Anche Hemingway ora è «mordi e fuggi»
Nell’isola della Rivoluzione che cambia pelle nonostante l’embargo Usa, il mito di Hemingway non fa eccezione. E ormai è a consumo di turista.
Non si passa fino alle 10» ammonisce il guardiano, severo eppure stravaccato su una sedia di plastica. Il luogo è ancora deserto di turisti nella mattina cubana immobile d’estate, dove tutto si appiccica alla pelle sudata, fosse pure una semplice garza. Ci si arretra dunque oltre la rete in attesa dell’ora X. Siamo davanti alla «Finca Vigía», la dimora di Ernest Hemingway, lungo la Strada 100 a una decina di chilometri dal centro dell’Avana. In questa villa il premio Nobel de Il
vecchio e il mare ha vissuto trent’anni, per lunghi periodi. Scriveva in piedi, solenne, nella prima luce dell’alba; senza però trascurare qualche incursione, alleato con i ragazzini dei dintorni, per rubare i manghi dalle piante di un vicino.
Oggi, accanto al cancello secondario d’accesso circondato dalla lussureggiante flora isolana di banani e alberi di guayaba, c’è un miniparcheggio. Un onnipresente venditore propone da bere: «Ieri ho contato venti pullman di visitatori» avverte. Per ora non si vede nessuno. Fa sempre più caldo, però. Poi, quando manca un quarto alle 10 arriva la prima auto ultra accessoriata. Scendono quattro giovani e ricchi cinesi in bermuda e avanzano, ignorando chi aspetta
da un bel po’. Giustamente, s’infrangono pure loro contro il no del custode. Spunta anche un camminatore biondo e pallido giunto a piedi fin quassù e mentre scocca l’apertura, ecco altre due auto e un bus...
Almeno avremo il vantaggio competitivo del primo bigliettostrappato. Tagliando alla mano (5 pesos, meno di 5 euro, una manna per le esangui casse del governo cubano, che gestisce le visite), si percorrono di gran carriera i vialetti tra palme e aiuole. I recentissimi restauri dell’omonima fondazione americana «Finca Vigía» hanno recuperato, ridipinto, etc etc. Un paio di container sono rimasti a ingombrare.
Finalmente, ci si può affacciare alle stanze
dove si muoveva Papa Hemingway. Non si può entrare. Tuttavia da porte e finestre aperte, in un inatteso spalancamento voyeuristico, si vede moltissimo. La tavola apparecchiata nella sala da pranzo. Di là, la camera foderata di libri e con alcuni giornali ancora sul letto. Le macchine per scrivere Corona e Royal Arrow e, alle pareti, i trofei di caccia africana, invero un po’ macabri e impolverati. Tra i novemila volumi si avvista pure un’edizione di un libro in italiano: I fratelli Cuccoli di Aldo Palazzeschi.
Il biglietto d’ingresso da 5 pesos è una manna per le casse del governo
Colpisce soprattutto il guardaroba, in un’ambiente lungo e angusto, con una sfilata di cappelli e poi scarponi e stivali. Appesa, la giacca verde di panno pesante con la mostrina war correspondent: la guerra di Spagna, gli sbarchi che lo scrittore ha documentato come inviato. Ma non c’è tempo per raccoglimenti letterari: incalza una comitiva di studenti americani in canottiera e un po’ sovrappeso.
Si passa oltre, e sfilano via la piscina vuota e
il campo da tennis in disuso, che sembrano quelli provenzali del film Un’ottima annata, con Russell Crowe. In fondo al giardino si staglia il «Pilar», la barca con cui Hemingway andava a pesca di grandi marlin e, durante la guerra, di sommergibili tedeschi nelle acque della Florida. No, il coraggio non faceva difetto a Papa.
Sul lato destro della casa, c’è la torre-studio voluta dalla quarta moglie Mary perché il consorte potesse meglio concentrarsi, ma che lui non apprezzava particolarmente. Dall’alto, tra i vapori dell’afa, si riconoscono i grattacieli della capitale di Cuba, il Paese in bilico tra primo e terzo mondo. Quasi sdoganata da Obama che voleva attenuare l’embargo infinito e oggi, con Trump, ripiombata nell’attesa di un futuro possibile e alternativo ai proclami sbiaditi della Rivoluzione.
Nel frattempo, altri visitatori cinesi sono già in fila: smartphone e tablet fotografano a ripetizione ogni angolo. Alla «cafeteria» un gruppo di musicisti ambulanti attacca un pezzo di son, il tradizionale genere dell’isola. Smette subito: ancora troppo pochi avventori per chiedere l’offerta di prammatica. Al parcheggio, invece, c’è un ingorgo che neanche a Roma: bus in doppia fila e decappottabili in un incastro barocco.
Vicino alla casa per gli ospiti, temporanenamente utilizzata come magazzino, spuntano due cuccioli di meticcio, esponenti della sterminata popolazione canina cubana. Scodinzolano, vogliono giocare e di tutto ciò che si vede alla «Finca» forse sarebbero quello che Hemingway oggi apprezzerebbe di più. Nel frattempo, al parcheggio, torpedoni e macchine si sono disincagliati come per magia. Adelante i prossimi.