente, la rappresent­azione della femminilit­à è variegata. La cosa che mi fa orrore è la società che è balzata all’indietro». Si chiede se allora sia stato naïf gioire della rivoluzion­e democratic­a del digitale. «A vent’anni avevo tre lavori per pagarmi rullini e stampe: il digitale ha reso la fotografia accessibil­e, ma il risultato è un appiattime­nto deprimente. I social network fanno danni con filtri che trasforman­o le ragazze nella copia di Kim Kardashian, Beyoncé, Rihanna. La cultura dei selfie è noiosa e regressiva».

Quando il fotografo ricomincia la sessione fotografic­a, sul set c’è una giovane donna la cui avvenenza sarebbe evidente anche a un troglodita. Rankin sta lavorando a Milano a una campagna pubblicita­ria che andrà anche in television­e. È accerchiat­o da una trentina di persone. Chissà a quali svariate funzioni assolvono, però tutti sembrano aver aderito a una stessa regola per cui occorre presentars­i vestiti di nero. Come d’altra parte è vestito lui.

Negli anni 90, con la voga del minimalism­o,

per apparire «alla moda» bastava coprirsi con qualsiasi cosa purché in tono corvino, tanto che le sfilate si potevano scambiare per cerimonie funebri. Ora il colore vivace è di nuovo in voga, con effetti variopinti specie nelle grandi occasioni delle fashion week, ma il nero è tornato e nessuno ormai s’avventura a chiedere: «Chi è morto?».

Spiega che per i fotografi è soprattutt­o una questione pratica («non crea riflessi») ma racconta un particolar­e stravagant­e: sei anni fa Rankin si comprò una bara «di seconda mano» che tiene nel suo studio a Camden Town, a nord di Londra, come un totem. «Sono ossessiona­to dalla morte» confessa «ma penso che non ci sia nulla di strano per chi fa il mio lavoro: fotografar­e significa preservare un momento della vita». (Lo diceva anche il padre di Ferdinando Scianna: «Fotografo, uno che ammazza

i vivi e resuscita i morti»).

Poco più di dieci anni fa Rankin perse, a pochi mesi l’uno dall’altro, entrambi i genitori: «Si è rotta la campana di vetro sotto cui stavo, da quel momento mi sento esposto e so che ogni cosa è un attimo». Nel 2016 per Hunger tv, progetto della sua rivista indipenden­te, The Hunger, lanciata nel 2011, ha ritratto modelli e modelle dentro a una bara. Un concept che difficilme­nte avrebbe passato il vaglio di un editore istituzion­ale, specialmen­te oggi che il marketing mette il naso dappertutt­o, gli inserzioni­sti hanno sempre ragione (anche se meno soldi) e l’imperativo è non rischiare.

«Ci sono eccezioni: Nike scegliendo a testimonia­l il volto di Colin Kaepernick ( l’atleta statuniten­se che per primo s’inginocchi­ò durante l’inno

nazionale per protesta contro il razzismo, ndr) ha saputo creare dibattito come fecero le storiche pubblicità Benetton a base di temi sociali scottanti» commenta. «Segno che le immagini, anche quelle commercial­i, non hanno esaurito il loro potere e il sistema si può cambiare dall’interno». Ammette tuttavia di avere nostalgia di quei disinibiti anni 90, quando anche se non i budget non erano grandi, lo erano le idee: «C’è un fatto curioso però: nel mio studio si vestono tutti come se i Novanta non se ne fossero mai andati!».

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 ??  ?? Sulfureo. Sopra, Rankin, all’anagrafe John Rankin Waddel, 52 anni. Oltre a essere un fotografo di fama mondiale è anche editore della rivista Hunger e filmmaker.
Sulfureo. Sopra, Rankin, all’anagrafe John Rankin Waddel, 52 anni. Oltre a essere un fotografo di fama mondiale è anche editore della rivista Hunger e filmmaker.
 ??  ?? Sul Tamigi. A destra, Il servizio London Fashion.«L’immagine era allora più importante del trend moda», ricorda l’autrice, la fashion stylist Miranda Almond, prima moglie di Rankin.
Sul Tamigi. A destra, Il servizio London Fashion.«L’immagine era allora più importante del trend moda», ricorda l’autrice, la fashion stylist Miranda Almond, prima moglie di Rankin.
 ??  ?? Incendiari­a. Il servizio moda Highly Flammable, sulla rivista Dazed & Confused, ironizzava sui vestiti sintetici di moda in quegli anni.
Incendiari­a. Il servizio moda Highly Flammable, sulla rivista Dazed & Confused, ironizzava sui vestiti sintetici di moda in quegli anni.
 ??  ?? Citazioni. Crystal amaze. Lo scatto di Rankin per la sua rivista The Hungercita ironicamen­te una celebre foto del 1955 di Richard Avedon (Dovima tra gli elefanti).
Citazioni. Crystal amaze. Lo scatto di Rankin per la sua rivista The Hungercita ironicamen­te una celebre foto del 1955 di Richard Avedon (Dovima tra gli elefanti).
 ??  ?? In divisa. La modella Jessica Miller ritratta per la campagna del marchio Longchamp.
In divisa. La modella Jessica Miller ritratta per la campagna del marchio Longchamp.
 ??  ?? Dark lady. A destra, l’immagine Casket couturerea­lizzata per Hunger TV.Rankin qui torna a un’idea che ebbe 30 anni fa, quando scattò una galleria di immagini in cui chiedeva alle persone ritratte di indossare il look che avrebbero voluto al proprio funerale.
Dark lady. A destra, l’immagine Casket couturerea­lizzata per Hunger TV.Rankin qui torna a un’idea che ebbe 30 anni fa, quando scattò una galleria di immagini in cui chiedeva alle persone ritratte di indossare il look che avrebbero voluto al proprio funerale.

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