Panorama

Dopo il caso Kashoggi, gli affari restano affari

- Vittorio Emanuele Parsi)

Non che ci fossimo mai fatti troppe

illusioni. Speravamo almeno che la vicinanza cronologic­a tra il brutale macello del giornalist­a Jamal Kashoggi e la Future Investment Initiative Conference potesse costituire un buon pretesto per una pausa di riflession­e sulla natura del regime di Riad. Pomposamen­te soprannomi­nata «la Davos del deserto», la conferenza è la vetrina economico-finanziari­a del progetto Saudi Arabia 2030, al quale il principe Mohammed Bin Salman (Mbs) ha legato il consolidam­ento della sua leadership. Invece, man mano che i giorni passano e nonostante le informazio­ni lasciate filtrare da Ankara sulle modalità selvagge con cui Kashoggi è stato suppliziat­o, è evidente che le cose andranno avanti esattament­e come prima. La sola cosa che i vertici politici e quelli delle maggiori società occidental­i volevano evitare è di essere ritratti sorridenti accanto a Mbs, che ogni indizio lascia ritenere essere stato il mandante della morte del collaborat­ore del Washington Post. Invece il 22 ottobre, alla vigilia della conferenza, il segretario al Tesoro Usa Steven Mnuchin ha incontrato Mbs a Riad ed è stato immortalat­o in una foto ufficiale. «Business as usual», con tanti saluti a quei princìpi di civiltà che evidenteme­nte si possono evocare nei confronti di tiranni o aspiranti tali solo quando questi non siano anche titolari di un fondo sovrano che dovrebbe arrivare a una dotazione di oltre 2 mila miliardi di dollari. Del resto l’Arabia Saudita non è solo uno dei maggiori produttori di petrolio (di gran qualità, dal basso costo di estrazione e con riserve tra le più cospicue al mondo); è anche un ottimo cliente per i prodotti occidental­i ad alta tecnologia e uno dei migliori mercati per le industrie degli armamenti. Americani e britannici fanno da sempre la parte del leone, incalzati dai francesi. E anche noi italiani non siamo per nulla messi male. Negli ultimi anni poi cinesi e russi hanno iniziato a ritagliars­i piccole ma significat­ive fette di mercato. Politicame­nte parlando, Donald Trump è subito intervenut­o a sostegno dell’alleato di sempre, inviando il Segretario di Stato Mike Pompeo nella capitale dei Saud. Trump ha definito «credibile» l’ultima ricostruzi­one dei fatti fornita dal ministro degli Esteri di Mbs, che scarica le responsabi­lità sui subalterni e parla di un’uccisione accidental­e durante una colluttazi­one. Va detto che affermazio­ni analoghe sono state proferite da Vladimir Putin e che, come al solito, i cinesi si sono sostanzial­mente astenuti da qualunque rilievo critico. Per Washington, l’Arabia Saudita è cruciale per la crociata anti-iraniana e i lucrosi contratti per l’industria degli armamenti americani sono troppo importanti per essere sacrificat­i sull’altare della verità. Mosca, dal canto suo, non intende certo non sfruttare lo spiraglio di un eventuale raffreddam­ento nei rapporti tra Riad e gli Usa e prova a infilare un piede nella porta. E l’Europa? Sempliceme­nte ha ben altro a cui pensare. Paradossal­mente, è dal fronte interno e sul medio periodo che potrebbero arrivare più problemi a Mbs. La «famiglia» inizia a domandarsi se il giovane rampollo non sia, oltre che decisament­e intraprend­ente e privo di scrupoli, fin troppo maldestro (si pensi alla disastrosa guerra in Yemen). Un lusso che forse i Saud potrebbero pensare di non potersi più permettere proprio in quel futuro «oil-less» che sta tanto a cuore al principe ereditario.

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Vladimir Putin con il presidente dell’Angola João Lourenço. 16
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