L’inquilino segreto
Sua maestà il tartufo. Trova alloggio tra le radici di noccioli, betulle e pioppi. Quello bianco d’Alba è un bene di lusso per pochi. Ma dagli Appennini arriva il fungo (ipogeo) democratico, alla portata di (quasi) tutti. Ecco dove trovare i migliori, i consigli per non prendere fregature e i luoghi top dove degustarli.
Gli intenditori con salde radici piemontesi giurano che non lo prendono in considerazione prima di novembre; perché solo allora il Tuber Magnatum Pico, il bianco pregiato, detto d’Alba, nutrito dalle nebbie e rinvigorito dal freddo, raggiunge il suo vertice espressivo. Poi, dalla fine di dicembre lo ignorano perché diventa «tardivo», il momento magico è alle spalle, e in circolazione c’è il «biancastro», il Tuber Borchii Vittadini, che è tutta un’altra storia.
Però, per chi non è talebano, il consiglio è di procurarselo adesso per due motivi: primo, è già molto buono in un anno benedetto prima da piogge primaverili ed estive poi da un autunno assolato; secondo, ha prezzi ancora ragionevoli. Che vuol dire, specificano i ristoratori, che «l’anno scorso lo compravamo, noi, a 450 euro all’etto, mentre quest’anno lo vendiamo alla stessa cifra».
Dopo, non è irragionevole pensare di sborsare il doppio, non per la maggiore bontà ma per la domanda spropositata: aggirandosi ad Alba in queste otto settimane di Fiera sembra di essere in una metropoli straniera, tra turisti, artisti internazionali, ospiti illustri. Ma non è sempre stato così. Spiega Bruno Ceretto: «Per far salire il prezzo del Barolo negli Stati Uniti, mi portavo il tartufo, che cominciava ad essere famoso, spiegando che proveniva dalla stessa magica zona».
Oggi, addirittura, le Langhe si sono trovate a un bivio: Barolo o tartufi? Vigna che darà frutto sicuro o fungo ipogeo che non si lascia coltivare. Perché l’Albese, a nord, è ormai un arazzo di vigneti, dove il tartufo, segreto inquilino delle radici di noccioli, betulle, pioppi, salici, non trova più casa; mentre nella Langa verso la Liguria, dove i boschi ci sono, i vignaioli stanno comprando a man bassa dato che lì i terreni costano poco, e si possono piantare vigne, magari per fare bollicine beverine anziché blasonati rossi.
Intanto il Centro nazionale Studi Tartufo, con la Fiera del tartufo bianco d’Alba, e il Consorzio delle quattro aree piemontesi in allarme, ha lanciato il progetto Breath the truffle per raccogliere fondi e tutelare l’ambiente naturale dell’aureo tubero. Il progetto ha il suo momento mondano nelle Ultimate
Truffle Dinner, due cene il cui ricavato andrà a sostegno del progetto.
La domanda è: con che cosa si sposa bene un vegetale così dominante se ci spostiamo dalla sublime saggezza della tradizione? Il 20 novembre nel Cortile della Maddalena, ad Alba, due cuochi molto langaroli, Davide Palluda dell’Osteria dell’Enoteca (davidepalluda.it) e Maurilio Garola della Ciau del Tornavento (laciaudeltornavento.it), daranno la loro risposta cucinando a quattro mani. Ci saranno: risotto, caviale, ostriche, champagne; foie gras poché al Barolo con dattero, succo di limone e sciroppo d’acero; storione stufato con farcia di scampi, caviale e infusione di bagna cauda e altre creazioni provocatorie. Sublimati dall’inimitabile grattata profumata. Davvero così inimitabile? L’Italia è, ufficialmente, «la nazione con la massima vocazione tartufigena del mondo». L’excursus completo viaggia dal Veneto alla Valle d’Aosta alla Sicilia alla Sardegna e comprende tutte le otto varietà commestibili, stagione per stagione. Tutta la dorsale appenninica è una miniera di ottimi tartufi, dal bianco al nero pregiato, con fiere dedicate e un formidabile talento commerciale nella trasformazione innovativa di un prodotto mitico.
Scheggino, nel centro della Valnerina, cuore della Tartufi Urbani, con 200 tonnellate di tartufi raccolti nelle sue tartufaie e acquistati in tutta Europa, persegue la missione di «democratizzare» il prodotto. Il risultato sono 600 prodotti che coprono il 60 per cento
delle quote mercato mondiale dei tartufi, con una predilezione per quello americano (a New York è un successo la loro pizza surgelata al tartufo) e per quello thailandese, che adora le loro Truffle durian chips. Ovvero l’unione del famoso frutto maleodorante con il tartufo. Approvato dal grande chef Chumpol Jangpray, è in arrivo da noi insieme ai popcorn tartufati e ai tartufi soia-wasabi. Chi poi vuole avere i suoi tartufi (neri) in giardino può acquistare le piantine iniettate con spore nate nelle serre del progetto Truffleland. E pazientare cinque anni.
Mentre per un piccolo manipolo di appassionati il riferimento è Saverio Bianconi, a Città di Castello, con due prodotti di culto: le peschiole ai tartufi (frutti di pesco immaturi con il nòcciolo ancora morbido) per aperitivi eleganti, e il suo burro e tartufo bianco naturale, elaborato con formula segreta.
Chi pensa che l’affollamento delle grandi fiere, a cominciare da quella di Acqualagna e del suo celebrato bianco, tradisca la natura segreta del tartufo, e preferisce goderselo a tavola da mani di fiducia, può dirottare verso la poco battuta Volterra, dove all’Enoteca del Duca (enoteca-delduca-ristorante.it) la scelta e la cucina del tubero sono impeccabili. O può spostarsi nel Mugello, a Vicchio, all’Antica Porta di Levante (anticaportadilevante.it), che di ogni ingrediente del menu cita il luogo di nascita, dalla cipolla di Certaldo alle patate di Pietramala. E il tartufo è di giornata. Ancora più segreta è Umbertide, Perugia, cara ai Savoia, dove Filiberto per il tartufo si affida al ristorante San Giorgio. In Toscana i grandi specialisti del tartufo, il nero pregiato al vertice, sono i Savini. Luciano Savini mette a punto personalmente non solo le formule dei prodotti in vasetto che escono dalla sua fabbrica, tra cui la crema con salmone e tartufo e il paté, olive piccanti e tartufo estivo, ma anche i piatti dei suoi ristoranti di Milano, Firenze e Roma (savinitartufi. it), perché esaltino le capacità trasformiste del tartufo. Anche le più audaci. Per dire: Coniglio confit, ricotta affumicata, aglio nero, ravanello in doppia consistenza; oppure Filetto di dentice con salicornia, guazzetto di cozze, vongole e finocchi baby. Il tutto sventagliato con le profumate e sottili fettine del tubero.