L’ULTIMO CONSOLE DI CALCUTTA
Successe qualche anno fa, mentre con Federica ed Elli visitavamo e fotografavamo i ricoveri di Madre Teresa, a Calcutta: quello degli orfani, quello dei disabili, quello dei morenti. Ma la città della gioia, come nel romanzo di Dominique Lapierre, lascia il segno per molto meno. Bastava ascoltare il piccolo funzionario del Consolato che, senza enfasi, mi disse di essere appena stato promosso console. I pedanti ci insegnano che le due carriere sono distinte, ma nel Bengala occidentale non è questo il punto. Il punto è che il console generale era morto nel sonno sul divano della sua casa da single. Era di venerdì. Nessuno l’aveva cercato per tre giorni perché non aveva famiglia qui e nemmeno in Europa. Lo trovò la donna delle pulizie, il martedì. Così era toccato al funzionario avvisare il ministero in patria. Gli risposero, con la calma leziosa del protocollo, che nessun nuovo console sarebbe venuto a sostituire il defunto. Sia in considerazione dei pochissimi connazionali presenti in città - a fronte dei quattro milioni di abitanti - sia perché laggiù, al momento, nessuno voleva andarci. Facesse lui funzione, e care cose. Chiesi se la promozione, come sembrava, gli pesasse. Non so dire - rispose - non sono ancora riuscito a vendere il divano.