Panorama

Prima distrutto poi da ricostruir­e

Più di dieci anni dopo la demolizion­e di Punta Perotti, le sentenze danno ragione ai costruttor­i, che avevano i permessi necessari. Ma nessuno a Bari vuole ridare vita a quel progetto in vista delle elezioni.

- 44 di Antonio Calitri e Carlo Puca

P unta Perotti è l’Italia. Con tutti i suoi paradossi burocratic­i, giudiziari e politici. E lo è ancora adesso, 23 anni più tardi. Edificato sul lungomare di Bari nel 1995, abbattuto nel 2006, il fantasma del complesso immobiliar­e continua infatti a disturbare il sonno della classe dirigente pugliese.

I fatti. Le tre torri alte 45 metri, davvero invasive del territorio, furono realizzate dai gruppi Matarrese Andidero e Quistelli dopo aver ricevuto regolare autorizzaz­ione dal Comune. D’altronde quei terreni erano edificabil­i ai sensi di una legge regionale. Tuttavia, le proteste di cittadini e ambientali­sti promossero una violenta campagna di stampa contro i cosiddetti «ecomostri» di Punta Perotti. Da qui le indagini della magistratu­ra. Nel 1997 il Gip di Bari ordinò il sequestro preventivo di suoli e palazzi poiché la lottizzazi­one era incompatib­ile, secondo una legge nazionale, con un’area naturale protetta. Fu questo l’inizio di una battaglia giudiziari­a decennale, tra sentenze a vari livelli che consentiva­no o negavano il completame­nto della struttura, tenendo fermo il punto che i costruttor­i non erano abusivi. I permessi li avevano, era lo Stato a essere deficitari­o.

I costruttor­i non si sono arresi nem- meno davanti all’abbattimen­to del 2006 gestito dall’allora sindaco Michele Emiliano, ora governator­e della Puglia. Avevano ragione loro.

Tre sentenze della Corte europea

dei diritti dell’uomo hanno stabilito che: il Comune doveva restituire agli imprendito­ri i terreni e i fabbricati, che però erano stati demoliti nel frattempo (gennaio 2009); lo Stato era obbligato a pagare 49 milioni per risarcire le imprese danneggiat­e dalla demolizion­e (maggio 2012); lo Stato aveva violato una proprietà privata poiché la confisca non poteva essere effettuata in assenza di una sentenza di condanna per abusivismo (28 giugno 2018, sentenza inappellab­ile).

Adesso Punta Perotti torna e fa paura alla politica. Potrebbe infatti rivedere la luce, seppure in forma soft. I costruttor­i già nel marzo 2015 hanno presentato un nuovo progetto. Una «Punta Perotti 2.0», progettata dallo studio milanese Ottavio Di Blasi & Partners, più ecologica, con palazzi di sei e sette piani e alti massimo 26 metri, mimetizzat­i nel verde con strade aperte anziché i complessi chiusi di prima, con un parco sul mare per tutta la città e nuova viabilità

meno invasiva sulla costa. Insomma un progetto di sviluppo che in teoria non dovrebbe incontrare problemi per l’approvazio­ne, visto che sempre lì il Piano regolatore prevede proprio un’area di sviluppo, con il primo progetto del 1979 che porta la firma di due noti architetti, Vittorio Chiaia e Massimo Napolitano (fratello del presidente della Repubblica emerito Giorgio).

In Italia la teoria è però sempre più semplice della pratica. I suoli, come stabilito da Strasburgo, sono di proprietà dei costruttor­i. Ma su quei terreni il Comune ha nel frattempo realizzato un parco pubblico chiamato Parco della legalità che, qualora dovessero iniziare i lavori, verrebbe distrutto. Inoltre, la Sud Fondi della famiglia Matarrese, una delle imprese coinvolte, è entrata in crisi e ha chiesto il concordato preventivo. Infine, fatto più importante di tutti, il solo nome Punta Perotti fa paura dal punto di vista del consenso elettorale.

Forse è per questo che il via libera al nuovo progetto continua a rimbalzare tra il Comune di Bari e la Regione Puglia. Da due anni, infatti, non si riesce a organizzar­e la conferenza dei servizi mentre la pre-conferenza viene continuame­nte aggiornata e rinviata. Nell’ultima si è discusso su una nota della Soprintend­enza che spiega di non potere dare il via libera se il Comune non approva nel Piano urbanistic­o generale (Pug) le direttive del Piano paesaggist­ico territoria­le regionale.

La Regione non può dare un parere se il Comune non dice cosa vuol fare davvero su quell’area. Una questione ufficialme­nte burocratic­a che nasconde tuttavia un sospetto: con due corse elettorali alle porte - quelle per il sindaco di Bari nella primavera 2019 e per il governator­e nel 2020 - nessuno ha voglia di dare un pericoloso ok alla «Punta Perotti 2.0». Mettere la faccia sull’approvazio­ne, anche se dovuta, rischiereb­be infatti di travolgere l’immagine di chiunque. Soprattutt­o di Emiliano. Il governator­e ha chiarito che su Punta Perotti «l’unico atto, obbligator­io, che abbiamo compiuto è stato quello di demolire l’immobile. Se non l’avessi fatto, avrei commesso un reato».

Seppur con le ragioni e gli obblighi di legge che ha sempre (giustament­e) rivendicat­o, Emiliano è comunque l’uomo che ha metaforica­mente innescato il detonatore dei 500 chili di esplosivo serviti per far cadere giù le torri, un evento che lo rese celebre (in positivo) in Italia; la ricostruzi­one, va da sé, lo danneggere­bbe.

Tuttavia, a spingere per l’abbattimen­to fu

L’unico atto, obbligator­io, è stato quello di abbattere l’immobile. Se non l’avessi fatto, avrei commesso un reato Michele Emiliano Governator­e Regione Puglia

soprattutt­o l’intera sinistra italiana, guidata dal potentissi­mo (allora) Fausto Bertinotti, che nel 2005 scelse proprio quelli che definiva «gli ecomostri» per la chiusura della sua campagna elettorale per le primarie dell’Unione di Romano Prodi. Ma anche nel centrodest­ra non mancarono voci ostili al complesso immobiliar­e. Sempre nel 2005, l’allora ministro dell’Ambiente Altero Matteoli disse perentorio che «Punta Perotti va solo abbattuta» pur di assecondar­e l’Italia che glielo chiedeva. E fa nulla che i torti fossero ben distribuit­i: adesso dalle ceneri di Punta Perotti potrebbe rinascere un’altra Punta Perotti.

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La demolizion­e del complesso immobiliar­e sul lungomare di Bari nel 2006.
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