Dopo il caso Kashoggi, gli affari restano affari
Non che ci fossimo mai fatti troppe
illusioni. Speravamo almeno che la vicinanza cronologica tra il brutale macello del giornalista Jamal Kashoggi e la Future Investment Initiative Conference potesse costituire un buon pretesto per una pausa di riflessione sulla natura del regime di Riad. Pomposamente soprannominata «la Davos del deserto», la conferenza è la vetrina economico-finanziaria del progetto Saudi Arabia 2030, al quale il principe Mohammed Bin Salman (Mbs) ha legato il consolidamento della sua leadership. Invece, man mano che i giorni passano e nonostante le informazioni lasciate filtrare da Ankara sulle modalità selvagge con cui Kashoggi è stato suppliziato, è evidente che le cose andranno avanti esattamente come prima. La sola cosa che i vertici politici e quelli delle maggiori società occidentali volevano evitare è di essere ritratti sorridenti accanto a Mbs, che ogni indizio lascia ritenere essere stato il mandante della morte del collaboratore del Washington Post. Invece il 22 ottobre, alla vigilia della conferenza, il segretario al Tesoro Usa Steven Mnuchin ha incontrato Mbs a Riad ed è stato immortalato in una foto ufficiale. «Business as usual», con tanti saluti a quei princìpi di civiltà che evidentemente si possono evocare nei confronti di tiranni o aspiranti tali solo quando questi non siano anche titolari di un fondo sovrano che dovrebbe arrivare a una dotazione di oltre 2 mila miliardi di dollari. Del resto l’Arabia Saudita non è solo uno dei maggiori produttori di petrolio (di gran qualità, dal basso costo di estrazione e con riserve tra le più cospicue al mondo); è anche un ottimo cliente per i prodotti occidentali ad alta tecnologia e uno dei migliori mercati per le industrie degli armamenti. Americani e britannici fanno da sempre la parte del leone, incalzati dai francesi. E anche noi italiani non siamo per nulla messi male. Negli ultimi anni poi cinesi e russi hanno iniziato a ritagliarsi piccole ma significative fette di mercato. Politicamente parlando, Donald Trump è subito intervenuto a sostegno dell’alleato di sempre, inviando il Segretario di Stato Mike Pompeo nella capitale dei Saud. Trump ha definito «credibile» l’ultima ricostruzione dei fatti fornita dal ministro degli Esteri di Mbs, che scarica le responsabilità sui subalterni e parla di un’uccisione accidentale durante una colluttazione. Va detto che affermazioni analoghe sono state proferite da Vladimir Putin e che, come al solito, i cinesi si sono sostanzialmente astenuti da qualunque rilievo critico. Per Washington, l’Arabia Saudita è cruciale per la crociata anti-iraniana e i lucrosi contratti per l’industria degli armamenti americani sono troppo importanti per essere sacrificati sull’altare della verità. Mosca, dal canto suo, non intende certo non sfruttare lo spiraglio di un eventuale raffreddamento nei rapporti tra Riad e gli Usa e prova a infilare un piede nella porta. E l’Europa? Semplicemente ha ben altro a cui pensare. Paradossalmente, è dal fronte interno e sul medio periodo che potrebbero arrivare più problemi a Mbs. La «famiglia» inizia a domandarsi se il giovane rampollo non sia, oltre che decisamente intraprendente e privo di scrupoli, fin troppo maldestro (si pensi alla disastrosa guerra in Yemen). Un lusso che forse i Saud potrebbero pensare di non potersi più permettere proprio in quel futuro «oil-less» che sta tanto a cuore al principe ereditario.
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