La moda parte da qui
Nell’immenso pianeta del fashion, tra acquisizioni miliardarie di brand storici e sempre più giovani mercati di riferimento, c’è un’unica certezza: la filiera italiana non ha rivali al mondo. Questo è il nostro valore aggiunto, da record, che nessuno può
La notizia da capogiro arriva a riflettori spenti, con la fashion week milanese ormai conclusa. La Versace, azienda italiana all’80 per cento della famiglia, viene ceduta per due miliardi di dollari all’americana di Michael Kors, colosso del lusso yankee, competitor dei francesi Kering e Lvmh. E pensare che Donatella Versace, fasciata come una navigata sirenetta in un abito giallo strong, qualche ora prima della notizia era salita sul palco de La Scala per ritirare il premio consegnatole durante la serata di gala del Green Carpet che, da due stagioni, sugella il gran finale delle passerelle milanesi. Tra Kate Blanchett, Julian Moore e il sindaco Beppe Sala, Donatella si è volatilizzata, privando stranamente amici e giornalisti della sua spumeggiante verve. Ma col senno di poi, la sua apparizione fugace diventa di facile lettura.
Ora, al di là delle amarezze, più o meno condivisibili, sui marchi italiani ceduti a gruppi stranieri, resta il fatto che la moda è in larga misura fatta in casa nostra: è l’industria che, con i suoi sogni e impulsi visionari, genera in Italia la concretezza di fatturati importanti, con un saldo commerciale di 19, 8 miliardi di euro nel 2017, e fa da traino all’intera economia del nostro Paese.
Ciò che sta accadendo, e le passerelle milanesi lo hanno dimostrato, è che va in scena una moda in larga misura made in Italy, ma destinata a un mercato molto diverso da quello abituale. Le collezioni primavera estate 2019 proposte dagli stilisti italiani sono rivolte a un pubblico di millennial danaroso, con una smania di apparire enorme e un bisogno di riconoscibilità e autorevolezza più legato alla griffe che indossano che alla personalità che posseggono. Ma visto che i millennials italiani e europei sono alle prese con incertezze lavorative e precarietà salariali, è chiaro che il mercato di riferimento è quello dei giovani rampanti di Cina, Corea,
Siberia, India. Loro sì, ricchi e spendaccioni. Anche la moda vista sulle passerelle milanesi risponde a una nuova estetica che non è affatto quella europea: è una moda fatta da persone (gli stilisti) non più così giovani, per un pubblico di trenta-quarantenni di aree geografiche e culturali molto diverse e distanti dalla vecchia Europa. L’ansia mercantile cambia i gusti e detta estetiche stravaganti, principesche, cafone, sofisticate: vale tutto e il contrario di tutto. Dire che la moda non è più in grado
di guardare il mondo e di rappresentarlo oè è però una forzatura: forse la rappresentazione one non è così veloce quanto il cambiamento. nto. E anche questo è un tema nuovo. In ogni gni caso, l’importante è che la cultura del ben n fatto e del rispetto della qualità siano ancora coltivate. C Come raccontano i dati: 499 mila m e 800 sono gli addetti dell’industria de alto di gamma che c il mondo ci invidia, fra francesi per primi, in grado di d fondere tradizione n e innovazione. Un U sistema di filiere r e distretti unico al mondo. m L’ombelico della d moda.